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No, il titolo non è una proposta – e anzi, se mi conoscete un po’ saprete che non sono un gran sostenitore dell’industria della pornografia. A non saperlo sono invece diversi intervistatori con le idee pochissimo chiare, che spesso mi contattano per chiedermi un’opinione su qualche signorina scosciata e il suo “lato B” [Spoiler: se di lavoro scrivi “notizie” in cui mostri la nudità di sconosciute per elemosinare qualche clic, abbi almeno l’onestà di chiamarlo ‘culo’ senza atteggiarti a raffinatone dietro a eufemismi desueti]. Questo approccio rivela un preoccupante modello di fondo che concepisce il sesso solo come merce o performance, quantomeno inappropriato per discutere con qualcuno che va a caccia di filosofi pur di capirne le derive neoliberiste.

Senza nulla togliere a un passatempo senz’altro gradevole, che mi ha allietato – come a chiunque – tante giornate così così, io con il porno c’entro pochissimo. Al massimo ne studio gli aspetti più particolari, tipo le implicazioni sociali, le interazioni con i meccanismi della Rete, le manipolazioni mediatiche, i meccanismi neurologici, le responsabilità sanitarie, le illusioni ottiche o i deragliamenti ridicoli. D’altro canto irritarsi è inutile: i media affrontano molto spesso l’argomento a sproposito, trattandolo solo come un riempitivo acchiappagonzi o strumentalizzandolo per compiacere il potente di turno (sapevate che la maggior parte delle “ricerche scientifiche” sui terribili danni della pornografia viene commissionata da gruppi politici e religiosi estremisti che usano i risultati per giustificare richieste di fondi?).

La questione viene ulteriormente complicata dal fatto che non esiste un solo tipo di porno. Sotto lo stesso termine ricadono prodotti diversissimi: da video etici e femministi a contenuti profondamente misogini; da parodie realizzate come veri film a complete assurdità; da carriere consapevoli a sfruttamento di casi umani. Ciò impedisce di ritenere affidabile gran parte dei cosiddetti esperti e delle loro affermazioni sul tema.

Ciò nonostante, negli ultimi giorni per coincidenza ho incontrato parecchie variazioni sul tema di un concetto interessante. Da più parti – e da molti anni – c’è infatti chi sostiene che «il porno è l’oppio dei popoli». Lo dice chi di mestiere vende panico, lo dice chi tiene un atteggiamento scientifico, lo dice il complottista distratto che ha dimenticato un lungo pezzo di storia italiana. Sessuologia sociale: questo sì che è il mio campo, così è stato inevitabile ragionarci un po’ su.

Che il porno abbia una capacità inarrivabile di catturare l’attenzione non c’è dubbio. Ricorderò sempre un set traboccante di attrici provocantissime… che attendevano scocciate che i loro partner fossero “pronti a girare”. Il metodo preferito? Nonostante fossero nella stessa stanza, per eccitarsi preferivano guardare video hard sui loro cellulari, più attraenti della realtà stessa. Ma si tratta davvero di un sistema di controllo di massa?

I dati scientifici – quelli veri – indicano che in un certo senso è così. Più porno si guarda, più diminuisce l’inclinazione a compiere stupri e crimini sessuali, e addirittura l’effetto è maggiore quanto più estremi sono i contenuti disponibili legalmente. In altre parole, chi ha impulsi violenti ma si rilassa sfogando la fantasia non sente più bisogno di agire nella realtà, e arriva perfino a discriminare meno le donne (che peraltro da un’analisi degli accessi ai siti specializzati risultano le principali fruitrici di pornografia misogina).
Da qui a un controllo di regime, con una regia occulta che moltiplica i siti di video per adulti al fine di distrarre il popolo dalla rivolta, c’è però parecchia differenza. Anche perché non serve.

Le immense energie sprecate – loro direbbero ‘investite’ – da miliardi di persone ogni giorno nel costruire realtà personali sui social network in barba al mondo concreto che le circonda suggeriscono che la massa sia già abbondantemente distratta e manipolata senza bisogno di tirare in ballo tette e culi. La dimostrazione la vediamo nell’ascesa “politica” di personaggi improponibili che in tutto il mondo riescono ad arrivare al potere contro ogni logica e senza alcuna proposta concreta, limitandosi a cavalcare l’engagement emotivo dei social network. La pornografia è accessibile a chiunque da oltre 60 anni (o 30, se vogliamo limitarci a Internet), eppure non ricordo abbia mai causato disastri paragonabili a questo, o al colpo di stato avvenuto negli Stati Uniti come performance a uso dei social network.

Tornando però al punto, qualcosa da rimproverare al porno attuale c’è, eccome. Storicamente la rappresentazione esplicita del sesso ha sempre avuto un fortissimo valore eversivo. Alcuni esempi possono essere i libelli contro Maria Antonietta che contibuirono a indebolirne il potere e scatenare la rivoluzione; le riviste controculturali dell’Italia negli anni ’70 del XX secolo che diffondevano la critica allo strapotere democristiano mescolandola al porno; la battaglia per la libertà d’espressione combattuta da Larry Flynt nel decennio successivo.

La facilità di fruizione su smartphone e banda larga ha invece azzerato l’effetto-shock di mostrare come, sotto i vestiti firmati e le tute da operaio, gli esseri umani siano davvero tutti uguali e tutti capaci di comportamenti primordiali che sbugiardano ogni pretesa di superiorità di qualcuno sugli altri. Ormai lo sappiamo bene che il re non ha davvero il sangue blu, il politico ce l’ha piccolo come tuo zio e che quella signora sempre pronta a salire sul pulpito per giudicare il prossimo una volta nel letto non si distingue dalla battona più navigata – però sembra non fregarcene più niente.

La belva ha i denti così spuntati da aver fatto addirittura il giro, e ultimamente ammette la sua innocuità con fenomeni come il gooning, il filone pornografico più in crescita nell’ultimo anno. Metareferenziale come pochi, il suo tema centrale è la sudditanza al porno stesso: inutile, improduttiva, socialmente dannosa, insoddisfacente… eppure fonte di dipendenza come la peggiore delle droghe. Spesso i soggetti appaiono vestiti, censurati o in animazioni che sovrappongono immagini orrende a ciò che più l’utente vorrebbe vedere. È un “gioco” esplicito, i cui fan si compiacciono tuttavia e fanno a gara fra loro per essere i più sfigati di tutti.

A voler essere buoni lo si potrebbe interpretare come un sottile e argutissimo commento alle condizioni abiette in cui è scivolata gran parte della popolazione sotto lo strapotere delle élite, ma la maggior parte dei fruitori (e produttori: è la nuova economia, baby!) prende la cosa piuttosto sul serio. Dov’è finito il valore politico dell’oscenità consapevole?
Perfino nel mondo della sex positivity va per la maggiore un attivismo mediatico fatto di vuoto signalling e dichiarazioni astratte finalizzate – ancora una volta – a raccogliere follower e like più che a cambiare lo status quo.

Potrei sbagliarmi, ma sospetto che arrivati a questo punto sia impossibile ricreare l’impatto sociale delle pantomime di de Sade, dell’amore libero di fine anni ’60, della conseguente politicizzazione dell’eros o delle proteste sociali dopo incarnate dal BDSM e da un certo fetish – tutti movimenti comunicati attraverso l’estetica del porno.
Quel che non cambierà mai è però la curiosità nei confronti dell’attività più comune che ci sia, motore di così tante nostre azioni e origine di tutto. Forse l’attenzione morbosa verso il sesso può essere trasformata in uno strumento se non di rivoluzione per lo meno di educazione: è quello che cerco di fare da anni con il mio lavoro, e che tentano anche altri.

Era quasi inevitabile che il nome più sorprendente di tutti fosse quello del colosso PornHub, associato da sempre al male (a volte non a torto) e recentemente divenuto bersaglio preferenziale dell’ipocrisia online. Un po’ per far bella figura, un po’ per vero spirito sociale, ha aperto da qualche tempo il Sexual Wellness Center: una autorevole sezione del sito – alla quale collaboro anche io – dedicata all’educazione sessuale e al benessere della coppia. Con gran stupore di tutti, nell’arco di pochi mesi è divenuto la fonte più seguita al mondo di informazione sul tema, superando alla grande anche nobili istituzioni come l’istituto Kinsey.
Sta’ a vedere che, in fondo in fondo, le sconcezze hanno ancora qualche asso nella manica…

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