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La sex positivity è rotta e tocca a noi ripararla

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Qualche giorno fa Vanity Fair mi ha commissionato un articolo sui feticismi che ha spalancato una volta per tutte il classico vaso di Pandora. Ciò che vi osservavo era, riassumendo, che i feticisti veri – quelli per cui l’oggetto del desiderio è un’ossessione che impatta le loro vite – sono tali anche perché hanno difficoltà nel rapportarsi correttamente con i possibili partner. Una soluzione adottata quindi di frequente è di ridurre la soddisfazione dei loro bisogni a uno scambio commerciale: tu mi dai il mio feticcio, io ti do dei soldi, e non c’è bisogno di altre complicazioni. È un approccio molto diffuso per esempio fra i feticisti dei piedi, che porta però a due problemi.

Il primo è ovviamente che così facendo il loro disagio non verrà mai risolto, e può anzi solo aumentare: personaggi tragici come il famigerato Peppe Fetish sono solo la vetta pubblica di “sottoculture” molto vaste. Il secondo è, appunto, la parte malsana di ciò che ruota attorno a molte preferenze sessuali insolite.
Il vaso di Pandora di cui accennavo si è manifestato come spesso accade sui social, dove diverse signore hanno commentato l’articolo esprimendo un pensiero comune: «vista la quantità di feticisti molesti che infastidiscono online e in certi ambienti live, tanto vale farsi pagare e trarne almeno un guadagno facile».

L’osservazione regge – se non si ha un minimo di etica. Dopotutto, anche le vecchie vedove lagnose sono una bella scocciatura: tanto vale fingersi medium capaci di metterle in contatto col marito morto e arrotondare un po’. O vendere cure miracolose ai malati terminali: in fondo dai loro un po’ di speranza e il conto mica se lo possono portare nella tomba, no?
Se questi esempi vi hanno dato il voltastomaco, vi faccio notare che seguono esattamente la stessa logica di tante cosiddette “fetish girl” con decine di migliaia di follower. Che nessuno pretende facciano le crocerossine, per carità, ma forse sarebbe auspicabile non contribuissero a peggiorare la situazione generale.

È difficile lamentarsi della reificazione femminile quando proprio tante donne si propongono come merce in vendita, benché a pezzi. Nel caso specifico dei retifisti la prostituzione si è addirittura affermata negli anni come la regola. Basterebbe investire due minuti per spiegare al feticista di turno dove sta sbagliando approccio e come può trovarsi una partner davvero consenziente per passione… e invece è sufficiente una ricerca online per rendersi conto di come ci sia un’intera industria basata sullo sfruttamento di questa parafilia.

Se avete l’impressione di avere già sentito questo discorso non state sbagliando. È molto simile a quanto ho scritto riguardo la dominazione finanziaria, ma anche per altri fenomeni in cui l’aspetto monetario è meno presente ma che si basano tuttavia su ragionamenti simili: il gooning e le sue derive incel, i drama pit della disforia di genere, la parte malsana del cuckolding… E si potrebbe andare avanti ancora a lungo.
In effetti, non ci voleva un grande sforzo per notarlo, no? Beh, almeno nel mio caso invece sì – e per un buon motivo.

Il punto è che, come educatore specializzato e membro della comunità BDSM, vivo gran parte del mio tempo immerso in un ambiente molto particolare. Poiché i giochi erotici di dominazione e sottomissione possono essere oggettivamente pericolosi, chi li pratica ha creato nei decenni una serie di regole, ambienti protetti e strumenti che non solo limitano i rischi, ma favoriscono anche involontariamente l’empatia fra i partecipanti.
Si tratta di un’isola felice con un’intera cultura rivolta al benessere, che da quarant’anni abbondanti lavora giorno dopo giorno per risolvere gli ultimi problemi rimasti. Se ci si abita in mezzo è facile distrarsi, e pensare che anche tutte le altre forme di eros insolito siano così illuminate.

La realtà è purtroppo diversa. Tutte quelle varianti che non comportano minacce fisiche evidenti non sentono alcun bisogno di intellettualizzare il desiderio: l’unico pensiero necessario è quello di togliersi un prurito più rapidamente ed efficacemente possibile, fino a quando non spunterà un’altra voglia.
Risolvere il problema sarebbe la missione della filosofia sex positive, che tuttavia è bellamente ignorata da chi ne avrebbe più bisogno e, sfortunatamente, è parte essa stessa del problema.

Come denunciano anche membri importanti del movimento, molto cosiddetto attivismo consiste nel parlarsi addosso e congratularsi fra simili, anziché sforzarsi attivamente di portare il messaggio di un maggior benessere sessuale a chi di certe cose non ha mai sentito parlare. Non c’è quindi da stupirsi della diffusione della mentalità descritta all’inizio, né del fatto che molti educatori e attivisti stessi ne siano del tutto ignari.
Accorgersene è senz’altro un inizio. Quel motto per cui «chi non reagisce è parte del problema» è però vero, quindi devo come minimo proporre una soluzione.

Ci ho pensato un bel po’, e la ricetta che mi sembra più efficace è anche la più semplice: cerchiamo di comportarci eticamente. La prossima volta che incontreremo (magari nello specchio) una persona che ci chiede di soddisfare i suoi desideri erotici, impegnamoci a risponderle nel modo che le darà più benessere sul lungo termine. Forse ciò significherà andare contro le sue aspettative, o contro le nostre abitudini; probabilmente richiederà un po’ di studio per entrambi, cambiare il modo in cui si interagisce con le community di cui ci vantiamo di far parte, o sforzarci di confrontarci con mentalità che non conosciamo davvero. Non è da escludere che all’inizio possa essere un po’ scomodo ma, al di là della soddisfazione di aver fatto del bene, a conti fatti ne trarremo vantaggio pure noi nella forma di un eros (insolito finché si vuole) per tutti più sano e sereno, che rimetta al centro il piacere anziché le nevrosi.
Non sembra meglio anche a voi?

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