Qualche tempo fa si discuteva con Radaaria (la webmistress di Legami) della confusione che regna perfino su un argomento fondamentale come le safeword. Nell’encomiabile spirito di «se qualcosa non ti piace, invece di lamentarti miglioralo tu» sono stato invitato allora a riassumere in un articolo quel che c’è da sapere sul tema dei codici di sicurezza nel BDSM.
Che cosa è una safeword
Partiamo dal principio: la traduzione più corretta anche se non letterale di ‘safeword’ è ‘segnale d’emergenza’. Proprio come la maniglia rossa nei vagoni del treno, serve a fermare il più rapidamente possibile quello che sarebbe dovuto essere un piacevole viaggio, ma che per qualche ragione si sta trasformando in disastro. Non è simpatica, non è elegante, è un pochino sgradevole per i passeggeri… ma in compenso evita di deragliare e ritrovarsi protagonisti di un incidente più serio. Proprio come la leva sui treni, inoltre, va usata con giudizio: senza abusarne, ma anche senza scordarsi di approfittarne quando è il momento giusto.
In termini più concreti, una safeword è un segnale concordato fra i partecipanti di un incontro BDSM per interrompere immediatamente i giochi in caso che qualcosa non stia andando per il verso giusto. Si parla di ‘segnale’ anziché di ‘parola’ per un motivo semplicissimo: può capitare che le difficoltà insorgano mentre si è imbavagliati, si respira a fatica o si ha “qualcosa” infilato in gola. In questi casi parlare sarebbe un po’ complicato, quindi conviene accordarsi sia su una parola vera e propria, sia su un altro tipo di segnale (per esempio uno schiocco di dita) “di riserva”. Ovviamente vale anche il contrario: poiché da legati – e magari con le mani addormentate per un errore nel bondage – certi gesti non riescono bene, è meglio mettersi d’accordo anche su una parola d’emergenza. E a questo proposito…
Scegliere la safeword giusta
Se vi state chiedendo perché ci si debba inventare un codice diverso dal semplice «no!» forse dovreste riconsiderare il vostro concetto di eccitazione. Nella passione di un incontro erotico è infatti molto comune pronunciare dei ‘no’ che significano l’esatto opposto, e lo stesso vale per ‘basta’, ‘fermati’, ‘non ce la faccio più’ e mille altre espressioni che in certi momenti servono solo a sottolineare l’intensità della situazione. A pensarci bene, conosco anche diverse sottomesse che godono un mondo a lanciare urla strazianti con tutto il fiato che hanno in corpo: roba da far pensare che sia il caso di chiamare subito un’ambulanza… mentre invece il loro piacere sta proprio nel sentirsi nelle mani di un carnefice che ignori ogni loro supplica, e guai a fermarsi davvero.
La soluzione è allora concordare un vocabolo che non c’entri nulla con la situazione, in modo che non possa essere pronunciato per sbaglio. Siccome durante un’emergenza è possibilissimo che l’agitazione confonda le idee e la memoria, meglio evitare parole complicate sul genere di ‘superprotosincrotrone’. Roba tipo ‘patata’ o ‘emergenza’ va benissimo; se si vuole andare davvero sul sicuro l’ideale è il proprio nome di battesimo, che di certo non si può dimenticare.
Un’alternativa è adottare invece l’aberrante sistema statunitense, detto ‘codice del semaforo’.
La frustrazione di star fermi al semaforo
I nostri cugini delle colonie d’oltremare sono gente semplice, pratica. Un esempio perfetto è il codice di sicurezza adottato quasi universalmente da quelle parti. Ispirato ai colori dei semafori, funziona così:
- Se il partner sottomesso non ha alcun problema, nel caso il dominante gli chieda come stanno andando le cose risponde «verde»;
- Quando sta arrivando al proprio limite di sopportazione, dichiara spontaneamente «giallo!»;
- In caso di eccesso o altri problemi seri, il sub urla «rosso!!!» e ciò viene considerata safeword.
Chi ama proprio distruggere ogni atmosfera utilizza addirittura un sistema a numeri: da 1 a 10 per indicare quanto disagio si stia provando – l’effetto ricorda da vicino le votazioni delle gare di pattinaggio artistico.
Sul serio: semafori e numeri hanno l’indubbio vantaggio di fornire un feedback preciso al dominante, ma escludendo situazioni particolarissime (es. il primo collaudo di una nuova frusta, in cui bisogna capire insieme quanto dolore provochi) ammazzano ogni poesia.
I duri & puri obiettano anche che l’uso di un codice di questo tipo pone esplicitamente il controllo della sessione nelle mani del sottomesso, riducendo il dominante in una marionetta al suo servizio. Su questo aspetto delle safeword torneremo meglio dopo, ma i veri problemi sono in realtà altri due, e di gran lunga più gravi.
Primo: dominare non significa solo infierire sul partner, ma soprattutto avere il controllo su ciò che sta accadendo. Per mantenere il controllo è necessario stare molto attenti a tutto ciò che si ha attorno e in primo luogo alle reazioni del sottomesso: affidarsi al suo “semaforo” tende invece a deresponsabilizzare e ridurre la concentrazione, il che non va affatto bene anche perché…
Secondo: se si gioca bene, è molto frequente che il sub non sia affatto la persona più adatta a valutare l’intensità di quel che sta provando. Fattori quali l’eccitazione, il senso di sfida, il desiderio di compiacere, la produzione di endorfine e altri impediscono infatti di rendersi conto delle proprie reali condizioni.
Come usare la safeword
Tornando a noi, vale la pena di spendere due parole anche su come utilizzare concretamente la safeword. Una buona norma è, per esempio, usarla tre volte anziché una sola. Per capirci: non «patata!» ma «patatapatatapatata!».
In questo modo non solo si evita ogni possibile equivoco, ma chi “sta sotto” ha il tempo di valutare pienamente se voglia davvero interrompere l’azione oppure no. Può infatti accadere che uno stimolo più intenso degli altri o un attimo di defaillance facciano ritenere di aver bisogno di fermarsi – salvo poi pentirsi tre secondi dopo. Naturalmente, chi si trova nel ruolo dominante dovrebbe invece avere l’intelligenza per capire che una safeword pronunciata anche solo parzialmente indichi che è il caso di darsi una calmata – alla faccia dei semafori americani.
A proposito: benché ciascuno abbia naturalmente tutti i diritti di fare BDSM come preferisce, è utile capire quando sia il caso di usare la safeword. L’idea di fondo è che, proprio come i freni d’emergenza di cui parlavamo all’inizio, si tratti di una risorsa estrema da impiegarsi proprio quando non c’è alcuna altra possibilità. La logica è quella del classico «Al lupo! Al lupo!»… va be’ che è sempre meglio eccedere in precauzioni che in riparazioni, ma se la si adopera a sproposito la sua utilità reale va a farsi benedire.
Per fare qualche esempio concreto, la safeword va usata in caso di…
– Crisi di panico
– Sensazione di svenimento imminente
– Difficoltà di respirazione
– Crampi
– Dolore da compressione nervosa
– Flashback post traumatico
– Ferita
– Cedimento della struttura cui si è appesi
– Violazione dei limiti concordati
– Persistente disagio
– Pericolo d’incendio o altra catastrofe
Mentre invece la riterrei inappropriata per cose come…
– «C’è uno spiffero che mi dà un po’ fastidio»
– «Preferirei che facessi così invece che cosà»
– «Vado un attimo a tirar fuori dal congelatore l’arrosto per stasera»
– «Mi si potrebbe rovinare la manicure»
… e in generale per tutto ciò che può tranquillamente aspettare che il gioco sia terminato. Qui si parla di emergenze vere, ed è per questo che il prossimo paragrafo descrive procedure decisamente serie.
In caso di emergenza
Avete presente quella scena ricorrente nei film in cui all’improvviso diventa chiaro che c’è un’emergenza in corso? Uno dei personaggi rimane paralizzato con lo sguardo vitreo, un altro si mette a piangere, un altro ancora strilla «Aaargh! Moriremo tutti!» e un tale insulta il protagonista dandogli la colpa di tutto – mentre quest’ultimo di solito si rimbocca le maniche e, benché controvoglia, risolve la situazione. Ecco, in caso di problemi durante un incontro BDSM succede esattamente la stessa cosa; l’istinto è di abbandonarsi al panico o infuriarsi, ma l’unica soluzione sensata è rimandare a dopo ogni eventuale discussione e risolvere l’emergenza subito, senza farsi domande.
Nel concreto ciò significa che non appena viene invocata la safeword è dovere imperativo del dominante, nell’ordine:
– Interrompere ciò che sta facendo al sottomesso;
– Mettere in sicurezza eventuali elementi di pericolo immediato (es. corde che bloccano la circolazione, candele accese vicino a cose infiammabili, ecc.);
– Rassicurare il partner informandolo che sta già agendo per risolvere l’emergenza e che ha bisogno della sua collaborazione;
– Eliminare la fonte dell’emergenza, anche se non gli sembra grave;
– Se il sottomesso è ragionevolmente sereno e collaborativo, liberarlo da eventuali costrizioni; se non lo è, tranquillizzarlo mentre si procede con i punti seguenti, per liberarlo poi quando non c’è più rischio di gesti inconsulti o pericolosi;
– Risolvere eventuali emergenze mediche (rianimazione, posizione di sicurezza, crisi ipoglicemica, iperossigenazione, ferite, ecc.) e se necessario chiamare un’ambulanza;
– Eliminare eventuali altre fonti di disagio (pinzette, bende, oggetti penetranti, aghi, ecc.);
– Confortare il partner con coperte/aria fresca, acqua/succo di frutta e rassicurarlo parlandogli in maniera affettuosa; abbracciandolo se gradito; facendolo rilassare
Quello che non si deve fare è invece:
– Dare più importanza ai giochi che al partner;
– Preoccuparsi di fare bella figura;
– Criticare, giudicare o aggredire il partner;
– Farsi prendere dal panico;
– Riprendere immediatamente l’azione;
– Dimostrare indifferenza nei confronti del partner o ignorarlo
Lo sapevate già e vi sembra ovvio? Meglio per voi e per le persone con cui praticate BDSM. In caso contrario, stampatevi bene in mente la lista qui sopra: comportarsi da stronzi o da cialtroni fa in genere molto più danno di qualsiasi incidente pratico.
Va da sé che per mettere in pratica diversi punti sopraindicati bisogna avere competenza di primo soccorso e, quanto meno, sapere cosa si stia facendo e come si usino gli eventuali strumenti in gioco. I famosi ‘Sano e Sicuro’ della sigla SSC vogliono dire proprio questo. E a proposito di sigle…
Slogan e responsabilità
Quel che ho scritto fin qua non è altro che ciò che viene insegnato durante qualsiasi seminario BDSM e potete trovare scritto anche su molti manuali. Esistono però anche altri aspetti dell’uso e abuso delle safeword di cui non si parla molto spesso, e che come sempre è invece essenziale conoscere per godersi serenamente un incontro e soprattutto evitare guai potenzialmente molto seri.
Il primo riguarda una frase che capita ahimè di sentire abbastanza spesso, ossia: «Io non uso le safeword perché sono un Vero Master™ e so quel che faccio». Ebbene, credo di avere accumulato abbastanza anni di esperienza e di casistica per potere affermare con certezza che chi dice cose del genere sia un imbecille da cui sarebbe meglio stare bene alla larga.
Non si tratta di filosofie personali, ma semplicemente della banale constatazione che tutta la fiducia e la competenza del mondo non implicano di essere anche onniscenti. Guardando dall’esterno, nessuno può conoscere le condizioni di salute di un’altra persona, né men che meno sapere cosa gli passi per la testa. Per fare un esempio, è possibilissimo che una frase per me innocua scateni flashback post-traumatici in un’altra persona e la faccia perdere il controllo, magari perché rievoca un abuso infantile dimenticato. Come pensi di distinguere una situazione del genere dalla normale agitazione e dalle suppliche di «Basta! Basta!» di chi viene torturato, mio caro masterone?
Una safeword deve esistere sempre, anche perché non costa nulla. Se vi conoscete davvero così profondamente da non averne mai bisogno sono felicissimo per voi, ma non c’è alcun motivo per rischiare.
C’è poi una dichiarazione ancora più grave. «Mi rifiuto di usare safeword perché faccio RACK, non SSC!» Qui ci sarebbe da discutere a lungo (e se volete, trovate diversi post su questo tema sul mio sito, www.ayzad.com), però la sostanza è questa: il RACK non è un’alternativa dell’SSC, bensì una sua estensione. Non lo dico io, ma chi questi motti li ha inventati – basta googlarli per constatarlo.
In ogni caso, comunque, nessuna sigla può sostituire il buon senso. Pensare che uno slogan capito male possa sollevare dalle responsabilità di un gioco andato storto è da idioti, e soprattutto è una strategia tipica dei predatori sessuali che ogni tanto si infiltrano nell’ambiente BDSM. La loro idea è che raccontare due balle su RACK, ‘tunnelspiel’ o ‘nonconsensualità consensuale’ metta così in soggezione la potenziale vittima da autorizzarli a causarle qualsiasi danno impunemente… e il brutto è che spesso hanno ragione. Tutta colpa dell’ignoranza, quindi meglio essere informati.
Vietato colpevolizzare
Il mancato utilizzo delle safeword durante una vera emergenza è la principale causa di incidenti durante pratiche BDSM fra partner (e ricordo che anche un trauma psicologico costituisce a tutti gli effetti un incidente grave). Come dicevamo qualche riga fa, quando ciò avviene è quasi sempre per una concezione distorta del rapporto fra sottomesso e dominante.
Molti sub sentono il dovere di compiacere il partner a tutti i costi, di dimostrarsi all’altezza del ruolo e quindi di “resistere a tutto”, oppure ritengono di essere realmente inferiori al dominante e quindi di non avere il diritto di lamentarsi. Per queste persone – a volte convinte dai vaneggiamenti dell’altro – usare la safeword equivale a un fallimento personale o a una grave colpa.
Beh, in parole semplici: non è così. Le leggi della fisica, della fisiologia, della psicologia e della giurisprudenza non è che smettano di applicarsi solo perché si sta facendo qualcosa di insolito. Non c’è niente di cui vergognarsi se ci si sente male, non ci si diverte più o se un errore tecnico o di mancata comunicazione provoca un problema serio. Sono i casi della vita, e poter segnalare «ferma tutto, riportiamo le cose alla normalità e magari riprendiamo dopo» non è solo uno strumento utile ma anche un diritto fondamentale.
Il vostro partner vi rimprovera dicendo che non siete bravi schiavi perché vi permettete di usare la safeword? È un problema suo: si trovi qualcun altro più in sintonia con il suo stile di gioco, perché nessuna pratica erotica giustifica lo star male. La sessualità – con o senza fruste e borchie – serve esattamente al contrario.
E, a proposito: anche i dominanti hanno tutto il diritto di interrompere i giochi se non si sentono a loro agio. Forse in questo caso non usano la safeword, ma nemmeno loro devono essere colpevolizzati se non si comportano esattamente come il Christian Grey o la supermistressona dei vostri sogni.
In entrambi i casi la soluzione è la stessa. Parlarsi senza drammi, discutere insieme di cosa è andato storto, capire come evitarlo in futuro… e ripartire con più entusiasmo di prima, magari dopo essersi rilassati per bene, ché tanto non vi corre dietro nessuno.
Sicurissimi… o no?
Ringraziandovi per la pazienza dimostrata nel leggere fin qui, concludo con una parentesi sulla questione più spinosa di tutte. Dopo tante attenzioni e accorgimenti, sarebbe naturale pensare che usare (bene) la safeword sia il paracadute che mette al sicuro da qualsiasi problema… vero?
Beh, no. Soprattutto quando si pratica BDSM con una persona che non si conosce molto bene, bisogna purtroppo tenere in considerazione la possibilità che la safeword venga semplicemente ignorata. Il discorso sul non dimenticare il buon senso vale anche qui: la safeword è uno strumento eccellente, però ha i suoi limiti. Mi è capitato diverse volte di ascoltare racconti che contenevano le parole «Eppure io avevo usato la safeword!», sovente da parte di persone in lacrime. Indicare i partner scorretti e far loro terra bruciata attorno è una ben magra consolazione.
Da parecchi mesi negli Stati Uniti e in altri paesi è in corso un intenso dibattito proprio sulla questione della violazione dei limiti concordati nei giochi BDSM, compreso il rispetto dei segnali d’emergenza. Riassumendo, è venuto fuori che i casi di abuso della fiducia concessa dai sub sono molti più di quanto non si possa immaginare leggendo i forum a tema e partecipando a eventi pubblici. Spesso si tratta solo di episodi sgradevoli ma non gravi, però ci sono anche parecchi casi che si potrebbero decisamente definire di violenza aggravata – che sì, è il nome di un reato penale. Proprio come accade con i casi di stupro, le prime denunce hanno dato ad altre vittime il coraggio per rendere note anche le loro esperienze, di cui magari si erano vergognate per anni. Ormai il numero di casi segnalati è così alto da non poter essere sottovalutato.
Mi rendo conto che raccontare anche questa parte dell’ambiente BDSM sembri un po’ da guastafeste, ma provatevi a mettere nei panni di queste persone. Non credete che avrebbero preferito conoscere le informazioni che adesso avete anche voi prima di finire nei guai?
A conti fatti la realtà è sempre la stessa: un atteggiamento realistico e la padronanza della cultura BDSM (vera, non quella raccontata nelle fantasie erotiche dei video su Internet) rappresentano il modo migliore per godersi pienamente e senza problemi tutti i piaceri offerti dall’eros estremo. Compreso quello di poter smettere quando si vuole.