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Kink e neurodivergenze – Intervista con Rodolfo Pessina

Avete avuto anche voi l’impressione che ultimamente nella kinkysfera stiano spuntando un po’ tante diagnosi di ADHD, autismo, OCD, plusdotazione (no, non di quel tipo…) e così via? Sicuramente la causa è anche la maggiore attenzione dedicata di recente alla salute mentale, ma quando la frequenza dei casi raggiunge livelli così elevati arriva il momento di capirne di più. Per farlo mi sono rivolto al nome più gettonato in questo campo: ecco la nostra chiacchierata.

  

 

Ciao! Quando ho cominciato a informarmi sul tema delle neurodivergenze nell’ambiente kinky ho incontrato spesso il tuo nome, ed eccomi qua. Ma… chi sei?

Ciao! Mi chiamo Rodolfo Pessina, sono una persona queer, poliamorosa e kinky e sono un medico chirurgo. Utilizzo il pronome maschile/neutro; lavoro come psichiatra e sessuologo clinico, con una particolare attenzione nei confronti delle persone appartenenti a gruppi minoritari (persone queer, BIPOC, con disabilità e neurodivergenze). Sono un attivista per le minoranze e faccio divulgazione su tematiche di salute mentale e sessuale inclusiva su Instagram. Il mio scopo è anche mostrare il lato umano della figura del medico e dello psichiatra, parte attiva della comunità curante, con una vita oltre il camice – o anche senza camice, con solo un harness addosso. Promuovo il concetto di un professionista soprattutto attento all’inclusività, o meglio alla convivenza delle diversità e all’intersezione delle molteplici identità del singolo individuo nella pratica clinica.

 

Allora sei proprio la persona giusta con cui affrontare un argomento che ho l’impressione venga trattato spesso, ma con grande superficialità. Partiamo dall’inizio: negli ultimi anni l’attenzione verso le neurodivergenze è molto aumentata sia sui vecchi media che, soprattutto, sui social network – e questo suppongo sia un bene. Tuttavia, ho notato anche un aumento vertiginoso di persone diagnosticate autistiche, ADHD e via dicendo. Non è che avranno ragione quelli che sostengono che si tratti di una moda, o di un complotto di medici a caccia di clienti?

Forse sarebbe il caso di iniziare spiegando cosa sono le neurodivergenze.

‘Neurodivergenza’ è un termine ombrello di origine non medica, ma sociale e di attivismo, che racchiude tutte le differenze dalla norma statistica delle diverse funzioni cerebrali e neurologiche – come possono essere il movimento, la memoria o l’attenzione. Molto spesso questo termine viene usato, in modo limitato, per indicare condizioni congenite o acquisite precocemente come spettro autistico, disturbi da deficit dell’attenzione e iperattività, disturbi specifici dell’apprendimento o sindrome di Tourette.

In medicina queste condizioni sono chiamate ‘disturbi del neurosviluppo’ che, ricordo, non sono sinonimo di neurodivergenza, perché quest’ultima tecnicamente si riferisce a qualsiasi deviazione di funzionamento cerebrale rispetto alla norma statistica. In questa definizione così ampia possono rientrare persone che hanno subito un trauma cranico, hanno una qualche forma di epilessia, un tumore cerebrale o, addirittura, persone con patologie psichiche di più larga diffusione come disturbi d’ansia, depressione o disturbi di personalità.

Negli ultimi anni si è assistito indubbiamente a un forte aumento nell’attenzione mediatica sulle neurodivergenze – non solo in età evolutiva, ma anche del peso che queste condizioni, se non attenzionate, possono avere sulla vita adulta. Di conseguenza abbiamo potuto anche osservare più diagnosi e centri diagnostici dedicati. Complici di questo fenomeno sono stati senza dubbio il lockdown del 2020 e la diffusione di contenuti sul tema tramite social network come Instagram e TikTok.

Non conosciamo ancora precisamente l’impatto dell’isolamento del COVID-19 sulle vite di tuttə, ma senza dubbio è stato affrontato in modi molto differenti. Se per la maggior parte delle persone il lockdown ha rappresentato un periodo nero e di forte distress psichico a causa dell’isolamento sociale, moltə altrə si sono accortə di sentirsi a proprio agio in un contesto di minori richieste sociali. Questo ha evidenziato come in termini di “energie sociali” non tutte le persone funzionino allo stesso modo e possano potenzialmente rientrare in quella che è una neurodivergenza. Inoltre, l’attuale possibilità di accedere a contenuti di salute non solo da parte di professionistə sanitariə, ma anche di persone che vivono diverse condizioni, ha dato modo a una popolazione prima sommersa – come quella che vive giornalmente con ADHD e spettro autistico – di potersi far conoscere e di comunicare il suo modo di vivere con le difficoltà legate all’interfacciarsi con una società neurotipica.

Senza dubbio è anche vero che moltə professionistə hanno approfittato del periodo per allargare il proprio bacino di clientela, spesso offrendo percorsi diagnostici “rapidi e a prezzi calmierati” che però non presentano standard di qualità o valutazioni approfondite dei reali bisogni di chi si presenta in consultazione. Inoltre, diversi percorsi “prêt-à-porter” per la diagnosi non forniscono poi alla persona psicoeducazione e coaching rispetto alla neurodivergenza, o non indirizzano il paziente alle successive possibilità di supporto sia di stampo terapeutico (anche farmacologico) che assistenziale.

Questo fenomeno si è anche accompagnato a una divulgazione estremamente approssimativa e “catchy” sui social network, che però ha lanciato una serie di messaggi superficiali e male interpretabili senza permettere di approfondire questi temi. Per esempio: a quante persone è venuto il dubbio che «in fondo tuttə siamo un po’ autisticə/ADHD» e che quindi non ci dobbiamo occupare del problema? Se da un lato questa grande diffusione mediatica ha favorito l’autoidentificazione di molte persone in una condizione di divergenza – aspetto che ritengo positivo, soprattutto se seguito poi da un percorso di diagnosi con professionistə formatə – dall’altro non sempre è stata seguita dalla divulgazione di contenuti in linea con le evidenze scientifiche e i principi di deontologia professionale.

Voglio comunque sottolineare l’importanza di poter finalmente parlare di neurodivergenza sui social media, perché moltə colleghə e pazienti hanno finalmente trovato risposta a diverse annose questioni della loro vita e hanno iniziato a chiedere percorsi di formazione e di diagnosi in merito nel nostro paese.

 

L’altra osservazione da cui vorrei cominciare è l’incidenza davvero difficile da ignorare di presenze neurodivergenti nel mondo kinky. A un aperitivo poliamoroso, un party queer o un corso di bondage si incontrano decisamente più casi che in altri contesti. A cosa attribuiresti questo fenomeno?

Rodolfo Pessina

Rodolfo Pessina

Più che di semplice “mondo kinky” parlerei in generale di una maggiore esplorazione e apertura affettiva, relazionale e sessuale delle persone neurodivergenti, che in alcuni casi si estende all’identità in termini di orientamento, genere ed espressione/ruolo. Basti pensare alla forte correlazione che si osserva tra neurodivergenza e identità di genere non conformi – come trans e non binarie – od orientamenti sessuali insoliti quali lo spettro dell’asessualità. Questo rapporto può essere spiegato attraverso la definizione stessa di neurodivergenza: se la mia mente tende a funzionare in maniera “non convenzionale”, quanto mi possono stare stretti degli standard imposti dalla società quando mi trovo a fare sesso o a scegliere la mia rete affettiva?

Molte convenzioni a livello affettivo-relazionale e sessuale risultano essere non solo ostiche per l’adattamento di una persona neurodivergente, ma, in alcuni casi, anche “prive di senso logico”.

Inoltre sappiamo che non serve essere una persona neurodivergente per decostruire standard imposti come sessismo, binarismo in tutte le sue forme, etero-mono-amatonormatività. Per una persona neurodivergente però questo lavoro di decostruzione inizia molto più precocemente rispetto a una persona neurotipica perché – per usare le parole di tantə pazienti – fin dai primi anni di vita moltə si sono sentitə «stranə, diversə, senza un posto nel mondo» anche solo per il proprio modo di interagire e relazionarsi con altrə. Riassumendo, le persone neurodivergenti possono percepire le norme sociali e di interazione in modi differenti, ed essere più attratte da pratiche sessuali che possono sembrare meno convenzionali. Queste sessualità alternative spesso prioritizzano consensualità e sicurezza, e possono fare sentire questi soggetti più a loro agio nell’esprimere i propri desideri e limiti.

Inoltre in molti casi la neurodivergenza si accompagna a patologie che ostacolano un “sesso tradizionale”, come endometriosi, vulvodinia, fibromialgia o anche solo a una percezione sensoriale differente. Qui i kink andando oltre il semplice concetto di sesso come atto penetrativo permettono a persone neurodivergenti di vivere una dimensione giocosa e ludica, magari anche staccata da un concetto di attrazione sessuale – che è un aspetto importante anche per coloro che si riconoscono in orientamenti quali esempio asessualità e greysessualità.

Infine molti individui che si identificano come neurodivergenti possono trovare un senso di appartenenza e accettazione all’interno di comunità kink o non monogame, perché questi ambienti possono offrire opportunità per esplorare la propria sessualità in modi che si sentono più autentici e liberatori, o anche attraverso regole ben precise che trasmettono sicurezza quali il principio dell’SSC, in un contesto che valorizza la comunicazione aperta, libera da stereotipi o pregiudizi su “cosa il sesso e la relazione dovrebbero essere”.

 

Prima di andare avanti vorrei prevenire una possibile critica chiedendoti se queste osservazioni sono supportate da dati scientifici.

Certo! La letteratura è ancora limitata, ma negli ultimi anni ci sono state diverse pubblicazioni nell’ambito psico-sessuologico accademico e in ambito di ricerche community-based, cioè svolte all’interno della stessa comunità neurodivergente, queer, poly e/o kinky.

Ecco una selezione da cui cominciare:

 

Grazie. Affrontiamo allora una questione antipatica che era emersa anche in una conversazione con il kink coach autistico John Pendal. In sostanza, si diceva che la schematicità e l’accoglienza delle diversità nel mondo kinky tendessero ad attrarre persone neurodivergenti… ma anche che a volte queste ultime se ne approfittino, trasformando una sacrosanta inclusività nella loro scusa per imporre comportamenti giudicanti proprio verso chi ha interiorizzato l’assenza di giudizio.

Credo che la si possa vedere così: non è detto che far parte di una minoranza invisibile od ostracizzata renda immuni dal giudicare o discriminare, e anche le persone neurodivergenti possono ricadere in meccanismi di categorizzazione, stereotipizzazione o di giudizio/pregiudizio nei confronti di altrə. Parlando di persone disabili, Marina Cuollo osserva che si può essere allo stesso tempo disabilə e stronzə. A mio parere questo ci rende semplicemente persone, soggette ai meccanismi automatici della psicologia sociale che possono essere controbattuti solo fino a un certo punto dallo sforzo cosciente verso il rispetto reciproco delle differenze.

Dobbiamo imparare a non generalizzare e a vedere il singolo particolare: anche se hanno decostruito una serie di principi, non tutte le persone – neurodivergenti o neurotipiche che siano – si comporteranno nel medesimo modo. Per questo credo sia importante che le varie comunità incentrate sulle sessualità alternative accolgano le persone neurodivergenti e il loro vissuto cercando di entrare in dialogo, rispetto e convivenza delle differenze, anziché puntare solo alla semplice inclusione. Visto quanto si parla di inclusività sui social sembra paradossale, ma come dice la linguista Vera Gheno, ‘inclusività’ significa che un gruppo maggioritario dalla sua posizione di privilegio “accetta” la presenza di un gruppo minoritario e lo assimila. Ma questo stesso processo può essere poi messo in atto al contrario, dal gruppo minoritario, senza che tuttavia si osservi un abbandono delle dinamiche di potere e forze in gioco. Per questo oggi si dovrebbe più propriamente parlare di ‘convivenza delle differenze’, valorizzando il punto di vista di tutti i membri della comunità siano essə persone kinky, vanilla, poly, monogame, queer, cishet, neurotipiche o neurodivergenti.

 

E tu come pensi si evolverà questo percorso verso la neurodiversità? Di cosa c’è bisogno per raggiungere una convivenza ideale per tuttə?

Amo molto il termine ‘neurodiversità’ perché racchiude tuttə, persone neurotipiche e divergenti, mostrando come vi sia un continuum fluido e sereno nel funzionamento neuropsicologico della popolazione generale, e non una semplice spaccatura tra “normale/anormale; sano/malato”. Credo che i media dovrebbero spingerlo anche più di ‘neurodivergenza’, perché sottolinea il vero obiettivo per cui si parla tanto di queste condizioni – cioè rendersi conto, dare spazio ed esaltare la diversità che pervade la società umana come forza motrice di cambiamento e progresso. E, soprattutto, evidenzia che è possibile una convivenza delle diversità perché nessunə include nessunə, ma tuttə vivono assieme nel pieno rispetto.

Nella società fluida moderna, come direbbe Bauman, abbiamo assistito a una modesta ma progressiva convivenza di modi differenti di vivere le relazioni, la sessualità, il funzionamento corporeo e mentale, le etnie e le culture. Parliamo apertamente di non monogamie consensuali, orientamenti affettivi e sessuali, pratiche non convenzionali e disabilità, ad esempio. Non vedo perché questo percorso non possa allargarsi ulteriormente anche al funzionamento neuropsicologico della persona, ponendo attenzione alle esigenze e alle necessità di diversi gruppi e non solo della maggioranza.

Credo che il primo passo verso una reale convivenza sia l’educazione, ed è il motivo per cui faccio divulgazione e mi sono prestato a questa intervista. Oltre a spiegare è poi importante anche mostrare, così credo che una maggiore rappresentatività della neurodivergenza a livello della vita quotidiana – come social e serie tv – sia fondamentale per far comprendere cosa significa a chi vive “nella maggioranza”, e che non è così spaventoso/anormale/strano come appare solo perché «non sono abituato a vederlo tutti i giorni».

Se a differenza di appena mezzo secolo fa, nonostante diverse tendenze reazionarie recenti, non ci pare più assurdo vedere una persona BIPOC o una donna alla guida di un grande stato, lo dobbiamo ad avere aperto i nostri orizzonti tramite la conoscenza e l’esperienza diretta. Due obiettivi che ritengo realizzabili e doverosi in una società sempre in stretto contatto grazie alle nuove tecnologie.

 

Fammi fare l’avvocato del diavolo e dimmi: al di là di tutti questi bellissimi concetti – che condivido pienamente – cosa risponderesti a chi segnala una specie di “gara a chi è più strano” nelle varie community? L’osservazione e che partendo dalla orgogliosa definizione di ‘diversə’ degli anni ’60 per indicare l’omosessualità ci sia stata una corsa ad affibbiarsi etichette specialistiche nelle preferenze, le pratiche, le relazioni, le identità… e ora anche le neurodivergenze.  In effetti anche a livello mediatico non mancano personaggi che sembrano cercare di autoghettizzarsi il più possibile pur di ottenere attenzioni o conquistare leve morali nelle discussioni… o no?

 Ah, la famosa ‘gara a chi è più strano’…

Ritengo che questa interpretazione che tende a ridurre tutte le diversità – anche non neurologiche – a una competizione di originalità o mera voglia di farsi notare attraverso l’alternatività, possa fondarsi nell’estraneità a certe esperienze di vita. In realtà, ciò che alcuni vedono come una “appropriazione” della neurodivergenza da parte di alcune comunità minoritarie, tra cui quella queer, non è altro che un profondo bisogno di riconoscimento e di appartenenza.

Per esempio, neurodivergenza e identità queer spesso condividono esperienze comuni: entrambe rappresentano modi di essere che deviano dalla “norma” e che vengono spesso marginalizzati e fraintesi. Non si tratta di una lotta per il titolo di chi è “più particolare”, ma di un percorso con cui rivendicare la propria esistenza al di là delle etichette imposte dall’esterno. La possibilità di riconoscersi in più identità – queer, neurodivergente, o altro – è un atto di autoaffermazione, non di spettacolarizzazione.

Chiunque abbia mai vissuto l’esperienza di sentirsi fuori posto sa bene quanto sia fondamentale dare un nome al proprio vissuto. Non si tratta di inventarsi etichette per il gusto di farlo, ma di trovare modi per descrivere la propria realtà e sentirsi visti. È facile parlare di “competizione” quando non si è mai stati costretti a lottare per un senso di identità e appartenenza. Credo che affermazioni del genere vengano tipicamente da chi fa parte di una maggioranza che detiene un privilegio di cui non si rende pienamente conto.

Credo che ognunə di noi debba imparare a riconoscere le forme di privilegio e discriminazione connesse alle proprie identità in un’ottica intersezionale. Siamo tuttə composti da più identità che risultano “diverse” per qualcun altrə e comportano vantaggi e svantaggi secondari, ma di solito ha poco senso strumentalizzarli in confronti alla ricerca di attenzioni o vantaggi “morali”.

Rodolfo Pessina

Ti propongo due scenari. Nel primo c’è una persona kinky neurotipica che incontra una persona neurodivergente aperta a esplorare le sessualità alternative. Tu quali attenzioni raccomanderesti a entrambe? E come cambia la responsabilità dei partner?

Quando si parla di sessualità alternativa, sia per persone neurotipiche che neurodivergenti, ci sono alcune attenzioni e considerazioni importanti da tenere a mente che valgono per entrambe le popolazioni. Facendo un breve elenco, credo siano fondamentali i seguenti elementi:

  • Consenso chiaro e informato: è fondamentale che tutti i membri coinvolti abbiano una comprensione chiara delle dinamiche relazionali e delle aspettative. Il consenso dovrebbe essere continuo e può essere revocato in qualsiasi momento.
  • Comunicazione aperta: La comunicazione è essenziale, soprattutto per persone che hanno difficoltà nella comprensione delle dinamiche sociali o del linguaggio retorico, come ad esempio alcune persone nello spettro autistico. Parlare apertamente dei desideri, limiti e delle preoccupazioni è fondamentale. Usare un linguaggio chiaro e non ambiguo e spiegare in maniera dettagliata e chiara quello che ci si aspetta e che potrebbe accadere, aiuta a prevenire malintesi.
  • Rispetto dei limiti: rispettare i confini personali e le esigenze degli altri è cruciale. Ogni persona ha il diritto di stabilire le proprie regole e limiti in una relazione o sessualità alternative.
  • Gestione delle emozioni: per tutte le persone coinvolte è importante prepararsi a gestire emozioni forti – come gelosia o rabbia – con strategie per far fronte ai trigger scatenanti e agli stessi sentimenti, anche grazie a una discussione aperta con le altre persone. Questo è importante soprattutto per chi ha disregolazioni emotive importanti, come avviene ad esempio per persone ADHD o autistiche in corso di crisi emotiva esplosiva (meltdown) o implosiva (shutdown). Alcune persone potrebbero quindi necessitare di spazi sicuri per esprimere e discutere i propri sentimenti e per autoregolarsi, come delle stanze separate, a basso impatto sensoriale (“chill room”).
  • Struttura e routine: stabilire una routine strutturata può essere particolarmente utile per persone nello spettro autistico, che possono trarre vantaggio dal sapere cosa aspettarsi in diverse situazioni relazionali. Spesso vale il contrario in persone ADHD, che possono preferire maggiore spontaneità nella relazione e nel rapporto sessuale.
  • Sensibilità sensoriale: considerare le preferenze sensoriali è importante, non solo per persone neurodivergenti. Ciò potrebbe includere elementi come il tatto, gli odori/profumi, l’illuminazione e i suoni.
  • Personalizzazione delle pratiche: quando si ha a che fare con persone neurodivergenti bisogna essere aperti e disponibili a personalizzare le pratiche relazionali e sessuali per rispondere ai bisogni specifici della persona.
  • Riconoscere e validare le diverse esperienze: è cruciale riconoscere che le esperienze di ogni persona – di qualsiasi tipo – sono uniche. Validare le loro esperienze e ascoltare le loro preoccupazioni è fondamentale, soprattutto quando qualcosa sembra andare storto nella pratica sessuale. In particolare, nelle pratiche che possono implicare l’uso di sostanze (come il chemsex) bisogna tenere anche in conto che la neurobiologia delle persone neurodivergenti può essere differente e portare a effetti paradossali o collaterali inaspettati.
  • Educazione alla diversità: tuttə dovrebbero essere apertə a imparare dalle esperienze reciproche e a riconoscere le differenze nelle preferenze e nelle necessità.
  • Spazio per la negoziazione: creare spazi sicuri per negoziare le regole relazionali e affrontare eventuali preoccupazioni in un contesto rispettoso e non giudicante è importante per permettere una convivenza di diversità nel contesto di una sessualità alternativa.
  • Autocura: entrambi i gruppi (neurodivergente e neurotipico) dovrebbero prestare attenzione alla propria salute mentale e fisica, assicurandosi di avere accesso alle risorse necessarie per sostenere il benessere personale.

In sintesi, la chiave per una sessualità alternativa aperta, sia per persone neurotipiche che neurodivergenti, è la comunicazione chiara, il rispetto reciproco, e l’attenzione alle esigenze individuali, con un focus su consenso, supporto emotivo e educazione continua.

 

È interessante come tu abbia appena descritto lo stesso tipo di approccio che ho proposto nel Manifesto degli esploratori sessuali. Ma passiamo al secondo scenario: una mattina mi sveglio e, a furia di essere circondato da persone kinky neurodivergenti, mi viene il dubbio di essere anche io un po’ stranuccio. Come devo comportarmi?

Posso pensare di chiedere un parere a unə professionista di salute mentale esperto in neurodivergenze. Oggi come oggi non è facile trovarne unə o controllare la sua formazione e il suo curriculum: per alcunə professionistə si può controllare se abbiano acquisito un titolo di specializzazione ad hoc – come nel caso degli psicologi, per cui esiste una scuola di specializzazione in ‘neuropsicologia’. Per altrə professionistə quali medicə neurologə e psichiatrə non esistono studi specifici nelle scuole mediche italiane, e spesso si sono formatə dopo il periodo di specializzazione. In Italia inoltre non ci sono Linee Guida sui PDTA (percorsi diagnostici-terapeutici-assistenziali) per persone con neurodivergenza, e possedere una formazione su una neurodivergenza – per esempio l’ADHD – non significa essere preparatə sulle altre. Per dire: pochə conoscono e sanno trattare la sindrome di Tourette! Tutto questo rende difficile capire come scegliere professionistə di salute mentale giustə per noi e per la nostra particolare situazione. A questo scopo stanno nascendo società scientifiche senza scopo di lucro di professionistə associatə, come ad esempio la Rete Italiana ADHD, per guidare i pazienti a percorsi di diagnosi, cura e abilitazione che siano il più possibile condivisi tra più espertə, anche tenendo conto delle Linee Guida a livello internazionale come quelle presenti nel Regno Unito.

Prendiamo il caso di una persona che volesse esplorare il proprio dubbio di avere l’ADHD. Sebbene sia facile somministrare l’intervista diagnostica per l’ADHD nell’adulto (che si chiama DIVA), pochə sanno che tale strumento non basta per giungere a una diagnosi chiarificatrice e funzionale per il percorso futuro della persona. Spesso sono infatti necessari diversi test neuropsicologici e psicometrici per fare una corretta diagnosi differenziale con altre condizioni di salute mentale – per esempio ansia e depressione, o disturbi di personalità – ma anche per valutare i punti di forza e debolezza di una persona rispetto alle proprie funzioni mentali, tutte informazioni fondamentali per supportarla nel percorso successivo.

 

Grazie infinite per la tua disponibilità. Prima di salutarci, ti va di dirci dove ti si può trovare?

Grazie a te per avermi dato spazio e modo di parlare di questo argomento, Ayzad!

Potete trovarmi su Instagram come @sexotan_gocce, dove sono presenti una serie di contenuti di divulgazione su diverse tematiche inerenti la salute mentale e sessuale.
Se invece siete interessatə a prenotare una visita con me potete accedere al mio Linktree o direttamente al portale MioDottore per fissare un appuntamento.

Le mie pubblicazioni scientifiche si trovano infine su PubMed.

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