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Sesso insolito e disabilità – Intervista con Anna Castagna

L’anno scorso ho avuto il piacere di ospitare all’evento kinky che organizzo tutti i mesi a Milano un laboratorio senza precedenti su eros insolito e disabilità. La relatrice era una persona straordinariamente vivace e arguta, che ha lasciato tutti i partecipanti a bocca aperta (e occhi bendati, ma quella è un’altra storia). Farvi perdere l’occasione di conoscerla mi sembrava un peccato, così ho provveduto subito con un’intervista…

 

Ayzad – Ehilà! Io sono Ayzad, quello che ti ha invitata a tenere un workshop su disabilità e BDSM al Sadistique. E tu chi sei?

Anna Castagna – Ciao! Io sono Anna, e non credo basterebbe un libro intero per descrivermi. Riassumendo al massimo, diciamo che sono una persona molto dinamica: amo le sfide e le emozioni, mi piace mettermi in gioco e penso che nella vita non si smetta mai di imparare. Amo il BDSM. Mi occupo di sessualità: ho una laurea in Scienze dell’educazione, una in Scienze e tecniche psicologiche, e sono certificata come educatrice e consulente sessuale presso l’AISPA.  Ah, giusto: sono anche disabile.

 

Ti devo fare una confessione. Quando ti ho chiesto di intervenire in un contesto così ludico come quello di un club kinky avevo un po’ paura che i partecipanti reagissero negativamente a una proposta così insolita. La prima sorpresa è stata invece ricevere un sacco di riscontri positivi già nelle settimane precedenti l’evento: credi che sia dipeso dalla presenza di tanti esploratori sessuali, o è proprio l’argomento a risuonare con l’interesse generale?

Credo che, come in ogni cosa, il successo di un progetto non dipenda solo da una causa ma da molte. L’argomento sta sicuramente cominciando a uscire dalla nebbia e a suscitare curiosità, benché ci sia ancora molto lavoro da fare. Vedere tutto quell’interesse mi ha fatto piacere, e credo che oltre agli esploratori ci fossero molte persone davvero aperte mentalmente. Il vero punto di svolta è la voglia di porsi domande sempre nuove, lasciare il vecchio per aprirsi al nuovo… e spero tanto di aver contribuito almeno un pochino a stimolare questo approccio.

 

A quanto mi risulta, però, è stata la prima volta che in Italia si sia parlato di eros non normativo e disabilità… e una delle poche su sesso e disabilità in generale. Come mai?

Purtroppo la disabilità è ancora considerata una condizione asessuata. Se ancora non siamo riusciti a scardinare del tutto questo concetto, pensa quanto scalpore possa fare parlare addrittura di disabilità e sessualità alternative! La nostra cultura subisce ancora una serie di influenze che ci porta a ritenere le persone diversamente abili poco attraenti, non sensuali, fragili, quasi imprigionate in un’aura di infanzia perenne. Finchè non si lavorerà su questi stereotipi sarà difficile riuscire ad affrontare certi temi a 360 gradi.

 

Eppure sono condizioni che riguardano… quanti nostri connazionali?

Calcola solo che il 7,2% delle persone in Italia è affetta da disabilità, quindi sono circa 4,5 milioni di cittadini.

 

 …che, applicando la celebre statistica per cui un italiano su sei nutre fantasie erotiche di dominazione e sottomissione, ci porta a una popolazione di 750.000 persone. Al di là del fatto che la sessualità è un diritto per tutti che non andrebbe ignorato nemmeno se coinvolgesse una sola persona, non sono cifre da “fenomeno marginale”! Se penso a quante energie si perdono per litigare attorno all’immigrazione in Italia, che riguarda un non dissimile 8,5% della popolazione, sembra un disinteresse davvero assurdo.

 

Proprio così: dici bene su come non andrebbe ignorato nemmeno se riguardasse una sola persona! Tuttavia resta un argomento lasciato in secondo piano, come se non destasse abbastanza interesse. Io credo che, al di la di cifre e statistiche, la verità sia che l’argomento delle sessualità alternative unite alla disabilità sia considerato molto scomodo da una società fondata ancora su idee morali per cui alcune pratiche dovrebbero essere “non appropriate”. Se consideri che ancora non siamo ancora riusciti a muovere dei passi importanti nell’affrontare la sessualità vanilla dei diversamente abili, figurati quando si mette in campo roba come il BDSM!

 

anna castagna

Anna Castagna; Ph. FudeSan

Mi sa che questo è il momento giusto per raccontare cosa hai fatto fare a chi ha partecipato al tuo workshop.

Il mio obiettivo era portare i partecipanti a fare quello che io definisco “il crack”. Con questo termine indico la distruzione degli stereotipi che ci siamo portati dietro fino a quel momento, in modo di dare spazio a nuovi concetti. Un crack non significa trovare delle risposte, ma cominciare a porsi domande nuove.
Durante l’incontro ho fatto bendare le persone così da renderle disabili per un breve momento, facendo loro condividere la stessa disabilità ma ciascuna chiaramente con una storia e con emozioni differenti. Poi ho chiesto loro di pensare alle prime tre cose che gli fossero venute in mente pensando alla parola ‘disabile’. Dopo qualche minuto di conversazione ho quindi invitato tutti a ripensare a quelle parole, facendoli riflettere come sarebbe stato se qualcuno avesse considerato la loro persona sulla base dei limiti e degli aggettivi che loro stessi avevano istintivamente associato al concetto di disabilità.
Il fatto è che, nel BDSM come nell’incontro con la disabilità, i limiti che leggiamo nell’altro non sono tanto suoi quanto nostre proiezioni. Il punto di svolta è arrivare a questa consapevolezza e riconoscere come a volte la diversità possa farci paura.

 

Parole sante… però è anche vero che alcuni pregiudizi emersi non sono del tutto campati per aria, tanto che li avevamo perfino previsti in fase di preparazione dell’incontro. Partiamo da quello più antipatico, così togliamo di mezzo il proverbiale elefante in salotto: alcune persone disabili, comprese alcune con un profilo mediatico molto forte, hanno atteggiamenti insopportabili. Per quanto sia comprensibile che una vita di discriminazioni possa rendere meno gioviali, c’è pure chi della sua condizione si approfitta per pretendere di non sottostare alle norme della convivenza civile.

È vero: capita molto spesso. Purtroppo il “limite” del condizionamento sociale di cui parlavamo prima investe tutti, disabili compresi. Io ritengo infatti che sia assolutamente necessario fare una sensibilizzazione a 360 gradi. Lo dico spessissimo: «Non possiamo chiedere di essere capiti se siamo noi stessi i primi a non farlo, o peggio ancora a discriminare l’altro.»

 

Continuo a fare l’avvocato del diavolo, e ribatto: «Facile dirlo per te, che sei giovane, bella, emancipata e abiti non lontano da una metropoli cosmopolita come Milano…»

No, dirlo non è facile per nessuno, e intendo proprio nessuno, nemmeno per quelle persone che stanno combattendo battaglie meno appariscenti delle nostre sedie a rotelle. I problemi non si vincono giocando a chi sta peggio, ma osando.
Hai mai pensato che forse io sono come mi hai descritta perché sono uscita dal guscio e dalla nebbia, e non il contrario?

 

Ok, fammi tornare a un ruolo a me più consono. Come praticante di BDSM mi viene da osservare che, al di là di tutto, anche chi non ha pregiudizi si trova però spiazzato a rapportarsi con un corpo insolito, con necessità e limiti diversi da quelli con cui si è abituati a relazionarsi. Chi fa BDSM impara a stare attentissimo alla sicurezza e al benessere del partner, ed è comprensibile una certa paura di fare danni imprevisti.

Ma avere paura non è mica una cosa brutta! Io credo sia anzi bellissimo, e forse è proprio la paura suscitata dalla diversità a renderla affascinante; basta solo capirlo, ammetterlo, e giocarci insieme nell’ascolto e nel dialogo. È un bene che ci si preoccupi dell’incolumità degli altri, anche perché davanti a corpi “diversi” è appropriato agire con cautela, cercando di capirli, sentirli e conoscerli. Sono convinta che sia sempre meglio fare una domanda in più che una in meno, perché nessuno può intuire come il partner reagisca nella mente, nel corpo e nell’emotività.

Anna Castagna

Anna Castagna; Ph. FudeSan

Un altro tema emerso nell’incontro sono le disabilità psichiche…

Si, esatto. Però in quell’ambito non ho voluto dilungarmici perché la pratica del BDSM si basa sul concetto di consenso… e nel caso di disabilità psico/intellettive il consenso non è riconosciuto e riconoscibile, per cui cade nel nulla tutto ciò che ruota attorno a incontri complessi come le sessioni BDSM. Tuttavia, eros estremo a parte, ritengo sia doveroso porre l’accento come anche le persone affette da disabilità psico/intellettiva abbiamo il diritto di vivere e conoscere la sessualità compatibilmente con le loro storie di vita e i loro limiti personali. Non si può mica continuare a sostenere che non abbiano anche loro esigenze sessuali!

 

…e, fra gli altri temi, i compromessi legati a una condizione di disabilità. Ricordo una battuta tremenda da un film credo di Kevin Smith: «Adoro scoparmi le ragazze cieche: sono così grate…» Mettiamo da parte le ipocrisie e chiediamoci: quanto c’è di vero su come tutti i pregiudizi di cui abbiamo parlato influiscano sul consenso delle persone disabili?

Sicuramente vi influiscono molto: purtroppo il pregiudizio agisce come un’onda che travolge tutti indistintamente, compresi i diretti interessati. Qui sarebbe molto interessante analizzare il significato profondo del concetto di consenso: quanto consenso può esserci veramente se mi sento inferiore a te?
Quanto consenso può esserci veramente se non mi sento all’altezza? Se penso di poter avere solo questa occasione per vivere la mia sessualità?
Questa è l’occasione perfetta per sottolineare come tale fenomeno nasca dalla poca conoscenza di sé, del proprio corpo e della propria sessualità. Basterebbe fare una vera sensibilizzazione, una vera educazione alla sessualità per arginarlo a monte. Per essere davvero liberi di scegliere bisogna avere i mezzi attraverso cui comprendere del tutto la situazione: se non si ha modo di analizzarla criticamente si finisce per forza sul ricadere sulle poche scelte di comodo che già conosciamo. Che si trattasse di una battuta o di un caso reale, nel tuo esempio salta all’occhio in entrambi i protagonisti la mancanza di una sensibilizzazione nei confronti del sesso, del proprio corpo e di quello del partner.

 

Prima di chiudere vorrei chiederti anche se il workshop abbia portato qualche nuova consapevolezza anche a te.

Oh, sicuramente! Soprattutto sul fatto che parlare in pubblico mi dà molto meno disagio di quel che pensassi… No, scherzi a parte: mi ha fatto proprio piacere riscontrare tutto quell’interesse, che a essere sincera non mi aspettavo.

 

Ti ringrazio moltissimo per il tempo che mi hai dedicato e per tutto il resto. Se qualche lettore volesse saperne di più sul tuo lavoro, dove può trovarti?

Accidenti, me lo chiedi proprio ora che sto ristrutturando completamente tutta la mia presenza online! Come dicevo prima, amo molto sperimentarmi e sto per buttarmi in un nuovo progetto un po’ matto. Non è il momento di anticipare nulla, ma quando sarà pronto potrai aggiornare l’articolo con il giusto link?

 

Altroché, anche perché sono curiosissimo di vedere cosa ti stai inventando!

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