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Sei abbastanza BDSM?

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Abbiamo tutti i nostri alti e bassi.

Io, per esempio, ho ricevuto da poco la mail di una persona che mi ha riscoperto la settimana scorsa dopo avermi seguito quando ancora scrivevo racconti erotici estremi (ho smesso circa 25 anni fa: l’ultimo è questo). «Ho visto i tuoi video,» scrive fra le altre cose, «e sei molto diverso da come mi immaginavo».
È una cosa che mi dicono relativamente spesso: lo so anch’io di avere l’aspetto da seminarista, e in effetti se era partita con l’idea che fossi il Masterone Tenebroso™ si capisce come il messaggio lasciasse percepire che un po’ c’era rimasta male. Il fatto è, tuttavia, che ci sono almeno due modi di vedere i giochi erotici di dominazione e sottomissione.

Da una parte c’è quello delle fantasie, che hanno a che fare soprattutto col risvegliare istinti annidati dalle parti delle mutande. Lì non sembrerebbe, ma si gioca facile: basta ripassarsi il bigino degli archetipi, abbassare le luci e fare la voce profonda, uguale uguale a quando leggi le pagine del Lupo Cattivo al Nipotino Gigetto.

«Avvicinati all’antro oscuro del mio cuore, se osi. Sappiamo entrambi quanto bisogno ti strugge di calare la maschera, liberarti dall’estenuante recita di brava ragazza, di donna vincente, ed essere finalmente te stessa, senza finzioni. Vieni, e ti strapperò i vestiti d’addosso mettendo a nudo la femmina; animale di carne ignorata e indifesa, che fremerà nella stretta delle mie dita e dei miei denti.
Lasciati alle spalle i dubbi che ti dilaniano da sempre di non essere abbastanza. Imprigionata in queste corde, tese con l’arte antica di una sapienza esotica riservata a nobili sacerdoti del piacere come me, vedrai il tuo vero valore misurato nel turgore marmoreo della mia virilità suprema. Perché tu no, davvero non sei abbastanza – ma attraverso il mio severo addestramento ti plasmerò nella creatura più splendida di tutti i tempi e gli universi. Ti prometto che piangerai fino a non sapere più formulare un pensiero per le sevizie delle mie camere segrete dei sospiri, che soffrirai fino a dimenticare il tuo nome, che calpesterò la tua anima frangendola in mille schegge luccicanti. Ma ti prometto anche che se accetterai con vera sincerità i miei segni sulla tua pelle, ti donerò nuovi pensieri, un nuovo nome e una nuova anima con cui rinascerai urlando l’orgasmo più intenso di tutta la tua vita – e insieme voleremo nell’abisso infinito della mia essenza di Dominatore…»

No… carino, eh? Conosco qualche dozzina di personaggi – e personagge, naturalmente – che con questo approccio han fatto così tante tacche alla testata del letto che oggi dormono su un futon. C’è un po’ il fatto che, a ben guardare, di tutte quelle conquiste ne hanno avuto bisogno perché a lungo andare la sceneggiata non regge. Salvo essere davvero i Christian Grey de noantri col superattico, l’elicottero e un cavolo da fare tutto il giorno, a un certo punto ti beccano in ciabatte o a bestemmiare dietro al capufficio, e addio poesia. Per non parlare della marmoreità, su cui forse conviene non fondare l’intera propria strategia.

Dall’altra parte invece abbiamo un approccio più pragmatico, che oltre all’eccitazione tiene conto di questioni terra-terra tipo la sicurezza delle pratiche, il benessere personale, la praticità delle situazioni o la banale realtà delle cose quotidiane. Nel complesso funziona di sicuro, però non ci sono scorciatoie: per seguire questa strada tocca tornare coi piedi per terra e studiare un sacco prima di saltarsi addosso.
Va da sé che, soprattutto se lo fai per mestiere, è più probabile poi assomigliare a un supplente di filosofia che a un supereroe bombato di Viagra. Succede.

Se però razionalmente non c’è alcun dubbio… beh, mentirei se non riconoscessi che episodi come questo qualche incertezza la fanno venire pure a me. Sta’ a vedere che a furia di intellettualizzare l’eros magari abbia perso di vista l’emozione viscerale di tutti quei giochini per cui ho cominciato a interessarmi di questa roba! Allora parte l’esamino di coscienza, qualche controllo pratico – e no, dalla regia mi confermano che è ancora tutto a posto, grazie al cielo.

Il punto è che non sono il solo a nutrire questo tipo di insicurezza occasionale. Come coach sono stato interpellato diverse volte da persone timorose di “non essere abbastanza kinky”. Non sono casi poi così diversi da quello di chi si rivolge disperato a un sessuologo perché non si sente all’altezza delle prestazioni dei video porno: per quanto sappia bene che si tratti di fiction ampiamente aiutata da regia e montaggio, quel pelo di ansia da prestazione è sempre in agguato.
Esperti o appena entrati nell’universo delle sessualità alternative, è facile confondere le immagini idealizzate delle fantasie erotiche con la vita reale, o temere che i partner pretendano sempre performance da Gran Premio dello Scudiscio. Capita anche ai migliori, e la soluzione di solito è ricordarsi che il sesso – di qualsiasi tipo – si dovrebbe fare per piacere e divertimento, non per soddisfare standard arbitrari imposti dall’esterno, e spesso immaginari.

Ma non è finita qui.

 

Che cosa è il BDSM?

Non avevo ancora finito di farmi una risata sulle umane debolezze, che è arrivata un’altra stoccata imprevista. Il telefono ha squillato, e un caro amico e collega mi ha chiesto a bruciapelo: «Che cosa definisce il BDSM?».

Si tratta di una domanda che nel corso degli anni mi hanno fatto almeno trentamila volte, quindi gli ho rifilato una dopo l’altra le varie risposte cui sono arrivato nel tempo. «È l’insieme di quei giochi erotici in cui un partner sceglie quali emozioni e sensazioni far provare all’altro, e quest’ultimo accetta di sperimentarle fino in fondo senza opporsi a nulla che ricada entro i limiti concordati»; «È l’arte di rendersi vulnerabili»; «È il passaggio circolare di energie in un rapporto caratterizzato da squilibrio di potere»; «È come il matrimonio, ma consensuale»… Eppure no. Ogni definizione veniva rimbalzata con un’osservazione ineccepibile: «e che differenza ci sarebbe allora con il più generico kink?»

Va detto che, con questa persona in particolare, abbiamo il discutibile hobby di mantecarci le gonadi impuntandoci in questioni filosofiche che farebbero impazzire pure i teologi bizantini. Il suo punto di vista tuttavia non era sbagliato: se cominciamo a definire ‘BDSM’ anche una sculacciatina in amicizia o far sesso bendati, la distanza abissale dall’estasi suprema della trascendenza ch’è propria della dominazione fatta come si deve diventa così evidente che anche un idiota capirebbe che c’è qualcosa che non va.
Ma, mannaggia, è proprio quel che sto facendo da un pezzo.

Quando vengo intervistato tendo sempre più a semplificare le cose, un po’ per non far addormentare chi mi ascolta e un po’ per tranquillizzare sia coloro che ancora temono che certe variazioni sul tema siano roba da satanisti assetati di sangue, sia proprio quelli che dicevamo prima – con l’angoscia di non essere sufficientemente alternativi.
Allora poi per forza la tizia che ha visto i miei video è rimasta delusa: mi sarò mica trasformato in un boomer delle perversioni? Altro controllo con la regia… no, decisamente no. Ma anche se fosse stato così…  cosa è che traccia il confine fra “il BDSM” – quello che popola i sogni di una persona su sei – e un miliardo di altri giochetti erotici non normativi, compreso fare le ombre cinesi col cazzo?

Se come abbiamo detto è ingiusto discriminare la gente per il modo in cui vive la propria sessualità, non può trattarsi dell’intensità delle pratiche, della loro frequenza, e a pensarci bene nemmeno di ciò in cui consistono. Se guardo la mia partner e le faccio avere un orgasmo solo ordinandoglielo, senza nemmeno un contatto fisico, non c’è certo meno dominazione che a infliggerle torture che farebbero tremare le ginocchia a Belzebù in persona – anzi. Lo stesso vale per quella coppia in cui tutto il gioco consiste nell’imporre che lui si vesta solo con gli abiti scelti dalla signora, dato che ciò dona a entrambi un piacere che tanti atleti da privé si possono solo sognare.
Ma allora perché applicarsi un elettrostimolatore dove non batte il sole è BDSM, e farlo su un ravanello no?

Vi anticipo che, alla fine, quell’amico non è rimasto del tutto convinto della mia conclusione. Tuttavia credo di avere da oggi una nuova, ulteriore risposta a quella domanda ricorrente. Secondo me il BDSM non è affatto un insieme di pratiche, di dinamiche, accessori, estetica o altri stereotipi – il BDSM è una cultura.
Più precisamente, è una cultura che nel corso del tempo ha creato e affinato una serie di strumenti come la safeword, la negoziazione, le norme di sicurezza e così via, che anche involontariamente tendono a sviluppare l’empatia e a disinnescare le forme pericolose e patologiche dell’istinto di dominazione e sottomissione che appare in qualsiasi mammifero, umani compresi. Ciascuno di noi poi sceglie come adattare questa cultura alle proprie esigenze, limiti, contesto e aspirazioni.
Quindi, ancora una volta – purché si abbia l’umiltà di imparare prima di buttarsi a capofitto in una roba che se si chiama anche ‘sesso estremo’ ci sarà pure un motivo – è assurdo temere di “non essere abbastanza BDSM”, o peggio ancora di non praticare “vero BDSM”.

Così, per deformazione professionale, mi è sembrato il caso di cogliere l’occasione e scrivere un articolo per tranquillizzare chi, una volta o l’altra, dovesse averne bisogno. Me compreso.

Come dicevo: abbiamo tutti i nostri alti e bassi. La giornata di oggi mi sa che me la segno proprio fra gli alti.

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