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Di recente mi hanno chiesto – per la milionesima volta – cosa sia il BDSM. Così ho ripetuto la risposta cui sono arrivato dopo decenni di pratica e studio: «l’eros estremo è l’arte di rendersi vulnerabili». Suona bene, è elegante ed è pure vero. Solo che sarà il caso di spiegare un po’ meglio.
Andiamo con ordine:
‘Arte’ è qualsiasi cosa riesca a toccarti nell’anima e trasformarti almeno un po’
Non importa che si tratti di un quadro, un brano musicale, un piatto ben riuscito o un incontro sessuale. Il punto è evolversi un pochino, capire qualcosa di più su se stessi, cogliere un’idea del mondo anche minimamente più chiara di prima.
Se mi seguite da un po’, ricorderete tutto il discorso sull’erotismo come chiave della trascendenza e contro il BDSM fatto tanto per fare. Il motivo è anche questo: se manca l’intento di vivere un’avventura si può al massimo fare della bella ginnastica e tanta scena, ma si tratta sostanzialmente di un’occasione sprecata.
Per poter fare arte bisogna prima conoscere il mestiere
«Per essere un grande artista bisogna avere talento», dicono. Che è vero, ma solo fino a un certo punto. Il talento iniziale può dare l’intuizione buona per azzeccare un’opera o due… ma da solo non basta. Il grosso del lavoro consiste nell’imparare a usare bene i propri strumenti – che si tratti di pennelli, di un sassofono, del proprio corpo o di quel giocattolo strano comprato online.
In effetti, ciò che permette di realizzare capolavori – arte, appunto – è proprio l’avere accumulato così tanta esperienza da non aver nemmeno più bisogno di concentrarsi sul come, potendosi focalizzare interamente sul cosa si stia facendo. Ciò vale anche per l’eros e le pratiche kinky, che essendo spesso complicate dal punto di vista tecnico ed emotivo richiedono necessariamente tanto esercizio. Fortuna che le guide per imparare ci sono!
Per funzionare, l’arte ha bisogno di pubblico
L’esibizionismo non c’entra: il punto è che anche la più grande opera d’arte concepibile non ha alcun effetto su chi ne è disinteressato. Di questo ho avuto una dimostrazione da manuale al Van Gogh Museum di Amsterdam, davanti al Vaso con quindici girasoli. La mia compagna stava quasi svenendo per l’emozione… e abbiamo trovato a fatica una panca su cui farla sedere perché erano tutte piene di liceali concentrati sui loro smartphone.
Quando parlo di ‘rendersi vulnerabili’ non mi riferisco a farsi riempire di frustate e lividi, ma all’essere completamente sinceri con se stessi e col partner, e al darsi la possibilità di lasciarsi davvero toccare dall’esperienza che si sta vivendo. Ci fosse bisogno di dirlo: è una cosa che vale anche per chi assume il ruolo dominante.
Ed è qui che le cose si fanno interessanti.
L’arte non esiste senza liminalità. E l’eros neppure
Torniamo un attimo al museo di Van Gogh. Certo che i girasoli sono solo un quadro, e farsi venire i mancamenti è insensato. Certo che smessaggiare con la fidanzatina (o fare il record di Candy Crush) ha un impatto più concreto sulla nostra vita. Certo, a dirla tutta, che tutta quella roba nei video porno fa ridere e anche un po’ schifo, se la si considera razionalmente. Infatti per gustare l’arte la razionalità va messa un attimo da parte.
In psicologia con ‘liminalità’ si indica quella fascia di percezione che sta fra l’attenzione cosciente e il subconscio; in antropologia è lo straniamento di chi affronta un rito e ormai non è più ciò che era prima di cominciarlo, ma nemmeno ciò che diventerà completandolo. Insomma, è proprio quella sospensione del giudizio che permette di lasciarsi trasformare.
In altre parole: quella cosa per cui in certe condizioni un brano musicale può farci venire i brividi o i lacrimoni, o per cui possiamo spaventarci davvero guardando un film dell’orrore chiaramente finto. Oppure per cui la foto di una tizia (s)vestita in modo improbabile, barcollante su tacchi insensati e armata di un frustino che fa un male boia ci scatena strane e potentissime fantasie erotiche.
Fossimo sempre del tutto razionali, solo il pensiero di come funzionano i genitali o dei rischi di contrarre malattie infettive ci farebbe passare per sempre ogni desiderio sessuale. Anzi: in effetti…
Il problema non è imparare “il BDSM”, ma imparare ad attivare la liminalità
Ditemi un po’ quand’è l’ultima volta che avete ricevuto il fattorino della pizza in lingerie. O che avete partecipato a un’orgia. O avete sedotto la cugina gnocca.
Non vi pare strano che ci siano fantasie erotiche così diffuse da essere addirittura dei cliché, ma poi nessuno le realizzi mai? Perfino col BDSM, che in realtà è piuttosto comune, le statistiche dicono che fa parte dei desideri di una persona su sei ma viene messo in pratica “solo” da una su dieci. E quegli altri quattro allora perché si negano qualcosa che li eccita tanto?
Uno dei casi che mi vengono presentati più spesso come coach è la difficoltà di coinvolgere il partner nelle proprie fantasie. Una persona va pazza per qualche pratica insolita, ma l’altra non ci vede nulla di interessante – o peggio ancora ne è disgustata. Lì il problema è duplice: di solito la prima non sa spiegarsi bene, e la seconda si rifiuta di aprirsi a nuovi orizzonti. Un po’ come quelli che «il sushi non lo assaggerò mai, perché il pesce crudo fa schifo!»
Anche senza arrivare ad atteggiamenti così estremi, l’ostacolo maggiore con l’eros di solito è anche un eccesso di razionalità. Considerazioni pratiche giustissime (tipo il rischio di complicazioni col fattorino), che si uniscono però anche a molta paura. Probabilmente la realtà non sarà bella quanto la fantasia; forse non sarò all’altezza io; riderà di me; non è così importante da giustificare lo sforzo; poi magari non mi piace; c’è troppo da studiare… e l’elenco potrebbe andare avanti per sempre.
Premesso che improvvisarsi pornostar è abbastanza sconsigliabile, forse conviene almeno ricordare quel che diceva il mahatma Gandhi: «sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo». Come dire: se vuoi fare dell’erotismo un’arte, oltre a imparare le basi devi sapere come creare quella condizione liminale che permetta di realizzare esperienze eccezionali.
Come creare le condizioni per un capolavoro
Alzi la mano chi non ha mai sentito – o pronunciato – la frase «no, e che… potresti impegnarti a essere più sexy». Va bene anche la variante kinky: «beh, a me piace essere sottomessa». Richieste del tutto legittime, che hanno solo un problema: non vogliono dire niente!
Ognuno di noi ha una diversa idea di cosa sia “sexy” o “sottomesso”. Anzi: spesso le idee chiare non le abbiamo nemmeno noi. Forse quella cosa del fattorino non riguarda davvero le pizze, ma essere presi con passione da uno sconosciuto; forse i sogni sul bondage non c’entrano con le corde, ma coll’avere un alibi per poterci abbandonare al piacere, rinunciando una volta tanto all’autocontrollo; forse il punto dei cuckold non è cedere la compagna, ma il momento in cui l’altro va via e ci si riconferma più uniti di prima.
Il primo requisito per essere veri artisti dell’eros allora è coltivare le proprie fantasie. Studiandone gli aspetti pratici, certo. Ma anche ragionandoci su, esplorandole, ponendosi domande e gustandosi le risposte. In genere si ha poca voglia di farlo, anche perché costringe a mettersi in discussione e si fa obiettivamente fatica. Il premio però non è solo capire di preciso cosa desideriamo fare, ma anche saperlo comunicare chiaramente al partner.
Il secondo elemento infatti è proporre uno scenario definito. Non «ti piacerebbe se ti sculacciassi?», ma «mi piacerebbe sdraiarti sulle mie ginocchia e sculacciarti come il professore di un liceo dell’800» – o qualsiasi altra fantasia abbiate. Il trucco è sollevare il partner dalla responsabilità della scena, e offrire una situazione fantastica in cui possa entrare, spegnere la mente razionale e godersi il giro in giostra. Non è un caso se la caratteristica ritenuta più eccitante in assoluto, anche fuori dal BDSM, sia la determinazione. Attenzione, però: proporre con decisione non vuol dire abusare dell’altro. Infatti…
Terza caratteristica di un capolavoro di sensualità è la soddisfazione reciproca, che si ottiene sapendo negoziare l’esperienza. Non sul momento, naturalmente, ma prima e di certo non nel modo orribile dei contratti stile Cinquanta sfumature. La negoziazione è semplicemente il dialogo approfondito fra due persone che si vogliono bene e capiscono insieme cosa piace loro e cosa no.
Sul momento, invece, entra in gioco l’ultimo tassello – cioè gestire il consenso, che è una roba ben più complicata di quanto si pensi di solito. Mi azzardo a ricordare quanto dice un espertissimo come Race Bannon: «tutto sta a coltivare la complicità e sedurre costantemente il consenso della persona con cui giocate», che nel giusto contesto non ha niente a che fare con la manipolazione, ma solo con l’amore.
Lo ammetto: mettere in pratica questi consigli non è per niente facile, anche perché ogni riga meriterebbe anni di approfondimento. Tuttavia credetemi, mestiere e liminalità producono arte – e l’arte vale sempre la pena.