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La notte in cui la comunità BDSM non ne poté più

Se siete come la maggior parte delle persone là fuori, il BDSM è solo uno dei tanti generi sul vostro “Tubo” preferito, o la battuta finale di qualche orrenda barzelletta su 50 sfumature. Se siete fra il dieci per cento di persone che ama davvero i giochi erotici di dominazione e sottomissione si tratta di qualcosa di molto eccitante, che in privato può crescere fino a diventare niente meno che uno stile di vita. Ma se per qualche insondabile ragione avete scelto di farne una professione – come educatori sessuali, proprietari di locali, dominatrici professioniste, stilisti fetish, venditori di sex toy kinky o chissà che altro – fruste e corsetti per voi assumono tutto un altro aspetto.

Qualche sera fa mi sono trovato a far parte di una tavola rotonda improvvisata nel sotterraneo di un bar fra gli organizzatori di incontri BDSM di Milano. La cosa non era stata più di tanto programmata, ma un po’ per caso eravamo una quindicina, provenienti da sei o sette diversi munch, playparty, workshop periodici ed eventi kinky simili – e la conversazione non è stata quella che vi sareste probabilmente aspettati da una manica di crudeli sadici.
«Che cosa possiamo fare per rendere i nostri eventi più accessibili ai nuovi arrivati?» ci siamo chiesti l’un l’altro con espressioni leggermente preoccupate.

«Potremmo abbassare i prezzi dei biglietti d’ingresso » ha detto uno.

«Impossibile. Sadistique è già gratis per le donne, agli uomini costa 30 euro per cinque ore di festa, c’è uno sconto di 10 euro per quelli sotto i trent’anni e gli diamo pure un drink omaggio. Riusciamo a malapena a coprire le spese, e finanziariamente quasi tutti gli altri eventi se la passano altrettanto male.»  

«Allora che ne dite di aumentare la comunicazione online?»

«Abbiamo già più siti, gruppi, mailing list e forum di quanti se ne possano contare» ha risposto un altro. «Il problema non è la mancanza di informazioni, ma semplicemente che non fanno la fatica di leggerle.»

«Esatto» ha replicato una signora. «Non la fanno perché le informazioni affidabili sono mescolate a un sacco di fuffa. Ci servirebbe qualche fonte autorevole.»

«Più autorevole dei siti di certi leader e di interi libri? Non è colpa della comunità se il grande pubblico ha lo stesso discernimento di un babbuino ubriaco. Basterebbe che usassero Google invece di cliccare alla cieca su TetteEPompiniGratisInTacchiASpillo.Seiunpollo.com, o altre fonti parimenti idiote.»

«E se abbandonassimo i requisiti di dress code?» ha azzardato un altro organizzatore.

«Ma sei serio? Questo farebbe ritornare tutti i segaioli bavosi che impestavano le prime feste di quindici anni fa. Richiedere uno sforzo minimo per essere ammessi è sufficiente a tenerli lontani, e comunque è un gesto di normale educazione. Fra l’altro ti faccio notare che in questo momento ci troviamo a un munch senza imposizione di dress code.»

E così via. Molto, molto a lungo mentre dissezionavamo ogni possibile incentivo e lo trovavamo non realistico, troppo costoso, inutile o peggio. Finché qualcuno non ha riassunto il problema con una frase precisa. «Il fatto è che la realtà della Scena non corrisponde alle aspettative di fantasia delle persone che non ne fanno parte.»

«Cioè?» ha chiesto il mio socio.

«Cioè loro vorrebbero trovare un club a ingresso gratuito, con scenografie spettacolari e pieno di gente così bella da sembrare photoshoppata, che mette su spettacoli sexy a loro uso e consumo. E orde delle schiave e dominatrici dei loro sogni che non aspettano altro che giocare con loro secondo le esatte specifiche delle loro fantasie.»

«Beh, questo è impossibile, ma se…» E lì è stato quando non sono riuscito più a stare zitto e ho interrotto la persona di buona volontà che stava cercando di ideare un’altra soluzione improbabile.

«Ma se» ho detto ripensando a una discussione su Fetlife in cui l’organizzatore della Rome BDSM Conference se n’era uscito con un concetto simile, «noi, intesi come la comunità BDSM, semplicemente la piantassimo di fare i salti mortali all’indietro per cercare di soddisfare le pretese assurde di un branco di tizi a cui non potrebbe fregare di meno di tutto ciò che facciamo per loro? Lo so che sembro maleducato, ma pensateci su un attimo. Siamo nel 2017, non più nei primi anni Novanta. Veniamo tutti da quell’era e ci ricordiamo ancora le pene che abbiamo passato solo per trovare un minimo contatto con persone che la pensassero come noi: a quei tempi era normale soffrire per mesi dietro a contatti su lettere di carta-e-francobollo via fermoposta prima di organizzare finalmente un incontro di solito deludente, e a modo suo ciascuno di noi ha giurato di rendere le cose più facili per chi sarebbe venuto dopo. E sapete che c’è? L’abbiamo fatto.
Oggi nella nostra umile, provinciale Italia ci sono più eventi di quanti si riesca a starci dietro. Ci sono libri educativi, seminari e siti web d’informazione. Ci sono professionisti che possono aiutarti a risolvere i tuoi problemi di sesso strano. Ci sono gruppi scandalosamente accessibili che non aspettano altro di prenderti per la manina e guidarti nell’esplorazione delle sessualità alternative, e come abbiamo appena analizzato noi – in questa stanza e come comunità – abbiamo già fatto tutto quel che potevamo per rendere il BDSM un’opzione possibile per coppie e singoli. E per cosa? Di certo non per guadagnarci.
Se mi assomigliate un pochino, e lo so che siamo simili, lo facciamo per la pura soddisfazione di risparmiare ad altri i tormenti che abbiamo affrontato in quei primi anni nei quali pensavamo di essere gli unici a eccitarci per un certo immaginario, quando pensavamo che non avremmo mai trovato un partner che potesse accettare la nostra presunta anormalità, o forse in cui ci siamo fatti male o lo abbiamo fatto alle persone che amavamo perché non sapevamo bene come si praticassero determinati giochi. Di certo io lo faccio per l’orgoglio che provo ogni volta che ricevo un’altra mail che mi ringrazia perché i miei libri hanno salvato un matrimonio, o che dice che finalmente qualcuno si sente bene con se stesso dopo anni di sensi di colpa.
Quel che sto dicendo è che non siamo una ONLUS, e non dobbiamo evangelizzare nessuno. È chiaro che possiamo continuare a migliorarci, ma da bravi sadomasochisti dovremmo anche sapere quand’è il caso di smettere di flagellarci per i peccati degli altri. La comunità BDSM ha fatto più del dovuto, e potrebbe anche rilassarsi e goderne i frutti.» Ok, magari non ho usato esattamente queste parole, ma il senso era grossomodo quello.

«E che facciamo con gli altri, allora? Li dovremmo lasciar fuori?» ha obiettato qualcuno – forse in quell’incontro, o in qualche analoga conversazione online.

«Naturalmente no» ha concluso il mio amico Smdiclasse mentre uscivamo dal bar e ci disperdevamo nella notte. «Ma dovremmo cominciare a chiedere a tutti i nuovi arrivati: ‘beh, e quindi tu come intendi contribuire a questa comunità?’» Che è poi una parafrasi di ciò che aveva scritto Birdofprey un paio di mesi addietro, ossia «La comunità BDSM non è qui per i tuoi comodi, ma sei tu che sei qui per servirla.»

In verità, questa sarebbe la soluzione per riparare la malandatissima scena BDSM italiana – e forse anche quella di altri paesi. Suona così maleducato, così controintuitivo e sprezzante… ma del resto, perché la piccola comunità di chi si fa veramente un mazzo così per assicurare un ambiente sano, sicuro e consensuale dovrebbe continuare ad azzopparsi da sola nel tentativo di compiacere una massa di gentaglia orgogliosa della propria ignoranza, che vuole solo arraffare tutto quel che può senza dare nulla in cambio e che non sarà comunque mai felice?
Mi sento già male per avere scritto il paragrafo qua sopra e so che alla fine continuerò a fare il mio lavoro esattamente come al solito, ma forza: dimostrate un po’ di coinvolgimento in questa cosa che continuate a dire di amare tanto, e fatemi sentire che ne pensate di questa discussione. La sezione dei commenti è sempre aperta, per chi vuole mettersi in gioco.

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