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Chi fa BDSM? Due ricerche e un’intervista

La scienza ha cominciato a studiare sporadicamente il BDSM e le persone che praticano giochi erotici di dominazione nel 1920, quando era ancora considerato un tutt’uno col sadomasochismo patologico. I risultati variavano a seconda di come venisse definito l’oggetto dello studio, ma il consenso generale è sempre stato che questo tipo di attività fosse molto più comune e innocuo di come lo descrivessero i mass media. I “pervertiti” si sono anzi dimostrati personcine piuttosto ammodo, come rivelato per esempio da queste ricerche:

  • Sopportano meglio lo stress – Richters, 2008
  • Coltivano profonda fiducia e consapevolezza del corpo – Powell, 2011
  • In genere sono più felici della media – Wismejer, 2013
  • Sono meno sessisti – Simula, 2013

Poi naturalmente è arrivato 50 sfumature di grigio, che si è installato fra i dieci libri più venduti di tutti i tempi, e gli studiosi si sono entusiasmati per i giochini zozzi proprio come tutti gli altri. Ultimamente sono così spuntate più ricerche sull’argomento che mai, e due in particolare mi sono sembrate particolarmente interessanti.

La prima è stata condotta in Portogallo su un campione un po’ striminzito di persone e ha riscontrato, fra le altre cose, che chi fa BDSM lo apprezza né più né meno del sesso cosiddetto “vanilla”, ma durante i giochi di dominazione dichiara di avere meno tensione e problemi. In altre parole ciò conferma che più si reprimono le proprie fantasie erotiche, meno ci si diverte durante il sesso.
Questo dato appare particolarmente buffo quando si scopre che le persone intervistate hanno atteso una media di sei anni per passare dalla fantasia al realizzare i loro desideri (ma ciò può dipendere dal fatto che molti sono studenti con un’età media di 22 anni), e che quando finalmente l’hanno fatto… non hanno necessariamente messo in pratica i loro desideri più forti, ma altre pratiche simili. Nella maggior parte dei casi il motivo è stato semplicemente il non avere trovato partner interessati, e negli altri il timore di rivelare le proprie preferenze. La tabella qui sotto mostra che i giochi BDSM più amati sono:

Portogallo

Italia

Bondage

14,7%

Bondage

26,4%

Dominazione

8,8%

Frusta

24%

Spanking

8,8%

Spanking

22,8%

Sottomissione

7,7%

Dominazione psicologica

8,4%

Foot/shoe fetish

5,9%

Disciplina e sottomissione

7,2%

Umiliazione

5,9%

Torture

7,2%

Umiliazione

6%

Giochi di ruolo

6%

Fetish

6%

Le colonne di destra, sotto ‘Italia’, indicano i risultati di una ricerca simile condotta nel nostro paese da Alessandro Calderoni e Ludovica Gonzaga su 120 soggetti fra i 19 e i 65 anni, intervistati prima durante vari eventi BDSM, e poi tramite un ulteriore questionario online. Le diverse percentuali dipendono come sempre sia dalle diverse definizioni delle categorie che dalla composizione dei gruppi. Quello italiano, a proposito, era composto così:

  • 70% eterosessuali, 29% bisessuali, 1% gay
  • 40% sottomessi, 32% dominanti, 28 switch
  • 4% preferiscono il sesso vanilla al BDSM, 46% li vive con pari gradimento, 44% preferisce il BDSM, 6% fa solo BDSM

La parte più gustosa dei risultati italiani è tuttavia la profilazione psicologica. Rispetto alla media nazionale i praticanti hanno dimostrato queste differenze:

  • Evitano molto la vicinanza (+26%), specie i dominanti
  • Sono più aperti mentalmente ma meno amichevoli, in particolare le donne
  • I dominanti sono più stabili emotivamente
  • I punteggi di ansia e tristezza sono sotto la media
  • Mostrano meno ‘comportamento masochista’ (la cui definizione tecnica è: deferente, chiuso, lamentoso) rispetto alla popolazione generale!
  • Il 49% è più narcisista – e fra questi il 71% richiederebbe approfondimenti diagnostici

Dati come questi non potevano essere lasciati senza una spiegazione, così mi sono messo in contatto con il dottor Calderoni per approfondire sia i risultati che il mondo BDSM in generale. Ecco l’intervista:

A – Le linee guida del DSM per la diagnosi di un disturbo parafilico distinguono nettamente il sadomasochismo clinico dai giochi BDSM, però fra chi pratica queste forme di sessualità alternativa vige ancora una certa circospezione nei confronti delle istituzioni. L’impressione è che molte persone temano di essere discriminate o considerate malate da una società ancora ferma a criteri ottocenteschi. È solo paranoia, o questo atteggiamento è giustificato?

C – Credo di fatto che il DSM, cioè la nosografia descrittiva, abbia ritenuto strategico e necessario avvicinarsi a una lettura socialmente diffusa del gioco sessuale, limitando sempre più la soglia patologica. Aumentando il consumismo sessuale aumenta la noia, e aumentando la noia si diffondono capillarmente i tentativi di escogitare varianti allettanti. Inoltre la morale è sempre più individuale e meno collettiva, perciò ciascuno diventa emulo e limite di se stesso. Il che significa che o si ipotizza una società di devianti, o si aumenta la tolleranza verso l’inconsueto. Quindi se è doveroso e giusto adeguare l’osservazione e la catalogazione della sessualità allo zeitgeist, lo spirito del tempo, è però anche importante capire che non esiste un interruttore “sano-malato” che permetta di discernere con indiscutibile certezza quando un comportamento è un sintomo da quando è un semplice passatempo. Probabilmente il livello di esclusività e di cogenza della pratica, o la simbologia interna con cui la stessa viene vissuta dalla persona potrebbero dare indicazioni più specifiche.

A – Basandoti anche sulle vostre osservazioni personali, come valutate il profilo demografico dei soggetti che hanno partecipato alla ricerca? Corrisponde a un campione standard della società italiana, o rivela qualche anomalia significativa?

C – Empiricamente e spannometricamente  si può dire che le persone over 35 sembrano avere un livello culturale e professionale elevato, mentre gli under 35 sono più affascinati dall’estetica e dalla ricerca di emozioni forti del bdsm. Più scientificamente parlando, le differenze si registrano in termini di profili di personalità: i praticanti bdsm risultano meno amichevoli, più mentalmente aperti, paradossalmente meno sadici e masochisti della popolazione normale.

A –  I dati hanno indicato un 6% di individui che pratica BDSM come unica forma di sessualità. Da psicologo come interpreti questo numero?

C – In generale quando ci si trova di fronte a una scelta esclusiva è possibile riflettere sulle ragioni che vincolano il soggetto a quel comportamento. Come se a qualcuno piacesse soltanto una posizione sessuale, o un tipo specifico di partner. Significa che, per una percentuale della popolazione bdsm non così eclatante, la sessualità non è libera di esprimersi in più direzioni ma obbligatoriamente incanalata in quel contesto. Probabilmente si potrebbe rilevare che per questi soggetti esistono ragioni specifiche (o difficoltà specifiche) che vanno dal puro e semplice gusto al sisturbo.

A – Mi ha molto colpito scoprire che la popolazione BDSM sia risultata “meno amichevole” della media. Potresti spiegare la definizione di ‘amichevolezza’ e quali implicazioni ha nel concreto?

C – Nell’ambito delle teorie personologiche che si rifanno ai cosiddetti Big-Five la dimensione dell’amicalità è caratterizzata da due sottodimensioni: Cooperatività/Empatia e Cordialità/Atteggiamento amichevole. Nei soggetti bdsm queste dimensioni sono inferiori ai punteggi ottenuti dai campioni rappresentativi della popolazione generale italiana. Significa che si tratta di soggetti più chiusi, meno collaborativi, potenzialmente più egoisti, meno affabili e gentili, più ripiegati su se stessi.

A – Restando sull’argomento, il motivo per cui sono rimasto tanto sorpreso è che – soprattutto nelle occasioni sociali come feste, munch, ecc. – una critica ricorrente riguarda proprio l’eccesso di familiarità dei partecipanti, che ammazza un po’ l’erotismo della situazione. Cosa mi sfugge?

C – Nelle occasioni sociali in cui praticanti o curiosi di un medesimo argomento/comportamento si riuniscono per confrontarsi è normale e prevedibile che scatti un effetto community, una sorta di autoghettizzazione che tende a escludere il resto del mondo secondo una logica noi-loro, esattamente come per i partiti politici, le tifoserie calcistiche, eccetera. Il comportamento tra chi condivide lo stesso “segreto” è sicuramente differente da quello che mette in relazione le medesime persone con gli “altri”.

A – Quel 71% di personalità narcisistiche potenzialmente patologiche è piuttosto terrorizzante. È quindi inevitabile chiedere se ci sia davvero da spaventarsi e, se sì, come può fare una persona inesperta a riconoscere le persone che potrebbero rappresentare per lei un pericolo.

C – Ricordiamo che si tratta del 71%  della metà dei partecipanti, non del totale. Patologia, inoltre, non significa pericolo: significa malessere. Il disturbo narcisistico di personalità è un grave disagio pervasivo e cronico caratterizzato da mancanza di empatia, egoismo, Sé grandioso e falso a fronte di una grave ferita interna che risucchia identità e autostima restituendo un continuo sforzo ipertrofico di rattoppare antichi vuoti di senso e di rispecchiamento. Solo raramente, in soggetti  psicopatici, il tratto diventa potenzialmente socialmente pericoloso. Un vero narcisista è profondamente egoista, parla solamente di sé, le spara grosse, si arroga diritti inesistenti, si ritiene degno di ammirazione e invidia. All’esterno dona una sensazione di “montatura”. Da quel livello in giù, fino a chi si sente semplicemente  “speciale” di diritto, le sfumature sono infinite.

A – A proposito: BDSM e narcisismo sono connessi per natura, o è qualcosa del mondo BDSM ad attrarre tutte queste personalità al limite della sociopatia?

C – È probabile che l’estrema attenzione che tanto i ruoli dominanti quanto quelli sottomessi (soprattutto se esibiti) richiedono, la messa in scena visiva, il senso di recita complessivo, concorrano a entrare in sintonia con quel tratto. A questo si aggiungono la dimensione del potere e quella del dolore (esercitati e subiti, con le loro valenze simboliche).

A – Un risultato quasi paradossale è che le persone intervistate non siano risultate particolarmente più sadiche o masochiste rispetto alla media. Si tratta di una conferma alla teoria secondo cui i principi di mutuo rispetto del BDSM disinnescano le tendenze patologiche?

C – Non abbiamo strumenti per affermarlo. I soggetti presentano un pattern di personalità masochistica significativamente inferiore alla media della popolazione generale e un pattern sadico-aggressivo in linea con la popolazione generale. Potrebbe essere semplicemente che un vero sadico e un vero masochista non si accontentino di una pratica che ha regole di sicurezza e quindi non frequentino luoghi in cui valgono tali regole, o anche che questi tratti profondi non si estrinsechino solamente o prevalentemente in ambito sessuale.

A – Il quadro dipinto dalla vostra ricerca conferma altri studi secondo cui chi pratica BDSM è più sereno della norma. Da cosa dipende questa felicità? Sono i giochi erotici a far vivere meglio, oppure sono le persone più in pace con se stesse a rivolgersi più facilmente a queste pratiche?

C – In realtà non si tratta propriamente di persone più felici, se non altro perché manca una definizione operazionale del concetto di felicità. Si può affermare che presentano indici relativi alle sindromi cliniche di ansia e distimia (tristezza) significativamente inferiori rispetto alla media della popolazione generale. Che questo ritratto personologico induca un determinato stile sessuale o ne sia indotto, non è un’affermazione che si possa sostenere con i dati in nostro possesso. Sarebbero inferenze senza evidenza statistica.

A – Per l’ultima domanda vi chiedo di mettere da parte i vostri ruoli professionali e rispondere solo dal punto di vista di chi ha passato settimane immerso nell’ambiente BDSM. A conti fatti, che ne pensate di questi esploratori dell’eros estremo? Sono matti o no?

C – Commentare al di là dei dati o giudicare in maniera soggettiva un ambiente chiuso e parzialmente diffidente che ci ha accolto con pazienza e senza troppo rigetto sarebbe irrispettoso e poco lungimirante. Qualunque luogo nuovo, con abitudini sconosciute  e modalità espressive ignote desta allo stesso tempo curiosità e allarme in proporzioni variabili. Così è per chiunque in ogni occasione esplorativa. Diverso sarebbe affrontare un ragionamento clinico, ma quello è di matrice squisitamente individuale e personale, quindi dovrebbero chiedercelo in privato le persone interessate, non ci arroghiamo certo il diritto di etichettare aprioristicamente gruppi di persone (che peraltro in questo periodo si sono spesso divertite ad etichettare noi, cadendo nella stessa trappola che qui cerchiamo di evitare).

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