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Feticismi apocalittici e mamme pancine

Una parte – più piccola di quel che immaginate – del lavoro di studioso delle sessualità insolite consiste nell’analizzare le evoluzioni della pornografia. È stato infatti dimostrato come il porno rifletta chiaramente lo zeitgeist: gli anni ’70 del secolo scorso sono stati caratterizzati da erotica intellettualoide e piena di pretese politiche; gli ’80 hanno inseguito l’estetica del lusso; i ’90 erano innamorati di tecnologie un po’ immature; il cambio di millennio giocherellava invece con lo shock e la confusione queer di ruoli e generi… Pur molto semplificata, col senno di poi è facile leggere la mappa di fenomeni sociali innescati da eventi esterni e spesso anticipati sui set a luci rosse. Addirittura, addentrandosi negli sviluppi dei filoni più marginali spesso si riesce ad anticipare quali potranno essere le tendenze future – che, a naso, oggi non sembrano particolarmente felici.

Una delle mode che mi hanno più colpito nell’ultimo anno è la moltiplicazione di scenari di stupro molto particolari. Se in quelli per così dire “tradizionali” ciò che viene messa in scena è un’eccitazione così estrema da risultare incontrollabile, da qualche tempo a questa parte le preferenze del pubblico sembrano infatti andare in direzioni ancora più oscure e inquietanti.

Prima sono arrivate le fantasie di “genocidio razziale”, in cui l’ansia per gli sbarchi di migranti viene esorcizzata attraverso scenari grotteschi dove i maschi bianchi vengono sottomessi, esclusi o castrati mentre le donne venerano l’Uomo Nero (ovviamente superdotato, come da cliché) e generano con compiacimento una nuova Europa dalla pelle sempre più scura.

Poco dopo è spuntata una reazione agghiacciante: gruppi sempre più numerosi in cui la fecondazione viene vista come una punizione estrema. Spesso le immagini sono banalissime, ma assumono tutto un altro significato grazie ai commenti o alle caption – cioè le scritte applicate da chi riposta il materiale come se si trattasse di memi da diffondere sui social.
Si legge così di gravidanze usate come strumento per impedire alle donne di realizzarsi sul lavoro o in altri modi, dato che saranno costrette a sprecare anni preziosi per prendersi cura di “figli dello stupro” che inevitabilmente ricorderanno loro la natura di vittime predestinate. Da lì, un diluvio di farneticazioni in un crescendo di deliri misogini che non ha più nulla a che fare col sesso – nemmeno quello più deviante.

Feticismo della gravidanzaTroppo folle? Certo, ma come dicevamo all’inizio le tendenze partono dalle periferie estreme dell’eros per tracimare nel mainstream, spesso un po’ ripulite per adeguarsi ai gusti della massa. Infatti il risultato finale di questa traiettoria è oggi una mutazione bella e buona (per modo di dire). Benvenuti nell’era dell’impregnation fetish, un fenomeno tutto nuovo nel mondo del porno.
Anche in questo caso quel che si vede non ha nulla di speciale, anzi. A fare la differenza sono dialoghi e testi vari, che rivelano un’ossessione per l’atto stesso di mettere incinta una donna. Nella miglior tradizione della pornografia statunitense si tratta di solito di una serie infinita di cugine, figliastre, sorellastre, zie e matrigne, in un caos di improbabili parentele usate solo per negare l’evidenza di un morboso immaginario d’incesto. Ma può trattarsi di qualsiasi personaggio stereotipato: la vicina, la studentessa, la cheerleader, la MILF… l’unico elemento che davvero distingue tutto ciò dai precedenti 150 anni di porno è l’attenzione alla fecondazione.

Quel che accadrà dopo non ha importanza: l’unica cosa che conta è concentrarsi sulla fertilità dell’utero di turno, sulla quantità di eiaculato, sul rifiuto di usare anticoncezionali, perfino sui risultati strabilianti degli esami fatti dall’uomo, che hanno certificato sperma vitalissimo e motilissimo – praticamente una garanzia di pancione in arrivo. Roba da corso di ginecologia più che da 120 giornate di Sodoma, ma altrettanto perversa.
Partito dai soliti Stati Uniti, questo bizzaro feticismo ha conquistato soprattutto Germania, Brasile e Russia, ma la diffusione continua. Valeva quindi la pena capire cosa ci fosse dietro.

 

Feticismi inquietanti

Una delle prime cose che mi sono tornate in mente dopo avere identificato il boom di interesse per le fecondazioni è stato un pezzo dell’intervista al biografo di Joseph Farrel, il disegnatore erotico più estremo di tutti i tempi. In una conversazione rimasta fuori dall’articolo, parlando della presenza ricorrente di personaggi femminili gravidi era venuto fuori che fossero il simbolo di un curioso ragionamento. «La Francia è andata a pallino dopo i tempi d’oro del dopoguerra,» pare avesse dichiarato Farrel. «Il presente è uno schifo e il futuro sarà peggio, quindi tu che osi mettere al mondo nuove vite meriti qualsiasi punizione».

A ben guardare poteva essere un buon punto di partenza. Molte parafilie nascono infatti dal tentativo di compensare una mancanza di controllo – reale o anche solo percepita. Possono così prendere la forma di una opposizione (per esempio: se ti senti anziano e vittima del tempo che passa, è facile che abbia fantasie sessuali con partner molto più giovani di te) o un’accettazione totale. Sempre restando nel campo delle più recenti tendenze pornografiche, quest’ultimo caso si manifesta per esempio con il feticismo per le ineguaglianze sociali o per la distruzione dell’ecologia.
Il problema non è solo di un misconosciuto disegnatore novantenne francese: in un’epoca di pandemia, crisi climatica, instabilità finanziaria e chi più ne ha più ne metta, sentirsi privi di controllo è abbastanza comprensibile. E cosa può invece dimostrare la propria capacità di gestire il corso degli eventi meglio di creare la vita stessa?

Naturalmente non ho certezze al riguardo, ma la sensazione di essere sulla strada giusta era piuttosto netta. Poi è accaduta una coincidenza magnifica.
Uno dei podcast che seguo conteneva un’intervista con Cristiana Boido, autrice di un libro intitolato Pancine fantastiche, sui risultati di un’inchiesta compiuta infiltrandosi nelle comunità online delle terribili “mamme pancine”. E in una risposta diceva, come niente fosse: «quelle donne sono feticiste della gravidanza». Il termine era inteso ovviamente in un senso un po’ diverso da quello di cui abbiamo parlato fin qui – ma ho voluto saperne di più.

Ecco quindi la chiacchierata che ci siamo fatti.

 

Nella tana delle Pancine

Salve, e grazie per avere accettato l’intervista. Vogliamo cominciare con una sua presentazione, e una breve descrizione dello studio dietro Pancine fantastiche?

 È stato uno studio abbastanza lungo perché si è trattato di seguire costantemente i gruppi e tentare di profilare alcune delle Pancine per evitare che partisse la polemica, già sorta con Maisto, il Signor Distruggere, che le Pancine fossero un’invenzione. La profilazione, invece, ci ha dimostrato che sono persone esistenti e che sono molte. Il lavoro di analisi si è basato sullo stile della fenomenologia: attraverso le parole chiave ricorrenti, ho cercato di comprendere quale fosse “il massimo dell’esperienza possibile”, il modello sia linguistico, sia relazionale, sia culturale al quale le Pancine sono legate. Intendo una sorta di narrazione “tipo” che potremmo definire una moderna mitologia che ho analizzato dal punto di vista di molti possibili modelli di riferimento.

 

Quindi, tanto per chiarire… le mamme pancine sono proprio come in quei post assurdi?

Esistono e condividono davvero quel tipo di pensiero. Ne abbiamo profilate 42, e ci è voluto molto tempo per creare il genere di confidenza che permette di ottenere dati personali approfonditi.

 

Che tipo di persone fa parte di una sottocultura del genere?

In realtà, questo non sono riuscita a scoprirlo. Ho fatto diverse ipotesi: manie religiose, superstizione, famiglie disfunzionali. In linea generale, non esiste un ambiente sociale unico che crei le Pancine, perché quelle analizzate provengono dal Nord e dal Sud, dalla campagna e dalla città, hanno diversi livelli di istruzione, dalle elementari alla laurea. Anche le confessioni religiose sono tutte rappresentate.

 Ho ipotizzato che si tratti di confini invisibili ma così profondamente radicati da costituire un limite all’evoluzione del comportamento. Se ci pensa, nella nostra società, sono molti i limiti invisibili ma invalicabili: se si viene da una certa parte di un agglomerato urbano si avrà a che fare con persone tutte dello stesso tipo, che frequentano le stesse scuole e che sono portate ad adeguarsi alle aspettative future del gruppo. Sappiamo bene che la scuola, lungi dal permettere un’effettiva ascesa sociale, se non in casi rari, non elimina ma mantiene le differenze di classe. L’emancipazione da modelli visti nell’infanzia (per questo teorizzo che queste donne siano cresciute in famiglie disfunzionali, che abbiano avuto pochissimo capitale sociale al quale relazionarsi e grazie al quale progredire), nonostante gli studi, diventa impossibile e queste giovani donne continuano a ripetere i modelli acquisiti durante l’infanzia. Ma, davvero, non si può parlare di un certo tipo di persona.

 

Quando si incontrano fenomeni così radicalizzati è difficile capire quale sia la loro effettiva entità. Mi vengono in mente le TERF, pseudofemministe che odiano le donne transessuali: online sembra un esercito potentissimo, ma analizzando lucidamente i dati si scopre che ce ne sono appena poche centinaia in tutto il mondo. Non è che anche le mamme pancine siano solo assoluta minoranza, ma molto “rumorosa”? C’è una stima di quante siano in Italia, e quante eventualmente ve ne sono all’estero?

Ci sono anche all’estero e il termine che usano per descrivere sé stesse è lo stesso. Non posso fare una quantificazione precisa del numero perché le vere Pancine appartengono a gruppi chiusi: tuttavia, i gruppi aperti dove maturano la radicalizzazione in Pancine sono centinaia.

 

Un’osservazione che mi ha colpito molto nel suo libro è quella che definisce le pancine «feticiste del pancione», per le quali perfino il marito e i figli rappresentano solo un accessorio della condizione idealizzata di poter sfoggiare il pancione. Potrebbe approfondire un poco questo concetto?

La cosa straordinaria, secondo me, è che le pancine, una volta madri, pur attribuendo ai figli doti e diritti speciali, pur proteggendoli da qualsiasi influenza del buon senso (per esempio gli interventi degli insegnanti), non sono poi così interessate ai figli. Non ne descrivono l’aspetto o il carattere: sono semplicemente «il mio Principino, la mia Principessa». Stereotipi. Quello che sembra interessare queste donne è l’emblema della gravidanza, il pancione, che mostra a tutti il raggiungimento di una condizione privilegiata. È il Pancione che cercano di eternare in stampi di gesso, cuscini della nascita, orecchini fatti con il cordone ombelicale. Ciò che le lega ai figli è una condizione di gravidanza perenne: il fatto, per esempio, di indicare l’età in mesi, «come fossero forme di parmigiano», dice Maisto, è un’impressionante forma di voracità e, davvero, molte sembrano sul punto di volersi mangiare i figli per riportarli nel grembo materno, insomma, alla condizione visibile dello status di madre. Anche l’allattamento, protratto sino ad età ridicole, è il tentativo di non sganciare i figli dal proprio corpo.

 

Dal mio punto di vista di studioso delle sessualità insolite, tutto ciò mi ha fatto naturalmente pensare a feticismi – intesi in senso prettamente erotico – relativi alla gravidanza. Un classico è quello appunto per il pancione, ma ce ne sono altri che si sono diffusi soprattutto negli ultimi anni: per la cosiddetta “famiglia tradizionale” in cui la donna è solamente fattrice e casalinga; per l’inseminazione come punizione sociale che costringe le vittime a essere madri frustrate anziché donne emancipate; per l’uomo rozzo (tipicamente trumpiano, con tanto di cappellino rosso) visto come “maschio alfa” e padre ideale…

È possibile che ci sia un elemento psicosessuale anche nella dottrina delle mamme pancine?

Non conoscevo queste parafilie e ci ho riflettuto molto. L’idea che queste donne giochino “eroticamente” alla sottomissione mi pare troppo sofisticata, anche perché non c’è in loro alcuna malizia, nessuna eccitazione, che sarebbe comunque necessaria per un gioco erotico: sembrano semplicemente del tutto ignoranti su quale sia una normale sessualità. Il sesso sono “i doveri”: l’uomo li pretende, la donna si presta «almeno lui non può andare a dire a sua madre che non ti concedi» oppure rischiare di non ricevere “la paghetta”, ovvero i soldi che i mariti consegnano alla moglie per le spese di famiglia. «Se non ti concedi tutte le volte che te lo chiede, è ovvio che non ti dia la paghetta». È raccapricciante e non ci vedo alcun gioco sessuale, solo un comportamento stereotipato che sembra venire, più che dagli Stati Uniti, da sacche profondissime di malessere famigliare.

 

E cosa mi dice allora di una sublimazione dell’eccitazione nel gioco di potere di gestire nientemeno che la creazione di una nuova vita? Dopotutto, anche le parafilie citate prima sono innanzitutto fantasie di rivincita nei confronti di un mondo troppo difficile da tenere sotto controllo.

Ecco, questo sì: in fondo, per chi non ha avuto modo di giocare, nella vita, altro ruolo che quello tradizionale, sposarlo, enfatizzarlo, renderlo fanatico e tribale può essere una rivincita. L’odio nei riguardi delle donne emancipate, «le maestrine laureate al classico», «le faciline», ne sembrerebbe una dimostrazione. La maternità per la maternità, procreativa e non genitoriale, possessiva e non di accudimento, non necessita di studi. E non mi riferisco all’essere madre, che è invece una autorealizzazione matura e creativa. Essere incinte può essere una rivincita nei riguardi delle aspettative disilluse, nei riguardi di madri sfinite ed emotivamente assenti, di contesti famigliari poco accudenti. Mi sono fatta l’idea di donne sposate troppo giovani, per scappare dalla famiglia, forse malmaritate con uomini a loro volta troppo giovani per essere veri padri: per queste giovani donne, la diade mitologica Madre-Figlio, che esclude, di fatto, l’entità maschile, sembra segno di una grande sofferenza, di grandi privazioni affettive.

Quando i figli saranno grandi, cosa sarà di queste donne? Ricominceranno da capo fagocitando i nipotini oppure, terminata l’età della procreazione, si troveranno in balia di una solitudine alla quale non sono preparate e che non hanno gli strumenti per affrontare?

Donne incinta

L’importanza dell’educazione

Spero non vi attendeste una spiegazione perfetta, ma del resto non ci troviamo in un film. Nel mondo reale è improbabile che qualcuno si svegli all’improvviso strillando «eureka!» e agitando uno schemino ben ordinato di fenomeni complessi. Perfino la scienza vera procede un passettino alla volta – figuriamoci la semplice osservazione di comportamenti tanto strani!

I paralleli sono però evidenti: categorie differenti di persone si sentono insignificanti, e in un impeto di hybris da trofeo giocano addirittura a interpretare dio, ciascuno a suo modo.
Ciò che distingue il popolo dei siti estremi da quello dei gruppi pancinisti forse è soprattutto il rapporto che hanno con la sessualità. I primi ci convivono abbastanza serenamente da ammettere l’eccitazione che provano con questi scenari e scaricano le loro fantasie su un feticismo spregevole ma tutto sommato confinato a una dimensione personale e virtuale; per le altre il sesso è invece solo un male necessario, e per sfogare le loro frustrazioni finiscono per davvero col devastare le vite di chi hanno attorno.

Ciò non esclude naturalmente che qualche individuo disturbato possa lasciarsi influenzare anche dal porno. Tuttavia diversi studi hanno confermato che la pornografia ha quasi sempre l’effetto di disarmare le fantasie più devianti – perché, detto in soldoni, dopo essersi masturbati in genere si ha più voglia di fare un pisolino che di passare all’azione. La natura aspirazionale della sottocultura pancinista ha verosimilmente un decorso opposto, come accade con altri estremismi fanatici fondati sulla propaganda.

Suppongo che a questo punto ci starebbe bene un gran ragionamento sul concetto di perversione, sulla sua percezione e sulla sua accettabilità sociale – ma credo che ci stiate già pensando da un pezzo, e posso risparmiarvi questo ulteriore tormento.
Allo stesso modo, penso che ci stiamo chiedendo tutti anche quale impatto sociale avrebbe una vera educazione alla sessualità e all’affettività anche su fenomeni tanto pericolosi.

Una cosa che mi piacerebbe, invece, è sapere cosa pensiate di tutto ciò. È possibile che stia prendendo una gran cantonata, o che qualcuno possa offrire interpretazioni più puntuali e circostanziate. Nel caso, sono solo a una email di distanza.

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