«È colpa della mancanza di educazione sessuale!»; «È colpa dell’influenza oscurantista della Chiesa!»
Le discussioni sui problemi sessuali dell’Italia di solito si riconducono tutte a queste due accuse – senz’altro giustificate, ma un po’ semplicistiche. Così tanto, in effetti, che su questo sito non le affronto quanto si dovrebbe proprio per evitare di ripetere banalità o, al contrario, di impelagarmi in disquisizioni sofistiche. Questa volta però è diversa.
Qualche tempo fa al laboratorio di etnosemiotica di Bologna si è tenuto infatti Dal BDSM all’educazione sessuale per adolescenti, un incontro che ha affrontato la questione della cultura della sessualità in maniera particolarmente intelligente. Come se non bastasse, a tenerlo c’era una mia vecchia conoscenza. Nicoletta Landi è stata infatti la prima fra gli ormai tanti laureandi che mi hanno intervistato per le loro tesi sulle sessualità insolite, ed è stato un grande piacere ritrovarla dall’altra parte della cattedra. Così grande che ne ho approfittato per restituirle il favore con una lunga intervista in cui abbiamo cercato di fare il punto sullo stato dell’educazione sessuale nel nostro paese.
Cominciamo dalle basi: chi sei e di cosa ti occupi?
Mi chiamo Nicoletta Landi, ho trentatré anni e sono un’antropologa. Mi occupo prevalentemente di sesso e sessualità, promozione della salute e adolescenza lavorando su questi temi sia in veste di ricercatrice, sia come formatrice. Sviluppo e conduco, infatti, percorsi educativi per giovani e adulti su benessere sessuale e relazionale associando a un approccio più prettamente sanitario, un’attitudine alla sessualità che intende comprendere e valorizzare tutte le sfumature socio-culturali che la influenzano.
Faccio parte di varie associazioni di categoria: SIAA (Società Italiana Antropologia Applicata), EASA (European Association for Social Anthropology), CREA (Centro Ricerche Etno-Antropologiche) e ANPIA (Associazione Nazionale Italiana Antropologia Professionale).
Il titolo della tua conferenza mi ha colpito molto per due motivi. Il primo è che compariva il termine ‘educazione alla sessualità’: una cosa ben distinta dall’educazione sessuale, e che come sostengo da anni viene spesso ignorata benché abbia un’enorme importanza sociale. Lavorando sul campo che idea ti sei fatta della questione?
Personalmente preferisco usare l’espressione “educazione alla sessualità” perché ha una caratterizzazione più ampia e meno sanitaria di quella, più diffusa In Italia, di “educazione sessuale”. Nella seconda si tende infatti a far rientrare i percorsi più focalizzati sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate e delle infezioni sessualmente trasmissibili che vengono generalmente proposti dai servizi sanitari come gli Spazi Giovani o i Consultori. Queste a mio avviso sono questioni centrali, ma parlare di “sesso sicuro” non può trascendere dal considerare aspetti della sessualità, delle relazioni e della salute molto articolati che richiedono un approccio più ampio. Mi riferisco agli orientamenti e alle identità sessuali, ai modelli e agli stereotipi di genere, e a questioni centrali come quella del consenso, del piacere e della pluralità sessuale. Anche le policy internazionali parlano sempre di più di “comprehensive sexuality education” – come ad esempio l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel documento “Standard per l’educazione sessuale in Europa”– ma in Italia la situazione resta complicata. Un’altra dicitura molto usata nel nostro Paese è “educazione all’affettività”, che però a mio parere rischia di enfatizzare la dimensione emotivo-relazionale della sessualità tralasciandone la caratterizzazione più corporea. In base alla mia esperienza sia di ricercatrice sia di formatrice freelance, nei percorsi educativi mi sento quindi di suggerire di valutare e valorizzare quanto più possibile tutta la complessità che caratterizza la sessualità: questa infatti coinvolge corpi, emozioni, relazioni, identità. Dimensioni che andrebbero considerate in un’ottica integrata.
Qual è la situazione italiana per quanto riguarda l’educazione alla sessualità per adolescenti?
Nonostante in Italia si sperimenti poco nell’ambito della promozione della salute sessuale, esistono iniziative e servizi molto attivi sul territorio che si rifanno ai più contemporanei dettami internazionali, come quello appena citato dell’OMS. Per la mia ricerca di dottorato io stessa ho fatto parte dell’equipe che in Emilia-Romagna ha sperimentato e diffuso un percorso educativo che si orienta nell’aria della promozione della salute sessuale più globale. Si tratta di W l’amore, un progetto destinato agli studenti e alle studentesse delle classi terze della scuola secondaria di primo grado che coinvolge anche insegnanti e famiglie. Ha l’obiettivo di rendere capillare l’educazione alla sessualità facendola rientrare nella formazione scolastica costruendo una collaborazione tra la scuola, i servizi sanitari territoriali e le famiglie. S’ispira a un percorso olandese che si chiama Long Live Love, attivo nei Paesi Bassi da ben venticinque anni.
In Italia, diversamente da come avviene in gran parte dei Paesi europei, non esiste una legge nazionale che regoli l’educazione alla sessualità, a parte la 405/1975 che istituisce i consultori familiari. La frammentazione delle posizioni a riguardo e, di conseguenza, la discontinuità dei finanziamenti e delle iniziative limitano la possibilità concreta di realizzare interventi efficaci e genera profonde disuguaglianze rispetto alla possibilità per i ragazzi di accedere a risorse attraverso cui autodeterminare il proprio benessere sessuale e affettivo. Oggi fortunatamente il dibattito su questi temi, sia a livello accademico sia più ampiamente sociale, è molto vivo ed esistono molte esperienze educative – di associazioni, gruppi e/o singoli – che si occupano di educazione al genere, di prevenzione del (cyber)bullismo – anche di stampo omofobico – e di sessualità in senso ampio.
Secondo te come si potrebbe migliorare ancora in quest’ottica?
Personalmente mi auspico che si arrivi, prima o poi, a parlare e a fare quella che mi piace definire “educazione sessuata”: un’educazione in cui la sfera della sessualità non sia relegata solo a progetti specifici ma a tutti i processi di apprendimento. In questo senso tutti gli spazi educativi, superato un approccio di tipo emergenziale volto a prevenire prevalentemente i comportamenti a rischio, rappresenterebbero un’occasione per promuovere il benessere sessuale e affettivo di ciascuno.
L’educazione è un percorso che dura tutta la vita, è un processo di confronto inter-soggettivo, intergenerazionale, graduale, che coinvolge le persone nella loro complessità. I corpi sessuati – dei giovani ma anche degli adulti – non dovrebbero più essere considerati elementi da normare, direzionare, contenere, ma risorse creative e su cui costruire nuove e più plurali visioni riguardanti il sesso e la sessualità.
Hai trovato delle differenze fra il livello di educazione degli adulti e quello degli adolescenti? O fra la cosiddetta “generazione digitale” e le precedenti, o su base geografica…?
Si tratta di un discorso molto complicato, poiché è molto difficile generalizzare rispetto alle conoscenze, all’approccio di ciascuno sia alla sessualità in generale sia agli spazi in cui confrontarsi su questi temi (come ad esempio uno dei miei laboratori). L’età, il genere, il background e l’ambiente sociale, culturale, familiare in cui si vive sono tutti fattori che contano allo stesso modo e che rendono molto difficile rispondere. Anche la definizione “generazione digitale” risulta, secondo me, un po’ riduttiva: per tutti, di là dall’età anagrafica, Internet e i social network rappresentano un luogo in cui esistere, relazionarsi, apprendere. Non sono solo i più giovani a usare Internet per trovare risposte a domande riguardanti la sessualità o per tessere relazioni affettive e sessuali.
Rientrerebbe nell’idea – un po’ moralista a mio avviso – che le nuove generazioni siano sempre un po’ peggio di quelle che le hanno precedute. Lavorando molto con i ragazzi e le ragazze adolescenti, invece, mi rendo conto che è il caso di considerarli e di relazionarsi con loro in maniera aperta, senza stereotipi.
In realtà il senso della domanda non era quello, ma di capire quanto di vero ci sia nelle semplificazioni che vengono proposte dai mass media quando si parla della sessualità dei “giovani”, una fascia d’età sempre più indefinita e mitizzata. Proviamo per esempio a concentrarci sugli adolescenti così come li conosci nel tuo lavoro educativo…
Il loro bello è che mi sorprendono sempre! Dalla mia esperienza posso dire che i ragazzi e le ragazze (pre) adolescenti sono più disposti degli adulti a mettersi in discussione per quanto riguarda il confronto su sesso e sessualità. Sono più curiosi, fanno domande, dicono la loro. Credo ciò avvenga perché non sono molte le occasioni in cui possono confrontarsi con una persona non giudicante e non troppo adulta su temi così delicati e importanti. Ovviamente ci sono quelli più a loro agio e quelli più riservati, per motivi legati all’età, all’esperienza o al sentire personale. Io cerco di rispettare le sensibilità di tutti usando molto l’ironia e metodi di lavoro interattivi. Questo approccio sembra funzionare, soprattutto con le ragazze. Anche i maschi sono molto interessati a questi temi, ma si sentono probabilmente meno legittimati – da un punto di vista sociale – a parlare di emozioni, desideri, dubbi. A volte mi rendo quindi conto che fanno più fatica a esporsi nonostante abbiamo molte curiosità e domande sul tema, restando così più ancorati a dei riferimenti che vengono principalmente dalla pornografia mainstream online. Oggi è infatti questa a costituire la più importante fonte di informazioni, suggestioni e riferimenti per i più giovani (e non solo) in materia di sessualità e salute. Mi sento di dire che i ragazzi e le ragazze ricevano molti stimoli “sessuali” in tutti gli ambienti in cui vivono ma che, allo stesso tempo, abbiano pochi spazi di confronto su tali questioni. Il discorso è complesso, ma diciamo che in base alla mia esperienza non credo possa essere solo la pornografia a definire e stimolare i desideri erotico-relazionali di giovani e adulti.
Ecco: parlando invece degli adulti come li descriveresti, in questo ambito?
Gli adulti sono spesso meno disponibili a mettersi in discussione perché sembrano essere più radicati a convinzioni e valori sviluppati nel corso della vita. Anche in questo caso dipende, ma in generale posso sostenere che se le conoscenze più o meno ci sono, quello che manca è l’atteggiamento propositivo verso la contraccezione e, soprattutto, la prevenzione. Sebbene il sesso, in realtà, non sia mai completamente sicuro perché implica il confronto con l’altro ed è quindi un salto nel vuoto, ci sono molti modi attraverso cui viverlo senza rischi per sé e per gli altri. A quanto però ho visto, le conoscenze non sempre coincidono con scelte corrette sul piano della contraccezione e della prevenzione.
Esempio: quasi tutti sanno – più o meno, ribadisco – come evitare una gravidanza indesiderata o una infezione sessualmente trasmissibile, ma sono in pochi e poche a prendersi cura in maniera continuativa del proprio stato di salute sessuale usando, per esempio, sempre e correttamente il preservativo e/o facendo i test del caso. Le persone con cui mi confronto nella vita lavorativa e privata sembrano lasciare la propria salute un po’ al caso: non considerano cioè la salute sessuale come uno spazio in cui sperimentare in maniera consapevole e sicura, ma più come un ambito in cui improvvisare e azzardare.
Insomma: la strada è lunga e tortuosa. Per questo il mio suggerimento è di lavorare non solo sugli aspetti sanitari della sessualità ma su tutto ciò che la influenza ma che spesso viene tralasciato: modelli di genere e di relazione, affettività, relazione con sé stessi e con gli altri, rafforzamento della capacità cognitivo-relazionali e autodeterminazione di ciascuno.
Farlo in Italia non è facile: bisognerebbe partire dalle basi, dall’idea che la sessualità rappresenti una sfera importante della vita di ciascuno, giovane o adulto che sia, e che parlarne in maniera aperta e orizzontale sia possibile e auspicabile per il benessere di tutti.
Ricordo che uno sport nazionale di quand’ero ragazzo io fosse leggere la rubrica delle lettere alle riviste lette dalle nostre coetanee, tipo Cioè o Top girl, per farsi gran risate sull’ignoranza che traspariva da molte domande sul sesso. C’erano cose come: «Ci siamo baciati e lo ho sfiorato per sbaglio sui pantaloni: sono rimasta incinta?», «È vero che ai ragazzi lo sperma esce solo di notte?» o «Sto mangiando molti funghi ma il seno non mi cresce: sono malata?». Certi dubbi assurdi persistono anche oggi, o i “giovani italiani medi” hanno altre preoccupazioni?
Innanzitutto c’è da dire che poter ascoltare queste domande e avere la possibilità di rispondere, come capita a me, è un privilegio. Quando i ragazzi e le ragazze – in un’attività di gruppo o lontano dagli altri perché «ti posso chiedere una cosa in privato che davanti agli altri mi vergogno?» – mi fanno queste domande a volte buffe, a volte assurde e ogni tanto preoccupanti è uno dei momenti più belli del mio lavoro. Nel momento in cui mi affidano dei dubbi su cui stanno magari rimuginando da parecchio e che un forum on-line non potrà mai completamente risolvere, io mi emoziono sempre un po’ e torno adolescente. Forse è proprio per questo che le loro domande non mi sembrano mai tanto strane o ridicole: poiché mi accorgo che sono guidate dalle stesse insicurezze ed emozioni che vivevo anch’io a quindici anni e che, tutto sommato, sono le stesse che sento ancora oggi nelle interazioni tra adulti.
Le cose che mi chiedono riguardano infatti sia questioni legate al corpo e al sesso ma anche dubbi sull’amore e le relazioni. Tra tette che non crescono mai abbastanza, peni sempre in cerca di rassicurazioni sulle dimensioni e mestruazioni che non arrivano, spesso mi capita quindi di rispondere a quesiti quali: «come faccio a capire se sono innamorato?», «si possono amare due persone contemporaneamente?», «come faccio a far capire a quella persona che mi piace?»
Naturalmente la maggior parte delle domande riguarda i cambiamenti del corpo durante l’adolescenza, le pratiche sessuali, la prima volta, la contraccezione, la prevenzione. Rappresentano i dubbi di ragazzi e ragazze sessualmente attivi ma che tuttavia sono spesso a corto di conoscenze sugli aspetti più complessi riguardanti la sessualità: il piacere, la sicurezza, il consenso, il negoziare desideri e limiti con i partner. Tieni conto che lavoro con giovani dagli undici anni in su, e soprattutto nel caso dei ragazzi e delle ragazze più giovani, che non hanno avuto ancora esperienze sessuali e/o di relazione, gran parte delle domande viene dalla visione di porno online e non da esperienze dirette.
Sono tutte le domande tipo: «Perché le donne quando fanno sesso urlano?», «Cos’è lo squirting?», «Si può fare sesso con una gallina?», «Cos’è il sadomaso?». Cercano conferme, sondano il terreno, provocano, si divertono, definiscono il proprio immaginario, i propri desideri e le proprie possibilità di azione e relazione.
Ecco, l’altro elemento che m’era saltato all’occhio nel titolo della tua conferenza era ovviamente il riferimento al BDSM. Quale rapporto ha con l’educazione alla sessualità?
A dire la verità negli anni non sono state tante le domande a riguardo. Certo è che per me, al fine di sviluppare un approccio aperto alla sessualità, l’aver fatto una ricerca sul BDSM è stato fondamentale. Nel 2009, infatti, mi sono laureata in Antropologia culturale ed etnologia proprio svolgendo un’indagine sul sadomasochismo erotico consensuale. Dalle persone con cui mi sono confrontata per portare avanti lo studio in questione ho appreso quanto siano multiformi, articolati e plurali i desideri sessuali e relazionali. Ho imparato a non dare nulla per scontato e a comprendere le prospettive erotiche di tutti. Direi che il mio approccio all’educazione alla sessualità è guidato dallo stesso principio che ispira le pratiche BDSM, ovvero quello che promuove un’idea di attività e rapporti SSC (Sani, Sicuri, Consensuali). Credo che in entrambi i casi – quello dell’educazione alla sessualità e del BDSM – le questioni più importanti su cui riflettere e continuare a lavorare siano proprio quelle del piacere e del consenso.
Ti confesso che sono piacevolmente stupito da come tu riesca a trattare questi temi in ambiti istituzionali, specie rivolgendoti ai più giovani. La mia esperienza personale – e quella di tanti educatori – è che gli apparati statali siano completamente refrattari, se non ostili, a qualsiasi approccio che non sia ultracattolico…
Non è così facile come sembra! Un po’ per motivi più squisitamente legati alle difficoltà della libera professione, un po’ per il clima ambiguo che circonda la promozione della salute sessuale in Italia. Se da un lato le persone con cui parlo del mio lavoro si dicono entusiaste e si auspicano che si parli sempre di più di salute e sessualità, dall’altro succede spesso di trovare diffidenza. In particolare, durante la sperimentazione del progetto W l’amore che ho seguito col personale dello Spazio Giovani di Bologna mi è capitato di raccogliere molte testimonianze provenienti da gruppi di genitori che, prevalentemente per motivi ideologici, si sono scagliati contro il progetto in questione e più in generale contro l’educazione alla sessualità. Le critiche sono quelle di incitare i giovani a fare sesso, a farli “diventare” omosessuali, di insegnare loro la masturbazione, di iniziarli ad argomenti lontani dal loro vissuto di “bambini” o di scavalcare l’educazione familiare.
Ah, volevo ben dire… Fra l’altro, secondo te da dove nascono questi pregiudizi – e preconcetti – così assurdi?
Negli ultimi anni questo tipo di critiche sono state ricondotte a quella strampalata definizione di “ideologia gender”, ovvero l’idea secondo cui attraverso l’educazione al genere e alla sessualità si voglia distruggere l’ordine naturale che regola le identità e le relazioni tra le persone e, più specificatamente, tra i generi. Non si tratta necessariamente di prospettive di matrice religiosa, ma legate alla visione della sessualità ambigua e gravemente mancante di basi che purtroppo domina l’opinione pubblica italiana. Il sesso è sicuramente un tema di cui amiamo discutere privatamente e pubblicamente, ma sui cui siamo poco disposti a metterci in gioco e di cui non sappiamo in realtà granché. C’è molta confusione su cosa siano l’orientamento sessuale, l’identità di genere; i toni sono spesso aggressivi e le conoscenze approssimative.
Stesso discorso vale per i modi attraverso cui, da adulti, definiamo e trattiamo gli adolescenti. Quanto siamo disposti a conoscerli e quanto, invece, li usiamo come strumento per polarizzare opinioni e posizioni strumentali?
Credo inoltre che le critiche mosse ai progetti di educazione alla sessualità arrivino anche dalla scarsa conoscenza che le persone hanno dei servizi socio-sanitari e della promozione della salute sessuale in generale. W l’amore, come molti altri percorsi formativi, non ha l’obiettivo di plasmare opinioni o di scavalcare l’educazione familiare. Lo scopo è bensì fornire strumenti attraverso i quali rispondere a dubbi, acquisire competenze e sviluppare relazioni consensuali e piacevoli.
Il timore degli adulti è tuttavia comprensibile: non dimentichiamo che la preadolescenza e l’adolescenza sono i momenti in cui i ragazzi e le ragazze iniziano a staccarsi dal controllo familiare e a sviluppare una maggiore indipendenza. Questo spaventa molto gli adulti, genitori o insegnanti che siano. C’è da dire però che nella maggioranza dei casi, una volta saputo di più del progetto in questione, i genitori e gli insegnanti più dubbiosi si sono sentiti più tranquilli. Credo che il confronto sia l’unica via possibile: in primo luogo per rivolgersi in maniera adeguata e corretta agli adolescenti e, in secondo luogo, per parlare di sessualità tra adulti in maniera laica, aperta e rispettosa delle prospettive di ciascuno.
Il paradosso più ridicolo sta in quanta energia e quante risorse vengano investite nel peggiorare la qualità della vita delle persone alimentando tanto astio e ignoranza, quando reindirizzandole verso iniziative di educazione alla sessualità staremmo tutti meglio. Non solo per il sessismo, la violenza di genere e contro le minoranze, ma anche a livello puramente medico, dico. Detto per inciso, oggi come sta messa l’Italia sul piano delle malattie a trasmissione sessuale?
Secondo il Notiziario dell’Istituto Superiore della Sanità le infezioni sessualmente trasmesse non sono in diminuzione, anzi. Come dicevo, queste sono le conseguenze dell’essere sessualmente attivi ma poco inclini a fare sesso in maniera consapevole e sicura. La cosa più preoccupante è che molte infezioni sono asintomatiche. Si rischia quindi di contagiare e/o contagiarsi senza neanche rendersene conto. Spesso fare i test del caso è costoso, e soprattutto per i più giovani diventa difficile monitorare il proprio stato di salute. Fortunatamente esistono associazioni e servizi che permettono di fare analisi in maniera facile e gratuita, come Lila, Anlaids, Plus e i centri MST.
Gran parte delle infezioni sono curabili e lo stigma verso chi vive, ad esempio, col virus HIV sta piano piano calando. Tuttavia, quando mi capita di sentire discorsi negazionisti tipo quello secondo cui «l’AIDS non esiste», mi preoccupo parecchio. Pensa che una volta un uomo adulto mi ha accusata di fare propaganda per le case farmaceutiche che producono preservativi! In quel momento mi sono ricordata del ragazzino a cui avevo chiesto quali infezioni a trasmissione sessuale conoscesse e lui mi aveva risposto: «la sindrome di Down!» Ecco, questo è il contesto in cui ci muoviamo.
Temevo una risposta del genere. Quindi cosa si può fare per migliorare lo stato di salute fisico e sessuale del paese? O del mondo, se ti va di fare le cose in grande…
Mi piacerebbe pensare in grande ma non credo che sia possibile, sai? Soprattutto per quanto riguarda le possibilità concrete di implementare l’educazione alla sessualità oltre le intenzioni più specificatamente sanitarie. A mio avviso, ci vorrebbe innanzitutto la voglia di mettersi a confronto tra le parti al fine di trovare una prospettiva comune e inclusiva attraverso cui definire modalità formali attraverso cui coltivare – insieme – la sfera del benessere sessuale e relazionale. Penso all’aumento degli spazi sanitari (come, ad esempio, i Consultori e gli Spazi Giovani) ma anche alla creazione e diffusione di luoghi in cui potersi confrontare su questi temi non solo con “esperti” ma anche tra pari.
Mi piacerebbe ci fosse una maggiore attenzione a sessualità, identità, relazioni e salute in ambito scolastico, e che – in quest’ottica – s’investisse maggiormente nella formazione dei docenti e degli educatori. Insomma, vorrei un’Italia meno frammentata e ipocrita, in cui si possa parlare di sessualità e di salute – mi ripeto – in maniera aperta, continuativa e rispettosa dei bisogni di tutti/e.
Per fare tutto questo, oltre alla voglia di confrontarsi, c’è bisogno anche di risorse pratiche: una legge che regolamenti l’educazione alla sessualità e, di conseguenza, implementi i fondi ad essa destinati. Purtroppo la vedo un po’ buia: per questo stesso motivo personalmente mi sento sempre in bilico tra la voglia di restare in Italia e quella di andare all’estero. Sento che il mio lavoro è gratificante e, in qualche modo, utile. Tuttavia non è sempre facile portare avanti i miei progetti: finanziamenti che appunto scarseggiano, diffidenza diffusa, discontinuità e precarietà che minano l’entusiasmo e la voglia di fare. Detto questo, la mia proposta è di impegnarci tutti e tutte a sapere di più di quell’area così misteriosa e complicata – quella sessuale e relazionale – che tuttavia ci caratterizza tutti. Impariamo a conoscerci, a conoscere gli altri, a giocare e a sviluppare competenze che ci permettano di goderci la sessualità in maniera piacevole, consensuale, consapevole e sicura. Di là dall’età, dall’orientamento, dai desideri: siamo tutti persone sessuate, e dovremmo tutti avere la possibilità di imparare a godere del sesso nella maniera più sicura, che più ci gratifica e che più ci metta in contatto con chi ci sta vicino.
Amen. Come la vogliamo concludere questa chiacchierata?
Proviamo con un invito: «se siete genitori, educatori, operatori o semplicemente persone interessate al mio lavoro di ricerca e formazione, contattatemi su [email protected]». Come ti sembra?