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Techniques of pleasure – Ricerca discutibile, ma grandi intuizioni

Techniques of Pleasure – BDSM and the Circuits of Sexuality

Margot Weiss
Duke University Press
€29
336 pagine
Lingua: Inglese
ASIN: B016N54Z42
@: compralo online

Ci sono casi in cui bisognerebbe essere abbastanza furbi da cogliere i segnali di quando qualcosa non va per il verso giusto – specie se questi segnali ti prendono a schiaffi in faccia per mesi. Per esempio: di norma sono un lettore piuttosto veloce, che divora libri nell’arco di pochi giorni, eppure per finire Techniques of pleasure – BDSM and the circuits of sexuality mi ci sono voluti quasi due anni. È stata una di quelle robe in cui racconti a tutti quant’è fico il libro che stai leggendo, ma… in qualche modo non digerisci mai più di una decina di pagine per volta, e finisci col dedicarti nel frattempo a un sacco di altri testi più accessibili. A ogni modo finalmente sono arrivato in fondo. Dopo 336 pagine e molti ragionamenti, credo sia giunto il momento di presentarvi il tomo di Margot Weiss, che merita senz’altro un posto sulle librerie di chiunque sia almeno un po’ interessato a capire cosa sia il BDSM. Basta che non diciate che non vi avevo avvertiti su quanto fosse pesante, ok?

Al momento di scriverlo, la signora Weiss era assistente di Antropologia e Studi Americani alla Wesleyan University, e state tranquilli che non vi concederà di dimenticarlo nemmeno per un secondo mentre leggete il suo lavoro. In due parole, Techniques of pleasure è la sua esplorazione etnografica della scena BDSM di San Francisco all’inizio degli anni 2000, analizzata attraverso una spessa lente di accademia e pensiero critico. Ciò ha lati positivi e negativi. Sul primo fronte permette infatti ai lettori di percepire il mondo dell’eros estremo tramite una prospettiva nuova, lontana dalle solite narrative stereotipate di «sono tutti dei fighissimi esploratori» e «sono solo dei pazzi»; d’altro canto però si riferisce a un gruppo di zozzoni molto limitato e insolito, e l’autrice sembra fare resistenza attiva contro qualsiasi interpretazione non corrisponda alla sua visione assai teorica delle sessualità insolite. Così, benché il libro abbia vinto qualche premio (anch’esso molto autoreferenziale, però), non mi sentirei di valutarlo come una ricerca valida. Il che non vuol dire tuttavia che manchi di intuizioni eccezionali.

Il titolo dell’opera si riferisce all’idea che il BDSM sia un ambito estremamente tecnico, decisamente lontano dalla spontaneità del sesso vanilla e pertanto interessante da investigare alla ricerca dei significati più profondi di comportamenti tanto complessi – o ‘circuiti’, come li chiama l’autrice. La sua conclusione è che lo stato attuale dell’eros estremo non sia altro che la riduzione consumistica di una critica sociale da tempo sterilizzata e resa innocua fino a essere divenuta un club per bianchi ricchi i cui passatempi riflettono – spesso inconsapevolmente – le banali regole sociali, problematiche e traumi che affliggono pure la società “normale” da cui si ritiene orgogliosamente separato. La Weiss sembra particolarmente irritata dalla poca voglia dei suoi soggetti di ricerca nel voler convertire la sessualità in performance politiche contro, per dire, la gentrificazione del quartiere gay di San Francisco o l’accettazione della schiavitù nella storia nordamericana. È un atteggiamento che posso ben capire, ma che appare piuttosto buffo quando ci si rende conto che tutte queste idee si basano sull’osservazione di un campione di umanità molto piccolo. Offendersi tanto con la cultura BDSM in generale per via delle ‘onnipresenti aste di schiavi per raccogliere fondi’ quando si tratta (trattava?) solo di un fenomeno caratteristico di certi Stati Uniti, per esempio, sottolinea questo problema – specialmente quando la Weiss si mostra orgogliosa di rifiutare i ripetuti chiarimenti dei soggetti su come in quel contesto le parole ‘padrone’ e ‘schiavo’ davvero non c’entrino niente con le piantagioni di cotone.

Stabilito ciò, sono comunque convinto che aprirsi alle critiche provenienti dal mondo esterno farebbe solo un gran bene allo status quo ultraripetitivo e autoreferenziale della scena kinky. Durante la lettura di Techniques of Pleasure, per esempio, ho preso appunti ogni volta che mi sono imbattuto in una “nuova” prospettiva sulla cultura erotica nella quale sono così abituato a vivere che potrei involontariamente non valutare più in modo obiettivo. Non sono sempre d’accordo con queste interpretazioni, ma eccole comunque in ordine sparso:

  • Il ‘sicuro’ di SSC potrebbe voler dire in realtà che il BDSM è al sicuro dalla realtà sociale;
  • L’eros estremo è libertario perché consapevole dei bisogni individuali, ma anche neoliberista perché li confina entro spazi privati rinforzando l’idea che la sessualtà sia il premio per bravi lavoratori alienati;
  • Weiss conferma la teoria della Newmahr per cui tante persone entrano nelle comunità kinky perché non hanno di meglio da fare e perché sono divertenti e aperte, ma non hanno un vero interesse per il BDSM e risucchiano quindi energia, parlando troppo e giocando troppo poco;
  • Le comunità kinky rafforzano il neoliberismo perché richiedono risorse (sia finanziarie che di altro tipo) per parteciparvi. Pensiamo a come la gentrificazione di San Francisco la abbia resa un parco a tema gay dal quale sono esclusi i gay non ricchi;
  • Diversi tipi di minoranze sessuali hanno concetti differenti di pubblico. I gay sono pubblici con tutti, mentre chi fa BDSM è “pubblico” solo con i suoi simili all’interno di spazi chiusi e protetti;
  • La cultura dell’eros estremo si basa sull’apprendere e seguire regole di comportamento e di sicurezza che hanno senso ma che eliminano ogni valore di ribellione sociale dal gioco. Giocare è più orientato all’esibirsi che al comunicare con i partner;
  • Derive cospirazioniste: “l’accettazione delle autoregolamentazioni è il modo indiretto che hanno i governi per controllare le devianze”;
  • La Society of Janus è stata la prima a spingere su regole e sicurezza, togliendo al BDSM la sensualità e l’eccitazione del pericolo;
  • Le comunità kinky sono prevalentemente bianche e medioborghesi perché sia il BDSM che questa categoria di persone sono definite dal rischio come qualcosa che viene scelto anziché esservi soggetti;
  • Il bisogno legale di avere dungeon monitor alle feste ha reso i giocatori più esperti intolleranti alla proliferazione di regole;
  • Gli strumenti BDSM sono feticci, e secondo Marx e Freud i feticci sono sostituti di relazioni sociali e sessuali di successo. Sono anche la prova che l’eros di questo tipo sia una fantasia consumistica;
  • La cultura nordamericana associa politica e sessualità con la privacy. Portare la sessualità all’interno del discorso pubblico la rende politica, e se è deviante mette in discussione i meccanismi di fondo del consumismo e delle diseguaglianze sociali;
  • La società infetta il ruolo dominante nel BDSM con insicurezze ed equivoci sul significato di dominare;
  • La scena kinky negli USA è prevalentemente bianca, ma non si rende nemmeno conto di contenere un sottotesto razzista. I neri non vi partecipano per paura di ripercussioni sulla loro percezione pubblica e autostima. La scena tuttavia decontestualizza la storia (schiavismo, nazismo, ecc.) trasformandola in satira.

Ecco fatto. Vi ho appena risparmiato un anno di lettura molto ardua e intensa. A meno che non siate veri studiosi, nel qual caso dovreste proprio procurarvi il libro e prepararvi a un’esperienza assai tosta.

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