Playing on the edge – Sadomasochism, risk and intimacy
Staci Newmahr
Indiana University Press, 2011
$ 24.95
244 pagine
Lingua: inglese
ASIN: 0253222850
Isbn: 978-0253222855
@: compralo online
In genere solo tre generi di persone scrivono saggi sulla dominazione erotica: psicologi e psichiatri che trattano solo i suoi eccessi patologici; ricercatori che lavorano su campioni statisticamente insignificanti o che si concentrano su una sola sfaccettatura dell’argomento; acritici entusiasti del BDSM che vogliono solamente insegnarvi tutti i loro giochini. Purtroppo nessuno di questi gruppi è in grado di cogliere l’intero panorama di un fenomeno culturale estremamente vasto e complesso. Ciò conduce quasi sempre a un’informazione incompleta, e nel terzo caso a una specie di cecità difensiva nei confronti dei lati sgradevoli di una forma di sessualità peraltro fantastica.
Una volta ogni tanto spunta però un outsider il cui sguardo innocente, senza pregiudizi, finisce per scuotere le fondamenta di tutta la questione come un terremoto. O perlomeno questo è stato l’effetto che ha avuto per me il libro della dottoressa Newmahr. Il fatto è che, da brava etnografa, si è avvicinata alla comunità BDSM dello stato di Washington con lo stesso approccio che avrebbe avuto verso una strana tribù amazzonica: tenendo la mente più aperta possibile, ma anche stando pronta a notare e analizzare insieme ai lati positivi pure i problemi nascosti. E altroché se l’ha fatto.
Per chiarire le cose è utile notare che Playing on the edge esamina solo una parte del mondo BDSM: quella semipubblica, urbana non professionale di statunitensi prevalentemente eterosessuali. Va detto però che si tratta di un campione importantissimo, perché è quello più impegnato nella divulgazione tramite eventi, scritti online e attivismo vario. Si tratta della cosiddetta ‘Scena’, che fra l’altro è anche il gruppo meno analizzato da studi precedenti. In altre parole sono coloro che incontrerete per primi se cercate ‘BDSM nella mia città’ con Google. Se ci avete mai provato e siete andati a qualche evento saprete anche già cosa ha pensato l’autore quando è entrata in contatto con questa cultura: «ehi, ma non sono un po’ strani?».
Questo non lo ammetterà mai alcun praticante, ma certo che sì – e lo eravamo ancora di più negli anni passati, quando il BDSM era una roba più underground. «Mi è sembrato di entrare nel bar di Guerre stellari» aveva commentato per esempio una mia amica senza peli sulla lingua riferendosi all’insolito numero di persone eccessivamente grasse, o esili, o che non guardavano nessuno negli occhi, o che sembravano un po’ troppo espansive fin dal primo istante. Chi fa parte dell’ambiente è bravissimo a tollerare le diversità e dopo un po’ non fa nemmeno più caso all’improbabile preponderanza di tratti bizzarri, eppure ci sono e quindi la Newmahr ha cominciato proprio studiandone il perché.
Questa è la parte di libro che ho trovato più interessante, perché analizza un fenomeno di cui non parla mai nessuno e arriva a conclusioni sincere che danno molto da pensare. Viene fuori che la comunità BDSM pubblica è composta per gran parte da emarginati, che vi si sono avvicinati o per una particolare curiosità nei confronti delle “stranezze”, o in cerca di un rifugio da quelle norme sociali alle quali non possono o non vogliono adeguarsi. Molti membri sono outsider (spesso si definiscono ‘nerd’ o ‘geek’) per scelta – anche involontaria – che trovano pace negli stimoli intellettuali e nell’accettazione immediata offerti dalla comunità. Il BDSM diviene così quasi una scusa che accomuna personaggi molto differenti senza una particolare reputazione o un lavoro convenzionale che li costringa a conformarsi alle apparenze “normali” – e infatti non lo fanno.
Non conformarsi ai ruoli sociali tradizionali significa anche non essere ossessionati dall’identità sessuale. Un’altra osservazione importante è come nel BDSM il genere non abbia un ruolo centrale, ma sia qualcosa che viene applicato all’identità dominante o sottomessa – cioè al vero fulcro della community. A conti fatti si può quindi capire come la dominazione erotica sia una trasgressione di molti limiti: sociali, psicologici, personali e sensoriali. E ciò conduce al cuore della questione: quali sono i veri confini del BDSM?
Questi capitoli presentano un’analisi un po’ più standard delle dinamiche di gioco, eppure qua e là la Newmahr scova delle brevi, lucide definizioni che potrebbero fare un gran bene alle troppe discussioni sull’argomento. In questo contesto, per esempio, nota come il dolore non sia un incidente che “succede”, ma una cosa molto specifica che viene offerta e che si può scegliere di accettare o meno. Ciò cambia completamente il modo in cui la sensazione viene sperimentata, cancellando oltretutto ogni sospetto di violenza.
Parlando appunto di violenza l’autore indica un altro elefante nel salotto: come perfino chi pratica BDSM rifiuti di accettare che sesso e prevaricazione possano coesistere. Quante volte abbiamo sentito dire che «sesso e BDSM sono due cose distinte», nonostante ogni prova del contrario? Secondo Playing on the edge sessualità, ascetismo, chirurgia estetica, sport di contatto e violenza fanno invece tutti parte di un continuum che la scienza dovrebbe decidersi a riconoscere, altrimenti non sarà possibile realizzare utili studi interdisciplinari.
Sono andato un po’ troppo sul difficile? Troppo sgradevole? In questo caso c’è un’ultima osservazione che potrebbe confortare. Dopo tanto studio dei dati raccolti e della sua esperienza personale, l’autrice conclude che il BDSM non è sesso ma intimità, non violenza ma fiducia. E, una volta tanto, capire davvero perché sia così può cambiarci completamente la vita.