Negli ultimi giorni una notizia proveniente dal Giappone ha suscitato grande scompiglio e indignazione fra i media occidentali e, di conseguenza, nei forum di Internet. L’artigiano Shin Takagi, che ammette apertamente di avere tendenze pedofile, ha fondato la Trottla: un’azienda che realizza riproduzioni ultrarealistiche di bambine dai cinque anni in su. Benché le bambole vengano presentate come oggetti artistici non adatti all’uso come sex toy è palese che siano state concepite per acquirenti con interessi decisamente malsani. Takagi stesso dichiara che abbiano una funzione “terapeutica”, e che in eventuale combinazione con altri ausili quali la terapia cognitiva o la castrazione chimica diano ai pedofili socialmente pericolosi la possibilità di sfogare i propri istinti in modo innocuo. Immaginate il caos che ne è venuto fuori.
Come spesso accade quando i giornalisti si occupano di sessualità e ancor più se c’è di mezzo la “misteriosa” cultura giapponese, la questione è in realtà piuttosto diversa da come sia stata presentata la notizia – come minimo perché non è affatto una notizia. Trottla ha aperto infatti ben undici anni fa: se si ha cominciato a parlarne solo oggi è perché Roc Morin, specialista in reportage dalle sottoculture più bizzarre, è stato l’unico giornalista a prendersi il disturbo di alzare il telefono e chiedere appuntamento per visitare la fabbrica di Takagi. Tutte le altre testate si sono limitate a rilanciare le sue informazioni come se fossero di prima mano, spesso “dimenticandone” alcune per spingere sul pedale dello scandalo acchiappaclick.
Fra queste vi sono le dichiarazioni provocatorie ma non del tutto campate per aria dell’artigiano, che osserva per esempio: «Alcuni sostengono che ciò che faccio sia malato, ma le bambole non sono esseri umani. Non hanno diritti umani e non sono certo vittime. Possono attaccarmi, ma non sento il bisogno di dovermi giustificare: presumo che molti dei miei critici abbiano problemi mentali. Se ritieni che le mie bambole siano immorali, dovremmo eliminare anche tutte le sculture di nudo nel mondo, tipo il David, solo perché riproducono dei genitali?» Oppure: «Le mie bambole non hanno funzionalità sessuali perché riproducono bambini, e i bambini non fanno sesso. Posso rifiutare di ripararne una che sia stata usata come sex toy, ma non posso prevedere cosa ne facciano i clienti. In compenso rispetto le caratteristiche degli acquirenti: per esempio non spedisco in Israele perché la religione locale vieta l’idolatria.»
Silenzio anche sul fatto che la Trottla sia sostanzialmente un’impresa truffaldina. Sembra infatti che il fondatore basi gran parte dei guadagni sulla denuncia di “utilizzo non autorizzato” delle foto che lui stesso pubblica sul sito aziendale, mentre i forum di appassionati sono pieni delle lamentele di clienti che hanno pagato oltre 8.000 dollari per una bambola e dopo due anni non hanno ancora ricevuto nulla, o articoli rotti di qualità ben inferiore a quanto mostrato nei cataloghi. Chi ha scritto a Takagi per lamentarsene ha ottenuto solo scuse assai improbabili, mentre i potenziali nuovi compratori vengono accolti a braccia aperte.
La distrazione degli astuti reporter si nota anche dal fatto che nessuno abbia pensato di usare Google, altrimenti avrebbe scoperto che di fabbriche di pedobambole ce ne sono parecchie: tutte guarda caso proprio in Giappone, e per un ottimo motivo. Il Paese del Sol Levante non è infatti così alieno e folle come viene spesso rappresentato dai mass media, ma ha senza dubbio una cultura particolare secondo cui giocattoli erotici di questo tipo vengono visti sotto tutta un’altra luce.
L’ossessione nipponica per i corpi prepuberi ha due origini. La prima prettamente anagrafica: trattandosi della società con l’età media più alta sul pianeta, la gioventù vi assume un fascino “esotico” per cui appare particolarmente eccitante. In secondo luogo la scarsa diffusione del cristianesimo e del senso di colpa cattolico – unita a un certo pragmatismo nazionale – fa sì che le fantasie sessuali più estreme vengano considerate un ragionevole passatempo del tutto accettabile, dato che si tratta appunto di sole fantasie.
L’industria locale ha riconosciuto e alimentato fin dagli anni Settanta del secolo scorso il lolicon, termine nato dalla contrazione di ‘complesso di Lolita’, che indica appunto l’attrazione morbosa degli adulti nei confronti dei minorenni. Osservando l’immensa produzione di immagini, manga, video in computergrafica, sex toy assurdi e videogiochi esplicitamente pedofili sorgono ben pochi dubbi che il mercato si nutra senza alcuna ipocrisia di questa mania nazionale. Ciò che lascia più perplessi è semmai il modo in cui l’immaginario lolicon abbia tracimato nella vita quotidiana, colonizzando settori come la pubblicità o la moda.
Nel caso del Giappone però il danno è limitato soprattutto perché si tratta di una società molto repressa. Il paese è così impacciato nei rapporti umani da avere un serio problema demografico di vergini di trent’anni e oltre, per non parlare del fenomeno sempre più in crescita degli host club, dove giovani donne normalmente attraenti si riducono a pagare somme assurde pur avere una qualche interazione faccia a faccia con dei ragazzi – limitandosi di solito a castissime chiacchiere. Come dimostrano le statistiche, in un contesto simile il rischio che le fantasie di molestare ragazzini si trasformino in realtà è pressoché nullo – ma cosa succederebbe in Occidente?
Lo scandalo sulle bambole deriva principalmente dalla consapevolezza che far arrivare oggetti simili nella nostra società avrebbe un impatto enormemente destabilizzante. Poco importa che i prodotti della Trottla e delle sue concorrenti siano già esportati in tutto il mondo (e non ricordatemi la saga inquietante delle Dollfie, per carità!): figuriamoci se i nostri valenti giornalisti se ne potessero accorgere.
Il punto è che la nostra cultura ancora fondata sull’oscurantismo sessuale ha reso tutto l’eros un campo minato, che infatti non manca di esplodere sempre più spesso in episodi agghiaccianti di violenza contro le donne, le minoranze e purtroppo i bambini.
Sul fatto che sessualizzare i minori sia ripugnante non c’è alcun dubbio, indipendentemente dalla nazione in cui ciò accade. Se tuttavia l’onestà intellettuale giapponese disinnesca in parte il fenomeno, l’ipocrisia dell’Occidente – e in particolare degli Stati Uniti – rende il problema ancora più pericoloso. Stiamo parlando di una cultura che trova accettabili spettacoli di rara morbosità quali i baby pageant ma si scandalizza se viene sbertucciata da Miley Cyrus che si atteggia a pornobebè, che vende lingerie per bambine senza battere ciglio e poi si fa venire gli svenimenti se qualcuno fa notare che le stesse ragazzine guardano video porno ben prima di avere compiuto 18 anni.
Aggiungere a un calderone tanto schizofrenico un oggetto che materializza le ossessioni malsane di chi non riesce a vivere serenamente il sesso fra adulti è il catalizzatore che rende l’intera miscela esplosiva. Specie se l’abitudine ci ha indottrinati a mettere mano ai forconi, spegnere il cervello e agitarci scompostamente non appena qualcuno pronunci la parola ‘pedofilia’ che – un po’ come ‘Hitler’ – assomiglia a un incantesimo capace di bloccare istantaneamente ogni discussione razionale.
Il mio più grosso vizio è tuttavia proprio la passione infinita per razionalità e conoscenza, così ho deciso di fare qualcosa di incredibilmente rivoluzionario. Anziché pontificare a sproposito come tanti giornalisti e leoni da tastiera, sono andato a sentire l’opinione di chi certi argomenti li studia davvero. Il professor Fabrizio Quattrini, docente di Clinica della Parafilia e della Devianza all’università dell’Aquila, è uno psicologo dell’Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica che ha pubblicato di recente proprio un libro sull’analisi concreta delle sessualità anomale. E, guarda caso, la chiacchierata che abbiamo fatto è stata molto più ragionevole e illuminante di quanto leggerete altrove. Eccola.
Uno dei concetti chiave del tuo libro Parafilie e devianza edito da Giunti è che ogni interesse sessuale anomalo si può presentare con diverse intensità, dall’innocua fantasia occasionale all’ossessione patologica e potenzialmente pericolosa. Prima di entrare nell’argomento specifico delle bambole vorrei chiederti quindi quale sia la reale entità del fenomeno pedofilico rispetto alla percezione comune e alla rappresentazione che ne danno i media. In altre parole: statisticamente si sa quante siano le persone attratte dai minori, e quante fra loro costituiscano un pericolo concreto per i nostri figli?
Tra i diversi interessi sessuali definiti atipici il comportamento pedofilico è un disturbo in cui solitamente un uomo (non sono comunque escluse le donne) vive un particolare sentimento affettivo-erotico nei confronti di bambini pre-puberi. I livelli di attrazione pedofilica possono variare da certe intense fantasie a comportamenti agiti e reiterati nel tempo. L’adulto pedofilo può mettere in atto semplici attenzioni e carinerie nei confronti del minore fino a poter raggiungere un contatto affettivo, che in alcune occasioni culmina con l’intimità erotico-sessuale. La persona con Disturbo Pedofilico può avere la convinzione che il bambino ricavi particolare piacere proprio da quelle attenzioni/atteggiamenti dedicati.
Dalla letteratura scientifica recente la più alta prevalenza possibile vede il 3-5% della popolazione maschile coinvolta in comportamenti di tipo pedofilico. Nelle donne sembra ridursi al 2%.
Ciò che colpisce nei cataloghi dei produttori di questo genere di bambole è anche l’assenza di soggetti di sesso maschile. I dati sul fenomeno della pedofilia rispecchiano questo interesse esclusivo per le bambine?
In linea generale una persona con fantasie e comportamenti pedofili potrebbe non porre particolare attenzione al genere del bambino. Questo perché l’interesse non è rivolto necessariamente ad un approccio sessuale di tipo genitale, quanto invece all’immagine immatura, fragile e manipolabile del minore pre-pubere. Ci sono però dei pedofili con una particolare predilezione per il genere del bambino e quello femminile sembra più elevato. Al riguardo un’ipotesi sulle origini del comportamento pedofilico sottolinea come causa scatenante il possibile abuso sessuale vissuto in infanzia e rivendicato dagli stessi minori in età adulta, riproponendo lo stesso comportamento di tipo pedofilico (il cosiddetto ‘ciclo dell’abusante abusato’). In linea generale sembra però che a causa di una maggiore vulnerabilità psicologico-emotiva del bambino di sesso maschile rispetto alla bambina, un abuso sessuale in età infantile e comunque pre-pubere indurrà proprio il maschietto a riproporre in età adulta il ciclo dell’abuso su minore. Nella bambina invece sembrano svilupparsi in età adulta forti tendenze al maltrattamento e l’incuria dei propri figli al posto delle classiche azioni pedofile. La scelta del genere femminile come attrazione elettiva da parte del pedofilo uomo sembrerebbe confermare la maggiore prevalenza del pedofilo di sesso maschile nella popolazione mondiale.
La teoria di Takagi secondo cui le sue bambole aiuterebbero i pedofili a non molestare bambini veri mi ha lasciato un po’ spiazzato. È davvero questo l’effetto che avrebbero sulle categorie descritte prima? Quali fattori possono rendere la stessa bambola un deterrente per una persona e un’istigazione per un’altra?
Sinceramente l’ipotesi di Takagi potrebbe avere una qualche verità. La possibilità che un individuo pedofilo sfoghi i propri istinti e desideri erotico-sessuali utilizzando un sostituto “artificiale” come le bambole in questione potrebbe allontanarlo dall’agire nei confronti di minori reali. È però importante ricordare le varianti caratteriali degli individui con Disturbo Pedofilico, che in alternativa potrebbero utilizzare queste riproduzioni come semplice test prima di sfogare i propri desideri sessuali proprio sul minore in carne ed ossa. La bambola potrebbe quindi non rappresentare un aspetto terapeutico, bensì una “scuola” utile al pedofilo ad affinare strategie immaginative di tipo abusante.
Molto probabilmente i fattori che spingono a vivere la bambola come deterrente o come istigazione non sono facili da individuare. Penso che, oltre alle differenze di tipo emotivo-caratteriali ed escludendo particolari condizioni psicologico/psichiatriche, il pedofilo che acquistasse una bambola come quelle di Takagi vivrebbe troppo liberamente il pensiero pedofilico e questo sono certo non possa essere definito terapeutico.
A pensarci bene mi viene un dubbio. Ma per qualcuno attratto dai minori un simulacro di questo tipo non è addirittura meglio di un bambino vero? Dopotutto, a differenza di quest’ultimo una bambola non solo evita il rischio di finire in galera, ma non ha nemmeno le naturali reazioni di rifiuto che avrebbe una persona e suppongo permetta al molestatore di realizzare con più soddisfazione le proprie fantasie, che non verrebbero così disturbate da “distrazioni” estranee.
Sono ipotesi da tenere in considerazione. Personalmente non credo però che l’essere umano possa accontentarsi semplicemente dell’oggetto sostituto, a meno che non diventi dipendente dall’oggetto stesso – il che rimanderebbe comunque a una forma disfunzionale della risposta sessuale. Sicuramente l’uso di bambole prepuberi allontanerebbe il pedofilo dal pericolo giuridico-criminale, ma allo stesso tempo lo porterebbe nel vortice di una forte disfunzionalità. A mio avviso questo aspetto potrebbe condurre il pedofilo a mettere improvvisamente in pratica con minori in carne ed ossa il comportamento vissuto fino a quel momento anonimamente con la bambola. Per esempio potrebbe prenotare il primo volo per un paese orientale dove il mercato della prostituzione minorile appare accessibile e tangibile.
Nelle interviste il fondatore della Trottla è sempre estremamente diplomatico ma anche molto ambivalente. Da una parte ammette la propria attrazione per le bambine ma dall’altra nega oltre ogni plausibilità che le sue creazioni possano essere usate per scopi sessuali; prima sostiene che le bambole siano permeate da un kami (una sorta di spirito shintoista) in quanto antropomorfe, e poi che non possano essere criticate in quanto semplici oggetti indegni, privi anche di un nome; se da un lato si vanta di averle dotate di genitali realistici, dall’altro sottolinea che non sono penetrabili «perché le bambine non fanno sesso». Viste con l’occhio dello psicologo queste dichiarazioni sono solo ipocrisia da marketing o denotano qualche particolare meccanismo mentale?
Di sicuro una persona come Takagi che decide di mettere in commercio il prototipo di un “oggetto” nato dal desiderio personale di vivere liberamente e privatamente l’emozione di tipo pedofilo fa pensare molto ad una strategia di marketing. Di contro la produzione di queste bambole così realistiche per quanto “impenetrabili” denota una caratteristica di personalità del costruttore che non solo conferma l’attrazione erotico-sessuale per le bambine pre-puberi, ma anche una certa ossessività e “dipendenza” per tutto quello che è infantile.
Il dibattito sorto attorno a questo caso è una sorta di anticipazione di un tema che in futuro diventerà sempre più importante, Con il progresso tecnologico è infatti certo che i primi androidi sul mercato – più o meno tra una ventina d’anni – saranno quelli per uso sessuale: certamente per pratiche vanilla, ma anche come surrogati “sicuri” per chi ha tendenze più inquietanti quali appunto la pedofilia, la misoginia violenta o il sadismo patologico. È persino già nato un comitato di filosofi contrari agli androidi sessuali, che sta cercando di prevenire la creazione di simulacri erotici.
Che effetto pensi avrà l’introduzione di queste “superbambole” per la psicologia e la sessuologia, ma anche a livello sociale? Saranno più i disturbi da pornorobot o i vantaggi, per esempio nel campo dell’assistenza sessuale?
Il tema è molto interessante e apre le porte a nuove tendenze clinico-terapeutiche in ambito psicosessuologico. Chiaramente non dobbiamo confondere il possibile utilizzo della “tecnologia” per la risoluzione delle disfunzioni erotico sessuali e favorevole al benessere sessuale, con l’abuso e la violenza sessuali. Infatti, qualora fossero costruiti ausili a favore di una tematica delicata come l’assistenza sessuale per le persone disabili, ma anche per le disfunzioni sessuali in generale, vedrei il tutto come una grande risorsa che permette al professionista e al paziente di migliorare i percorsi terapeutici, apprendendo dall’esperienza. Qualora invece tali ausili tecnologici fossero impiegati per soddisfare desideri che alimentano un disagio interiore, ma anche espressioni sessuo-relazionali disfunzionali, anche se egosintoniche, allora non riuscirei a non considerare il tutto come pericoloso: sarebbe una forma patologica tipica della “dipendenza”. A questo proposito ricordo che anche nelle espressioni più estreme della sessualità, come nelle pratiche BDSM, l’aspetto dipendenza ma anche quello di una possibile caratteristica di personalità patologica non sono contemplate all’interno del panorama delle espressioni di benessere erotico-sessuale.
Concludiamo con un esperimento mentale. Mentre mi documentavo online per questo articolo mi sono imbattuto in un forum in cui una persona scriveva testualmente: «Il mio vicino di casa ha ricevuto una bambola Trottla. Cosa devo fare? Lo devo denunciare, e a chi?». Al di là dell’invadenza di questo individuo nelle vite altrui mi hanno colpito le reazioni: dozzine di messaggi che invocavano il linciaggio o quanto meno il carcere.
La domanda per te è allora questa: immaginiamo che tu abbia una figlia di nove anni e che tu scopra che il tuo vicino possiede una di queste bambole. Come reagiresti?
Non sono solito nel giudicare gli altri. La provocazione è interessante, ma resto dell’idea di insegnare a mia figlia di 9 anni il rispetto per l’altro diverso da sé. In questo caso mi metterei comunque in una posizione educativa: un’educazione alla sessualità che includa l’attenzione per eventuali pericoli esterni. Questo non deve creare timori e terrorismi, bensì sicurezza e autonomia: l’idea è di promuovere nella minore la fiducia verso chi la cresce e la protegge, permettendole un dialogo utile e costruttivo così da prevenire qualsiasi imprevisto.