‘Leatherman’. Una parola che in Italia è più facile venga maldestramente associata a un talk show americano o a un brutto supereroe che alla sottocultura da cui è nato l’intero movimento sex positive. I più cosmopoliti ricordano Tom of Finland e l’estetica che per decenni ha contraddistinto i leathermen, appropriata poi da innumerevoli icone pop. Nell’era di Internet, tuttavia, anche all’estero sono in molti ormai a ignorare cosa abbia fatto il mondo leather per tutte le sessualità alternative, e cosa continui a fare.
Per fare il punto della situazione ho contattato qualche mese fa niente meno che Fabrizio Paoletti, vincitore del titolo di Mister Leather Italia. Il fatto stesso che per realizzare un’intervista ci sia voluto quasi un anno la dice lunga su quanto tale ruolo lo abbia tenuto impegnato in questi mesi – ma finalmente siamo riusciti a coordinarci, e questo è ciò che ci siamo detti…
Ciao, Fabrizio! Ci racconti chi sei?
Ciao, sono un uomo quasi 53enne gay attivista per i diritti LGBTQIA, acronimo che significa diritti delle persone ‘lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersex e asessuali’: una sigla spesso contestata per la difficoltà nel comprendere tutte le dimensioni identitarie connesse alle specificità di genere, di orientamento sessuale o di specifica morfologica genetica. In realtà le cose sono però anche più complicate, perché ciascuna nostra caratteristica è soltanto una parte della nostra identità. Per definirmi o raccontarmi non posso omettere certe caratteristiche rispetto alle altre: nessuna è totalizzante, ma se me le riconosco sono tutte tasselli importanti della mia personale identità.
In particolare sono un cittadino italiano nato nel 1965 in un paese molto sessista e omofobo, e ho vissuto in un clima di compressione forte di ciò che sentivo in me. Laureato in ingegneria elettronica, mi sono sposato con una donna dopo un lungo fidanzamento e sono diventato padre di una bellissima bambina. Dopo essermi separato nel 2001 con una figlia di 3 anni e un affido condiviso, ho avuto la possibilità di riappropriarmi della mia identità primaria di uomo gay. In quegli anni, in cui l’omogenitorialità non era così sdoganata come adesso, mi sono sentito costretto a trovare una strada per conciliare la mia omosessualità con il mio esser padre e sono diventato attivista per i diritti.
Il mio lato feticista altrettanto compresso è stato sempre presente in me da quando ero ragazzo, ed è stato possibile viverlo completamente soltanto negli ultimi anni, con il mio attuale compagno che condivide con me questo interesse. Nel mio caso nasce dall’interesse per gli stivali come simbolo di virilità e potenza sessuale maschile, che sono una componente fondamentale del mio stile e della mia sessualità insieme alle uniformi in pelle che completano una immagine di un uomo virile, forte, potente.
Partiamo dalle basi: che cosa viene riconosciuto con il titolo di Mr. Leather, e cosa comporta? E, a proposito, cosa ti ha portato a partecipare e vincerlo?
Il titolo di Mr. Leather Italia ha una lunga storia, dato che esiste dal 1994. La connotazione del titolo si è evoluta negli anni attorno a un senso di rappresentanza della comunità leather fetish italiana. Come Mr. Rubber Italia e il più recente Mr. Puppy Italia viene promosso dai club gay leather fetish, che sono organizzazioni nate per creare iniziative di socializzazione, di conoscenza di promozione sociale di questa sottocultura. Ve ne sono in tutta Europa, e in America hanno una storia molto articolata che affonda le sue radici nel secondo dopoguerra, quando i soldati rientrando dal fronte portarono con loro l’esperienza della vita militare e di uno stile relazionale gerarchico e cameratesco. Poiché tutto ciò non esisteva nel mondo civile diedero vita a gruppi che condividevano l’interesse per una tipologia di gay non effemminato e con una immagine più vicina a stereotipi di tipo maschile, con una sessualità kinky-BDSM: un immaginario erotico poi entrato nel mainstream. Questi gruppi, in un epoca in cui l’omosessualità era ancora fuorilegge in alcuni paesi, si sono organizzati in club di motociclisti e si sono coordinati in alcune associazioni sovranazionali. In Europa nacque la ECMC – European Confederation of Motorcycle Clubs, che continua a svolgere un ruolo importante di collegamento nella comunità nonostante oggi con i social network si riesca a stare in contatto e a fare rete molto più facilmente da un capo all’altro del pianeta.
Tornando ai titoli, svolgono l’importante ruolo di stimolare chi ha questi interessi a promuovere l’immagine leather personale e dei club nei confronti di altri club e paesi, facendo crescere la rete di relazioni che è il vero patrimonio di base di condivisione e di solidarietà delle nostre comunità. I candidati si prendono l’impegno di rendersi visibili e presenti, partecipando a eventi nazionali quali il LFI Meeting di Leather Friends Italia, da questo anno a inizio novembre a Milano, il Fetish Pride Italy intorno all’8 dicembre a Roma ed Essence of Fetish sempre a Milano, appena tenutosi a metà marzo con l’elezione del Mr Puppy Italia 2018. Si viaggia poi anche all’estero soprattutto per le occasioni principali, così come gli stranieri vengono a trovarci per i compleanni dei club, le elezioni dei titoli italiani (quest’anno l’ultimo weekend di aprile a Roma) e, per citare una cosa che mi appassiona per il mio personale fetish, il Boots Hookup che si terrà il prossimo 18-20 maggio a Padova.
La mia personale motivazione a partecipare è stata l’interesse da sempre per il fetish e la voglia di essere parte visibile di questa comunità, dato che l’immagine del leatherman rappresenta particolarmente la mia identità. Come dicevo, questa parte di feticista era stata abbastanza inespressa – per non dire repressa – nella mia carriera di attivista, quindi per me è stato importante poterla incarnare e portare visibilmente alla luce. Una parte di motivazione sono stati anche i premi, che prevedevano un piccolo contributo per i viaggi e qualche sconto sugli stivali, ma anche un photoshooting con un bravo fotografo del settore e un bell’harness in cuoio. E poi è stata una bella emozione e avventura questa competizione per il titolo, vissuta con altri due amici candidati di genuino e spiccato interesse feticistico come me, e la cornice dell’evento: fantastica, con visita a Venezia in gruppo di leathermen per le calli e sulle gondole, e finale al Castello di Valbona, mirabilmente organizzata lo scorso anno dagli amici di LFITALIA.
Negli Stati Uniti la cultura leather è molto attiva. Alcuni dicono pure troppo, considerata la quantità infinita di Mr. Questo e Mr. Quell’altro prodotta da un gran numero di manifestazioni – ma al di là dell’esibizionismo ci sono buoni motivi per tanto movimento. In una nazione senza welfare e con piani assicurativi punitivi, una delle attività principali dei vincitori è promuovere raccolte di fondi per la mutua assistenza di altri leathermen. Altri si impegnano invece in iniziative sociali contro le discriminazioni, o per diffondere la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale. Questi aspetti esistono anche nel mondo leather europeo, e in particolare in quello italiano?
Nel mondo europeo questo tipo di iniziative sono molto diffuse. È la base di partenza di comunità storiche che combattono lo stigma verso le persone sieropositive tramite l’impegno sociale nella lotta contro i pregiudizi e l’omofobia, oltre che con l’impegno nella prevenzione contro le malattie a trasmissione sessuale – in particolare l’infezione da HIV. Progetti di rilievo negli ultimi anni sono stati la campagna Rainbow Railroad per liberare gli omosessuali ceceni vittime di veri e propri campi di concentramento a causa del loro orientamento, la campagna social #Chechnya100 e l’informazione sul corretto utilizzo della PreP (terapia pre-esposizione) per il contrasto alla diffusione del contagio da HIV in persone che hanno difficoltà a proteggersi con il condom.
In Italia il problema è che l’omotransfobia è endemica, così come l’eterosessismo è imperante. In questo cocktail si fa un po’ fatica a creare una comunità solida e ampia che riesca ad impegnarsi in battaglie di questo tipo: la sessualità viene vissuta molto privatamente e la partecipazione ai pride delle persone gay e lesbiche a volte è ancor oggi problematica. Poi ci sono anche eccellenze di tradizione come il Roma Pride, dove la comunità fetish facente capo al Leather Club Roma è impegnata da 19 anni in battaglie di visibilità e di sdoganamento della sessualità kinky, mantiene buoni contatti con le altre associazioni LGBT e promuove eventi culturali sul tema delle sessualità fetish e BDSM. Anche i club Leather Friends Italia e Leather & Fetish Milano negli ultimi anni hanno partecipato molto visibilmente ai pride.
Per tornare al tema, in passato in Italia i detentori di titolo non hanno avuto una solida base di comunità su cui appoggiarsi per sostenere campagne sociali di prevenzione o lotta alle discriminazioni, ma negli ultimi anni le cose si stanno evolvendo e i nostri Mister hanno fatto opera di promozione della sessualità libera, consapevole e sicura, così come hanno sostenuto o addirittura promosso campagne di visibilità e fundraising.
Nel tuo caso un’iniziativa che mi è piaciuta molto è Babbo Gay. Puoi presentarla ai lettori, e dirci magari come è nata?
Nel solco del mio predecessore Mr. Leather Italia 2016, che aveva fatto una campagna di sostegno alle iniziative di Arcigay Napoli e della sua partecipazione all’International Mr. Leather (IML) 2017, anche io ho promosso una campagna di visibilità e fundraising per promuovere la comunità leather italiana tramite la mia partecipazione a IML a fine maggio con un parziale finanziamento del viaggio. La ho incentrata sulla mia visibilità personale come padre gay attivista e contemporaneamente Mr. Leather Italia: la campagna si chiama ‘Se Mr. Leather Italia è il mio babbo gay’, usa la piattaforma Collettiamo e vuole dimostrare come i valori della comunità gay leather siano del tutto compatibili – anzi, proprio in linea – con i valori della genitorialità e della educazione dei figli, contemplando come principi di base il rispetto, l’ascolto, la negoziazione e la fiducia. Le relazioni affettive e sessuali nella comunità gay leather e in generale kinky/fetish hanno davvero presupposti che raramente sono considerati nella banalizzazione dell’eterosessismo, dove talvolta le relazioni si fondano sull’adesione a progetti di vita precotti o imposti dalla famiglia e dall’educazione piuttosto che per scelta critica libera e consapevole.
Il progetto è nato dall’idea di valorizzare il titolo italiano nella cornice della nostra Firenze in un clima di totale condivisione di intenti con mia figlia, col mio compagno e con il ragazzo di mia figlia, il fotografo David Pestelli. Le foto raccontano una nostra passegiata nel centro di Firenze cogliendo gli spunti della storia e della contemporaneità fiorentina che affollano le strade del centro, dove noi siamo parte visibile e presente, senza nasconderci! Come ultima cosa è importante citare che oltre al parziale finanziamento del viaggio a Chicago i fondi saranno devoluti alla associazione Rete Genitori Rainbow, che fornisce servizi ai genitori LGBT con figli da relazioni eterosessuali, e a Il Giardino dei Padri, un forum sulla paternità e la promozione delle cure paterne che mira alla promozione di una visione non stereotipica della paternità, come parte della iniziativa internazionale MenCare.
A questo punto però è inevitabile che ti faccia una domanda sul rapporto con tua figlia. Il tuo coming out con lei è stato difficile da gestire? Per te e per lei, intendo.
Eh sì: la difficoltà c’è stata e nel mio caso il coming out è stato doppio, per la mia omosessualità e la mia sessualità non standard. Istintivamente ho sempre sentito che esprimermi autenticamente non potesse nuocere a mia figlia, che il fatto di stare bene con me stesso e seguire la mia inclinazione naturale verso l’omosessualità fosse qualcosa che andava nella direzione di essere un padre sereno e realizzato – quindi un dono per mia figlia piuttosto che un padre represso e insoddisfatto. Ma le paure sono tante: la mancanza di consapevolezza dei termini delle questioni interiori nostre, il non essersi riconosciuti, così come la paura del mondo esterno e di esporre il proprio figlio/a alle battute dei compagni e degli amici… tutti grandi timori e un grande freno.
Per questo motivo mi sono prima avvicinato nel 2007 a Famiglie Arcobaleno, ed è stato importante perché la conoscenza di genitori omosessuali e dei loro figli mi ha mostrato come si potesse essere coppia gay e genitori, due concetti che all’epoca nella mia testa stridevano. Il coming out con mia figlia è stato molto naturale: non mi ero mai nascosto del tutto nell’esprimere in modo non verbale ciò che sentivo quando il mio compagno di allora veniva a trovarci a casa e sicuramente lei percepiva che la relazione fra noi non fosse una semplice amicizia. Lo accennava a me e anche a sua mamma: «papà fa il gay con Luca», diceva… ma non sembrava costituire affatto un problema per lei. Quando io e Luca ci separammo temporaneamente per una crisi lei aveva quasi 10 anni e iniziò a pensare che io forse non fossi gay, dato che lui non si vedeva più. Fu allora che sentii la necessità di un chiarimento. Non volevo che Lavinia mi vedesse come un etero sfigato, solo da anni, quando invece la mia vita affettiva era sempre stata piena e intensa.
Per lei il mio coming out fu una conferma importante di tutto quello che aveva immaginato e si potè chiarire quali fossero i ruoli e i rapporti tra le persone della mia vita. Rivelare la mia sessualità kinky fetish è invece più recente: è passato attraverso uno stile di abbigliamento leather biker, che negli ultimi anni ho mostrato con sempre maggior evidenza e presenza nel mio tempo libero, o nei viaggi in cui compravo anche questo tipo di abbigliamento e stivali senza che sia mai stato un problema. Quando Lavinia è diventata maggiorenne e ho deciso di partecipare al concorso le ho fatto leggere la mia candidatura in cui parlavo del feticismo che avevo scoperto da bambino, e forse anche questo ha chiarito meglio alcuni aspetti delle mie stravaganze estetiche che prima potevano sembrare arbitrarie, dandole un quadro completo di comprensione della mia persona. Penso che la possibilità di conoscere autenticamente i suoi genitori sia un bellissimo regalo da dare a un figlio.
In generale con Lavinia il tema della sessualità, sia da parte mia che di sua mamma, è sempre stato trattato in modo aperto e laico. Se ne è sempre parlato come arricchimento della relazione umana e aspetto piacevole da vivere: non soltanto come complemento di una relazione affettiva, ma particolarmente bello se vissuto con qualcuno con cui ci siano affetto e sentimento importanti – e anche da proteggere in modo adeguato, non solo per i rischi di gravidanza ma anche per le malattie. In questo senso mi sento di aver fatto con sua mamma una ottima operazione educativa, e non solo in questo ambito.
Storie come la tua fanno evaporare in un attimo tanti preconcetti e pregiudizi che un po’ tutti abbiamo interiorizzato riguardo gli aspetti sociali delle sessualità alternative. In fondo è proprio vero che gli abiti, i ruoli, le pratiche e le identità che caratterizzano ogni persona contano nulla rispetto alla persona in sé, al suo lato umano. Tuttavia viviamo in provincia del Vaticano e in un paese non particolarmente noto per la sua apertura mentale, oltretutto in un periodo storico di orrendi rigurgiti fascio-patriarcali in tutto il mondo. Quali reazioni incontra una persona come te, che si presenta così pubblicamente con un’identità tanto diversa dagli standard?
Il mio coming out pubblico come leatherman è stato in occasione della vittoria del titolo lo scorso anno. Fino ad allora questo lato era relegato solo a un gruppo di persone ristretto. Ma in generale negli ultimi anni avevo iniziato a vestirmi in pelle e stivali sempre di più nel tempo libero, e questo mi aveva quindi portato e esternare questo aspetto della mia sessualità con chi entravo in contatto in modo più intimo. Un aspetto importante in questo è stato il mio attivismo e numerosi corsi di formazione in cui ho approfondito questioni relative alla sessualità e alle pratiche sessuali, nonché la formazione come counselor che ho completato pochi mesi fa: studiare le sessualità kinky; la loro de-patologizzazione operata nel DSM5; l’approccio del BDSM operato in modalità SSC. Tutti temi che ho approfondito negli anni e che mi hanno portato a una consapevolezza di me, a dissipare ogni dubbio rispetto al fatto che quello che avevo dentro fosse qualcosa di sbagliato, in un percorso crescente di autoccettazione. Questo lavoro su me stesso ha influito sulle mie relazioni familiari, affettive, della rete sociale e ha avuto senz’altro la sua parte di merito anche nel portarmi a vincere questo titolo italiano.
Nella nostra chiacchierata pre-intervista hai accennato alla tua delusione per un aspetto che mi è stato riferito anche da altri leathermen, ossia il modo in cui la cultura alla base di tutta la scena sia spesso sottovalutata a favore della semplice socializzazione. Potresti condividere con noi quell’episodio?
Ti riferisci alla partecipazione al concorso di Mr. Leather Europa, dove quest’anno le performance dei candidati partecipanti sono state centrate su temi di identità comunitaria – quindi sociali di coesione e di formazione, o sono state soprattutto performance artistiche e di esibizione di corpi o di outfit perfetti dove il fetish era poco presente, esibito come un fatto estetico, e il BDSM quasi del tutto assente o citato ma senza realmente mostrarlo nella sua forza – insomma, un abbellimento esteriore e niente di più.
Negli anni precedenti diverse performance erano state invece di valore e avevano portato sulla scena situazioni strettamente fetish/BDSM. Quel che si richiedeva ai partecipanti era mostrare un atto personale, e in quello sono stato fedele all’idea di candidato per il titolo di Mr. Leather Europa: cioè di esempio di una specifica dimensione personale di carattere sessuale e erotico, non semplicemente di un rappresentante sociale. Anche come pubblico quest’anno la gara si è svolta nel contesto di un naked party, dove ho sentito che l’aspetto feticista che ho portato nella mia performance sia stato accolto come un alieno a Central Park.
Quindi ha prevalso una certa spettacolarizzazione, più che la testimonianza autentica di una filosofia leather fetish: ho visto la nostra comunità entrare un po’ in una modalità edulcorata e socialmente accettabile, più che per la sua dirompente forza di rivendicazione di libertà sessuale e di affermazione di legittimità di ogni sessualità vissuta con il rispetto e il consenso di tutte le persone interessate – con consapevolezza, in sicurezza e salute. Un po’ come le battaglie del movimento LGBT che si orientano verso una normalizzazione delle differenze con la promozione del mito della famiglia in chiave arcobaleno, quando invece dovrebbe essere propugnata la libertà di scelta di relazioni e di vita sessuale scelte consapevolmente, nel rispetto delle persone e con le giuste tutele sul piano dei diritti, ma senza dover aderire esclusivamente a modelli etero-familistici.
Questo mi ha un po’ deluso, ma al contempo ho ricevuto dei sinceri apprezzamenti da parte di diversi membri della comunità che hanno riconosciuto il valore di quanto avessi portato in scena col mio compagno. Devo però dire che alla fine personalmente l’esperienza è stata oltremodo stimolante: mi ha portato a realizzare un video della nostra azione di boot worship filmato e montato professionalmente dal nostro caro amico e leatherman italiano Leather Big Wolf della casa Haus Mein Gott, con cui abbiamo realizzato anche un servizio fotografico. Per me è stata una sfida e anche una bella opportunità di dare un contributo autentico alla nostra comunità, nello specifico dei gay feticisti degli stivali, italiana e internazionale.
La domanda precedente introduce un dubbio che si riflette poi nella perplessità degli osservatori esterni verso un po’ tutte le sottoculture erotiche: quella che, a conti fatti, si tratti di gran baracconi ammantati di filosofie che però alla fine nascondono – e male – gruppi di gente in cerca solo di banalissimo sesso. Nella mia esperienza del mondo BDSM, per esempio, ho imparato che questo può essere l’approccio iniziale di parecchie persone ma che entrare a contatto con la cultura dell’eros estremo inviti poi spesso a una rapida evoluzione di pensiero. Tuttavia non so se la cosa valga anche per il tuo ambito. Tu come vedi il ruolo di questi aspetti più “seri”, per così dire, e in che direzione ti sembra stiano andando?
Come si può benissimo vedere documentandosi, dopo il blocco causato dalla decimazione dovuta dalla diffusione dell’AIDS anni ‘80 e ‘90 la sessualità del mondo leather europeo e americano è sicuramente stata più compressa e oggi la fascia di età delle persone che vivono questa dimensione è piuttosto matura. Possiamo vedere giovani che si affacciano incuriositi ma magari non trovano la dimensione giusta per sperimentarsi, e sono comprensibili i timori nell’avvicinarsi a un mondo che presenta tratti apparentemente oscuri. Oggi però nella sessualità kinky/BDSM si evidenziano tantissime sfumature e tipologie di interessi, con pratiche diverse e feticismi diversi, dal genere sporty al rubber, dai supereroi in lycra o spandex al militare, operai o leather, con differenze di accesso sostanziali nei termini di costi per indossare la “divisa” erotica che meglio si addice al proprio stile – e ci sono anche persone che vivono una dimensione di sessualità non standard senza connotazioni feticistiche, senza divise vere e proprie. Ci sono stili ovviamente più accessibili e facilmente accettabili come lo sporty e sneakers, così come negli ultimi anni sta crescendo il mondo dei puppies, ovvero di coloro che si sperimentano in versione di cuccioli di cane, giocando fra loro o sotto il controllo di un handler che gestisce i loro comportamenti in sicurezza e li educa, come fossero proprio dei cuccioli. Quando c’è un interesse vero per una pratica – vuoi il bondage, la passione per un abbigliamento di un certo tipo, così come stivali o materiali, o per una determinata pratica sessuale – le persone trovano una loro dimensione e senso di appartenenza a un gruppo che condivide la stessa passione e le comunità si formano spontaneamente e diventano solide. Ad esempio è il caso della comunità rubber spagnola di Barcellona o quella nell’UK intorno a Manchester e anche in Svizzera, innescate da chi condivide in modo autentico questa dimensione feticistica e che aggregano persone con gli stessi interessi. Oggi il leather è anche visto come qualcosa di più antico e tradizionale, con costi di accesso ai capi di abbigliamento che possono essere in alcuni casi esosi. Cercando però si trovano anche a prezzi affrontabili, e si possono anche promuovere mercatini di scambio o rivendita di capi che non si usano più.
Dal punto di vista di aiutare nell’approccio con la sessualità alternativa un metodo importante sta dunque nell’aggregare persone che vivono la dimensione feticistica e che possano condividere esperienze, informazioni, conoscenze di tecniche delle corrette modalità di vivere l’eros in sicurezza e salute. Proprio in questi mesi stiamo cercando con un gruppo di amici fetish in Toscana di fare nascere una comunità per questi obiettivi e con i giusti e sani presupposti.
Veramente mi riferivo a una crescita culturale un po’ diversa dai feticismi in sé… Prima di concludere vorrei comunque sapere la tua opinione su un altro aspetto che mi lascia sempre interdetto, ossia l’isolazionismo del mondo gay italiano rispetto ad altre realtà che accetterebbero volentierissimo per esempio anche chi fa parte dell’ambiente leather, ma vengono invece completamente escluse. La cosa mi pare ancora più strana quando si pensa che all’estero è invece normale trovare eventi in cui convive ogni orientamento sessuale, comunità leather che integrano con entusiasmo le donne, eccetera. Sai come si dice… «perché non possiamo semplicemente andar tutti d’accordo?»
La pratica del separatismo è nota e si fonda nella necessità di proteggersi da un mondo che ti fa sentire inadeguato e inadatto: un semplice imprinting che riceviamo tutti di omotransfobia e discriminazione, da cui può essere faticoso affrancarsi. Ricordo ancora oggi l’agitazione per me che venivo dal mondo eterosessuale all’idea di andare in un locale solo per gay, con la paura che per strada ci fossero persone che ti riconoscessero e ti additassero per omosessuale, o le telecamere a riprenderti. Quando mi sono ritrovato davanti ragazzi e ragazze così “normali”, senza per esempio piume di struzzo o fard pesantissimi – ovviamente senza critiche per chi si senta a suo agio in tali abiti – ho capito quanto lo stereotipo del gay effemminato o della lesbica butch siano forti e pressanti nella nostra mente. Se si supera questa prima barriera, che è proprio causata dall’omofobia interiorizzata che abbiamo, quando si inziano a frequentare i luoghi protetti si scoprono oasi di paradiso, dove si può essere sé stessi senza pressione di esser giudicato, senza sentire il peso che quotidianamente ci impone di fare o subire una battuta sessista, di dover mostrare il nostro lato macho e sciupafemmine da maschi, o di svenire di fronte a un ragazzo per le ragazze. Un luogo dove i ruoli non sono predefiniti da regole, dove si è sicuri di non esser giudicati è qualcosa secondo me ancora molto necessario per tanti che non riescono ad affrancarsi da queste pressioni nella vita quotidiana, e quindi che almeno in una serata leggera vogliono stare sicuri di esser fra pari.
Devo però dire che la mia recente esperienza di contatto con il mondo BDSM eterosessuale – o meglio pansessuale – molto aperto da questo punto di vista, è stata molto positiva sia in termini di accoglienza che anche di scoperta delle tantissime sfumature (non di grigio per carità!) e differenze sessuali che ciascuno singolarmente individualmente porta. Purtroppo non tutti riescono a fare questo passaggio e a sentirsi a proprio agio nell’affrontare una parte di mondo che vivono quotidianamente con una connotazione ostile o comunque in una direzione non rispettosa del nostro orientamento sessuale. Poi forse c’è anche una sclerotizzazione delle proposte dei luoghi gay come eventi e locali di consumo come i cruise, che storicamente sono dedicati ai gay ma in alcuni casi con giorni aperti anche alle donne. Penso che come emancipazione dalle catene dell’omofobia così come dell’eterosessismo in Italia ancora di passi ne dobbiamo fare, e lo scontiamo anche sotto questo punto di vista.
Ultima domanda: quali sono i tuoi programmi per i mesi a venire, quando avrai ceduto il titolo al tuo successore? E, più in generale, come sarà il futuro per il mondo leather?
Accennavo prima all’impegno che ci stiamo prendendo con alcuni amici fetish toscani per creare occasioni di ritrovi e serate kinky in Toscana. Diciamo che ho capito che sarà difficile scrollarmi di dosso l’abitudine e attitudine alla visibilità personale e all’impegno che mi hanno contraddistinto in questi anni di attivismo LGBT: anche se ho abbandonato un ruolo direttivo nell’associazione Rete Genitori Rainbow sono sempre volontario e attivista, impegnato nella battaglia per la liberazione delle sessualità e delle relazioni affettive dai vincoli e dalle pastoie del mondo stereotipato etero-sessista.
Negli ultimi mesi ho anche completato la formazione come counselor avviata in seguito alla mia esperienza di volontario, e non mi dispiacerebbe affatto attivare qualche progetto di sostegno all’esplorazione degli interessi più autentici delle persone anche in merito alla sessualità, sotto ogni profilo di relazione umana e di rispetto e conoscenza della propria identità. Comunque ci sono anche in primo piano alcuni progetti personali: ho un lavoro abbastanza stimolante, una famiglia, una casa da seguire e negli anni i miei impegni esterni mi hanno portato a coltivare poco gli aspetti più personali. Infine c’è anche la passione per l’arte, in cui vorrei ulteriormente sperimentarmi e con maggior focalizzazione su temi connessi all’esplorazione di sé nelle differenze sessuali e nelle dimensioni feticistiche e BDSM.
Parlando di perseguire finalità personali, voglio ricordare due persone che mi hanno lasciato un’ottima impressione in questo ultimo anno e che mi hanno fatto comprendere come sia giusto e utile affrontare il faticoso anno da Mister. Il primo è Joe King, Mr. Leather Europe 2016, che era in giuria al concorso del mio titolo e che mi ha semplicemente sempre raccomandato «be yourself!»: semplice e scontato, ma che presuppone che si sia in grado di sapere chi siamo per poterlo essere – e questo mi ha stimolato a stare centrato su di me e sui miei valori, che sono quello che porterò con me all’IML. Poi l’attuale IML Ralph Bruneau, conosciuto lo scorso settembre a Berlino al Folsom, fiera internazionale del mondo leather. Ralph è uno psicoterapeuta che non nasconde la sua sessualità, il suo essere kinky e la dimensione di gay nudista oltre che leather. Lui con il titolo ha sponsorizzato il progetto Born Perfect, che si occupa di contrastare le terapie riparative, ovvero di ricondizionamento mentale operate nei confronti dei gay su base eticamente e legalmente inaccettabile, da parte di istituti religiosi negli USA dove in alcuni stati sono ammesse in nome della libertà di religione, in opposizione ai risultati della scienza medica che dimostra come queste terapie non siano solo inefficaci ma anche dannose per la persona. Ecco, una chiave di lettura per me è la fiducia che deriva dal sapere che siamo nati perfetti e possiamo scoprire chi siamo semplicemente aderendo a noi stessi per il benessere, la felicità e la serenità nostri e delle persone che ci stanno accanto e a cui vogliamo veramente bene.