Se non avete mai sentito parlare di Undercover Mistress siete in buona compagnia. Anche io non sapevo nulla di questo cortometraggio italiano fino a che non m’è capitato di leggere un breve articolo nel quale gli autori si lamentavano delle strane reazioni scatenate dalla loro opera fra le giurie dei festival internazionali – e soprattutto nostrani.
Per saperne di più mi sono messo in contatto con gli autori, che si sono rivelati persone molto più interessanti del previsto e con un punto di vista decisamente stimolante sulla percezione dell’eros trasgressivo. Ne è nata una chiacchierata che trovate riportata qui sotto, dopo il trailer del breve film in questione.
Per comprendere alcuni riferimenti nell’intervista può essere utile conoscere tutta la trama, che potete rivelare selezionando il paragrafo seguente:
[SPOILER]
Trama – Al vernissage di una mostra di fotografie kinky, un uomo punta una donna e la segue minacciosamente fra le strade di una periferia deserta. Lei però lo aggredisce e gli fa perdere i sensi. Si risveglierà legato a un tavolo dove lei, vestita da dominatrice, procede a tormentarlo e sottoporlo a strane umiliazioni. La mistress si spoglia rivelando genitali maschili, poi denuda la vittima che ha invece un inguine indefinito come quello delle bambole. La dominatrice usa delle forbici per crearvi una pseudovagina e stupra il mancato stupratore. Nel momento più drammatico si scopre però che la violenza è avvenuta sul palco di un teatro popolato dal pubblico della mostra, che applaude. Cosa è accaduto realmente?
[FINE SPOILER]
https://www.youtube.com/watch?v=lQGC1HHjzYo
Vogliamo cominciare dalle presentazioni?
Giulio – Certo, io sono Giulio Ciancamerla: nasco come appassionato di cinema, letteratura e controculture. Dopo una serie di cortometraggi no-budget girati con gli amici durante l’adolescenza ho capito che era necessario imparare il mestiere, così ho iniziato una gavetta durata 10 anni durante la quale sono diventato anche distributore e poi editore di fumetti e fanzine underground.
Lucio – Lucio Massa, appassionato di cinema horror, B-movie e porno anni 80. Ho iniziato nel 2012 producendo quello che sarebbe dovuto essere il ritorno al cinema di Lilli Carati (La Fiaba di Dorian diretto da Luigi Pastore) ma è purtroppo rimasto bloccato per le condizioni di salute della protagonista. Dopo sono venuti Hippocampus M 21th e Violent Shit: The Movie, reboot della trilogia tedesca anni ‘90 di Andreas Schnaas, l’ultimo film di Luigi Atomico Oltre la Follia e l’imminente Sexual Labyrinth della tedesca Morgana Mayer. Undercover Mistress è il primo corto che ho prodotto.
Forse sarà meglio presentare anche “vostro figlio”, Undercover Mistress…
Giulio – Undercover Mistress è la storia di un personaggio maschile che tenta di molestare un personaggio femminile, ma i ruoli si capovolgono e la situazione degenera. La storia nasce dalla fusione di un mio soggetto con un altro di Lucio, con cui avevo lavorato sul set di due horror. Il suo parlava di ritualità e BDSM, e io ho rilanciato con una storia sulla percezione della vendetta e sull’inversione dei ruoli a vari livelli. Abbiamo capito subito che entrambi, a modo nostro, pensavamo alla performatività dei ruoli.
Lucio era più orientato sul versante erotico, io volevo buttare fuori un po’ di rabbia e trattare un tema spinoso. La violenza di genere – non per forza lo stupro – è ancora rappresentata come un evento fuori dal comune e non come il risultato di una cultura sessista imperante che contagia tutte le relazioni sociali. I mass media e la cultura tradizionale continuano a proporre stereotipi reazionari e spesso sessisti. Possono sembrare discorsi banali e superati, specie in certi ambienti, ma nella pratica l’Italia ha il primato di paese transfobico in Europa, secondo solo alla Turchia. Quindi volevo provare a rielaborare questi contenuti in chiave orrorifica ma anche punk, soprattutto nichilista, senza perdere di vista però una dimensione “ludica”, in qualche modo ironica.
Lucio – Nel confronto con Giulio è venuta fuori la sua idea più “cattiva” e “scorretta” del mio soggetto erotico-psicologico, che mi è piaciuta molto. L’idea di tornare a fare film che provochino lo spettatore mediante la ricerca dell’eccesso (come si faceva negli anni ‘70) mi ha convinto. Le produzioni indipendenti devono avere coraggio non solo nel realizzare film con piccoli budget, ma sopratutto nel realizzare film che tutti hanno paura di fare perché scomodi. Ed eccoci qui.
Vi dirò che quando ho letto delle controversie che il vostro corto ha scatenato sono rimasto un po’ stupito. Mi è piaciuto il gioco dei continui stravolgimenti di aspettativa e l’ho trovato senz’altro ben realizzato, ma scandaloso proprio no. Invece pare che abbia incontrato molte difficoltà nell’essere accettato dai festival, specie italiani. Potete raccontare com’è andata?
Giulio – Sono davvero contento che ti sia piaciuto. Chiuso il corto abbiamo iniziato ad inviarlo sistematicamente ad una marea di festival horror, queer, post-porno, underground o genericamente “indipendenti”, in Italia e all’estero. Da noi, in poche parole, non è successo niente. Più che censurati siamo stati ignorati, nessuna risposta negativa, semplicemente arrivava una mail preconfezionata che ci informava dell’esclusione. Sono consapevole di tutti i limiti tecnici e contenutistici di un cortometraggio low-budget underground senza pretese da grande cinema, per cui un po’ ce l’aspettavamo. Però abbiamo iniziato ad essere perplessi dopo i primi premi in America: “fuori” iniziava a funzionare mentre noi non riuscivamo ad avere una proiezione nemmeno nella nostra città. In Italia dopo mesi siamo entrati in quattro selezioni e l’Aquila Horror Film Festival ci ha premiati come miglior cortometraggio… ma stiamo sempre lì. Forse siamo noi ad essere disabituati allo scandalo, per noi non è un corto scandaloso. Certo non lo farei vedere a mia zia, ma non mi sembra così “eccessivo”.
Lucio – La società italiota perbenista, cattocomunista, che vede ancora il sesso come trasgressione e non come liberazione del corpo e della mente di un individuo non potrà mai comprendere fino in fondo un film come questo. L’Italia manca di fantasia e ironia, ingredienti portanti di UM che spiazza continuamente lo spettatore. Non è il film a essere scandaloso ed eccessivo, ma l’Italia a essere retrograda e bigotta.
In compenso all’estero le reazioni sono state diverse, mi pare.
Giulio – All’estero la risposta è stata molto positiva, siamo stati selezionati da più di 40 festival, abbiamo ricevuto diversi riconoscimenti e abbiamo chiuso un accordo per la distribuzione in DVD. Per un progetto come il nostro, essere selezionati a un festival è molto importante. Partecipare alle proiezioni è stimolante e ti permette di confrontarti con le persone presenti, capire cosa arriva alla pancia e alla testa di chi ha guardato il tuo lavoro.
Lucio – All’esterno il film è stato compreso ed accettato per quello che è: cinema di intrattenimento con una sottolettura di taglio provocatorio. La scena finale del film – intuizione di Giulio – conferisce un effetto straniante di taglio metacinematografico. Chi applaude chi? E perché?
Secondo voi da cosa è dipesa questa differenza di trattamento?
Giulio – Il cinema italiano continua a non voler mettere in scena certi argomenti, e quando li tratta c’è il filtro delle retoriche buoniste per non farsi nemici e avere la coscienza a posto. Nel nostro lavoro si parla di sessualità alternativa, transizione, BDSM e vendetta senza rispettare le regole né del cinema horror né del bdsm stesso. A quanto pare è ancora difficile parlare di gender e sessualità libera: se poi mischi le carte c’è chi percepisce la dimensione ludica e si diverte e chi dice «questo non puoi farlo». Poi c’è la vecchia storia dell’assenza di moralità. È l’ultimo baluardo rimasto, l’ultimo elemento che il sistema culturale non riesce ad assimilare del tutto. Passano i finali negativi, ormai innocui, ma ogni storia va comunque “patteggiata” e incasellata in un sistema culturale che etichetta atteggiamenti, azioni e messaggi univoci.
Lucio – Cultura e mentalità. Non che in altri paesi non vi siano censura e bigottismo, ma c’è più coraggio in chi organizza festival e lavora nel cinema indipendente. C’è il tema dell’inclusione e non dell’esclusione. In italia il provincialismo regna incontrastato, mentre all’estero sanno guardare oltre etichette e confini. La fluidità di genere è una grande ricchezza che andrebbe sostenuta e non repressa.
Mi risulta però che la contestazione più dura sia avvenuta in Germania. Cosa è accaduto di preciso?
Giulio – Dopo la prima proiezione di Undercover Mistress al Porn Film Festival di Berlino, con la sala piena e vibrante di assensi quanto di dissensi, tre ragazze hanno interrotto la chiacchierata appena iniziata. Sicuramente ho perso qualcosa nella discussione in inglese, ma ho capito che è stato attaccato il festival per aver inserito il nostro corto in programma – specie senza aver avvisato di cosa si trattasse – e poi siamo stati attaccati noi in prima persona. Senza svelare qui i colpi di scena del corto, ho cercato di “spiegare” la nostra provocazione: la volontà di mostrare solo personaggi negativi e di mettere gli spettatori in difficoltà di fronte ad una loro immagine speculare negativa, senza lieto fine perché nella realtà i lieto fine sono piuttosto rari; il tentativo di costruire una storia sull’ambiguità dei ruoli preda-predatore con una sovrapposizione continua di elementi maschile-femminile, contro la dicotomia maschile-forte contro femminile-debole, ma anche la volontà di non lasciare ambiguità su un solo punto: la violenza di genere, biologicamente maschile come è nella maggior parte dei casi. Invece dal loro punto di vista la nostra provocazione era solo negativa perché riproduceva le dinamiche sessiste viste da un punto di vista maschio-bianco-eterosessuale, in cui il personaggio femminile finiva per avere atteggiamenti maschili “sbagliati” e a giustificare la vendetta. Senza voler semplificare troppo, come nella musica hardcore in cui più sei pesante e diretto, meglio arriva il messaggio, volevamo mostrare un concentrato di negatività ma di certo non esaltarla. Siamo consapevoli che offrire più chiavi di lettura contemporaneamente può creare delle incomprensioni: se ci si vuole leggere un invito diseducativo a fare qualcosa si è liberi di farlo. Noi però volevamo raccontare una storia e suggerire delle interpretazioni, non imporle.
Visto che in queste situazioni non c’è la possibilità di avere un dialogo reale (e visto il limite linguistico su questioni così spinose), fine della discussione e tutti a casa. Però c’è stata anche una ragazza che è venuta a complimentarsi con noi per aver messo in scena il suo sogno erotico di essere rapita e violentata. È tutto talmente soggettivo che diventa difficile fare schieramenti.
Questa ortodossia quasi fanatica all’interno delle sottoculture erotiche sarà sempre un mistero per me. Proprio chi più ha dovuto subire l’intolleranza altrui spesso finisce per essere severissimo nei confronti di ciò che non si conforma esattamente ai propri codici. Una mia cara amica attivista LGBT per esempio si è lamentata con me di non poterne più del fenomeno del cosiddetto “porno femminista” perché, a detta sua, sembra debba per forza contenere persone brutte, situazioni lacrimevoli o una sorta di ditino puntato verso qualsiasi altra concezione dell’eros. In certi contesti già sembra bandita l’ironia, quindi figuriamoci le reazioni a vere provocazioni come Undercover mistress…
Giulio – Ad essere onesto io vengo da sottoculture underground. Mi sono formato sulla rivista Blue e sulla fanzine Speed Demon, ma non sono un grande appassionato di pornografia cinematografica. Il porno mi interessa come provocazione culturale in cui gli attori sono soggetti consapevoli e lontani da un meccanismo industriale, per cui il mio riferimento può essere il cinema dei primi anni ‘70, Annie Sprinkle e soprattutto il Cinema della Trasgressione. Quando sono incappato nel porno-femminista e poi nel post-porno sono rimasto molto colpito. Dopo qualche anno ho avuto l’impressione che, a parte Bruce LaBruce, Erika Lust, la sua crew e pochi altri, si ripetesse più o meno la stessa formula. Massimo rispetto per chi riesce a portare a termine un qualunque progetto video indipendente, però io ho il limite personale di cercare il “cinema” in questi video, mentre mi sembrano più vicini, paradossalmente, all’arte concettuale. Come per l’orinatoio di Duchamp capisco il discorso che c’è dietro e le varie sperimentazioni ma dopo un po’ mi perdo, proprio a livello emotivo. Limite mio.
Lucio – È accaduto che bigottismo e censura si annidino anche negli ambienti più evoluti. Sono contento della polemica che si è creata a Berlino, perché vuol dire che il film scuote temi forti nello spettatore. A me non interessa il gioco dei buoni e cattivi, ma creare punti di rottura da cui evolvere e riflettere in termini costruttivi. Il cinema di Fulci, che faceva deflagrare il genere, è sempre stato il mio riferimento. Ora noi proviamo a far deflagrare menti e coscienze verso la libertà e la felicità.
In effetti così si perde anche la valenza politica delle rappresentazioni non normative della sessualità. Penso per esempio all’importanza che ha avuto il porno nello scardinare il grigiore e l’autoritarismo democristiano degli anni Settanta, o il BDSM nel presentare figure femminili “rivoluzionarie” sia quando prendevano un ruolo dominante (Portiere di notte) che quando sceglievano consapevolmente quello sottomesso (Histoire d’O). Ma, a conti fatti, il sesso su schermo riesce ancora ad avere questa funzione o è stato ormai assimilato per sempre in brodini scipiti tipo Cinquanta sfumature?
Giulio – La mia sensazione è che a partire dagli anni ‘80 è stata fatta un’operazione di filtraggio, assimilazione e riproposizione in forme innocue di tutto ciò che metteva in discussione lo status quo. Sarebbe impensabile oggi realizzare Salò o La grande abbuffata se non in un contesto underground. Come ti dicevo prima seguo poco la scena porno: guardo invece con interesse alle nuove forme di cinema in cui si inserisce la rappresentazione di una sessualità esplicita o non normativa all’interno di lavori diretti ad un pubblico “normale”. Un po’ la strada presa da Lars Von Trier e Gaspar Noé. Cinquanta sfumature è la versione filtrata e riproposta, però credo che questa funzione esista ancora, purché si ponga criticamente rispetto al contesto sociale e culturale. Non che la sessualità debba essere per forza rappresentata come funerea o distruttiva (penso a La pianista di Haneke), però, dal mio punto di vista, proprio per non lasciarsi annacquare da un sistema culturale che sembra aperto a tutto e in realtà è reazionario e censorio, questa sessualità non può non essere dissidente.
Lucio – Il porno e il sesso hanno sempre scardinato meccanismi e culture retrograde. Il nostro film è l’antidoto a 50 sfumature di grigio. Affrontare il buio come naturale evoluzione dell’uomo. Siamo la conferma che spesso la mappa non è il territorio.
Da autori di cinema, come si sta evolvendo il porno? E come ve lo immaginate in futuro?
Giulio – Oggi la possibilità di accedere ad un mercato dell’audiovisivo su scala mondiale permette di trovare ogni cosa e il suo contrario. Per cui quello che immagino in questo momento probabilmente è già stato fatto – ed è disponibile online. Però immagino, anzi mi auguro, un’ancora maggiore separazione tra la fruizione del mare magnum di materiale masturbatorio su web e la possibilità di vedere in sala, magari anche nei film per famiglie, una sessualità spontanea, realistica, non compromessa, sfaccettata. Ma funzionale alle storie, visto che parliamo di cinema, non solo in termini pruriginosi come in Cinquanta sfumature.
Lucio – Io auspico che il porno torni a far immaginare e desiderare le persone, che dia loro un prodotto non preconfezionato. Oggi sappiamo tutto e vediamo tutto, per cui non immaginiamo più nulla. Perché il BDSM oggi interessa cosi tanto? Perché per la massa è una novità, ma il senso vero è la capacità di immaginare che ti offre. Sognare, desiderare e sperimentare nuovi modi con cui comprendere e percepire il proprio corpo e se stessi. Il porno del futuro sarà questo. E sarà liberatorio.
A questo proposito state organizzando anche una manifestazione dedicata proprio al post-post-porno, giusto?
Lucio – L’Hacker Porn Film Festival nasce a Roma dall’idea mia e di Francesco Costabile, produttore del documentario vincitore di un Nastro d’argento Porno e Libertà. La sua missione è dare valore e visibilità alle produzioni indipendenti che fanno dei corpi, della sessualità e delle transizioni tra i generi nuovi soggetti d’indagine e ricerca. Il post porno come scrittura in grado di scardinare i generi, le convenzioni linguistiche e il rassicurante cinema di intrattenimento a cui siamo abituati. Il festival vuole “hackerare” e destabilizzare il sistema convenzionale di fruizione del cinema. Film, corti, documentari tutti inediti in Italia scelti e proposti al fine di stimolare dibattiti e interrogativi, ampliare i nostri confini esperienziali e incentivare una produzione e distribuzione indipendente nel nostro paese. Il festival si svolgerà dal 26 al 30 aprile al cineclub KINO a Roma. Trovate maggiori informazioni su www.hackerpornfest.com