L’erotismo è un’arte, e come ogni arte ha le sue mode. Negli ultimi anni si sono affermate per esempio varie tendenze fra cui il BDSM reso mainstream da 50 sfumature di grigio è solo quella più nota. Una che mi ha colto di sorpresa è il primal play (lett. ‘gioco primordiale’), un tipo di sessualità viscerale nata dall’incrocio di varie influenze fra cui i giochi di dominazione e sottomissione, le culture tribali, lo yiff e perfino la vecchia filosofia hippie.
Il genere primal viene interpretato in molti modi differenti. Alcuni appassionati lo vedono come una manifestazione del loro “spirito guida animale”, altri come una de-evoluzione controllata, e altri ancora come semplice gioco di potere. Il minimo comun denominatore è comunque un tipo di incontro erotico molto brutale in cui i partner lottano fisicamente per conquistare il ruolo dominante finché uno di loro non si sottomette all’energia pura dell’altro.
La diffusione dei giochi primal ha registrato una crescita da quando questo termine ha cominciato a comparire fra le opzioni disponibili per indicare il proprio orientamento sessuale nelle community online – a partire dal frequentatissimo FetLife. Chi vi approda è incuriosito a scoprire cosa significhi il termine, che spesso sembra meno intenso e misterioso degli altri possibili orientamenti. Un’altra attrattiva è proprio questa apparente semplicità rispetto ad altre forme di eros estremo che richiedono lo studio di tecniche e forme di negoziazione complesse: per essere “primitivi” non serve leggere manuali né partecipare a seminari.
Questo è anche l’aspetto del fenomeno che mi preoccupa a titolo personale. Sono un grande sostenitore dell’effetto disinnescante che ha l’etica del BDSM sugli istinti sadomasochisti privi di controllo e potenzialmente patologici. La possibilità di equivocare il gioco primal mi sembra invece una rischiosa legittimizzazione di quegli stessi istinti pericolosi – specie quando a maleinterpretarlo sono persone inesperte, problematiche e sovente inconsapevoli. In Italia in particolar modo la comunità primal è composta in gran parte da under-30 alternativi che sembrano avere sposato la “filosofia primal” – qualunque cosa ciò possa significare – come comoda alternativa allo sforzo di sviluppare una personalità adulta e creare relazioni non autoreferenziali con i loro partner sessuali. Alcuni di essi affermano compiaciuti addirittura che la loro vera identità sia quella primal, tenuta nascosta in pubblico per convenzione sociale.
Come personal coach specializzato in problematiche legate alle sessualità insolite trovo inquietante questa separazione fra identità sociale e sessuale, poiché di frequente costituisce la base delle difficoltà che mi vengono presentate. Prima di allarmarmi ho chiesto però a diversi praticanti di primal play di illuminarmi sull’argomento. Tranne in rari casi, l’esperienza ha assomigliato molto a un dialogo fra sordi.
L’esperto più qualificato che ho incontrato è stato il luminare di sessualità alternative Bob Ritchey – noto anche come Bydarra – che sui modelli relazionali tiene corsi in nord America ed Europa. Ecco cosa ci siamo detti:
Ayzad – Salve, e grazie per avermi concesso questa intervista. Mi parleresti di te e in particolare del tuo rapporto con la sessualità primal?
Bydarra – Grazie a te per avermela chiesta! Credo che le cose importanti su di me siano che pratico sessualità alternative dal 2003 come forma di esplorazione di alcune parti di me che avevo sempre ignorato. Sono sempre stato “il bravo ragazzo” concentrato sui suoi doveri che ignorava i propri desideri. Dopo avere divorziato ho deciso di guardarmi dentro ed essere una volta tanto un po’ egoista. Fra le cose che ho scoperto c’era un mio lato primitivo. Suppongo che tutti ne possediamo uno più o meno sviluppato, e che siamo semplicemente addestrati a tenerlo rinchiuso. Nelle occasioni in cui cominciai a portarlo fuori al guinzaglio scoprii che l’esperienza aveva qualcosa di unico. Mi dava un senso di potere che la mia vita di amministratore di sistema, padre, marito e figlio non mi aveva mai concesso. Si è trattato solo di uno dei tanti passi di un percorso di autoaccettazione, ma è stato sorprendente. Vivo dentro la mia testa: è un continuo pensare, pianificare, considerare le conseguenze o riesaminare il passato per capire come mi abbia plasmato. Altre persone vivono più nei loro corpi. Ballano, corrono, fanno sport, impegnano il fisico in molti modi per godere dell’adrenalina e delle endorfine. La maggior parte di noi vive fra questi due estremi. Quando faccio BDSM continuo a essere nella testa, da cui osservo il partner, ne leggo le reazioni, mi concentro su ciò che sto facendo. Il primal è la cosa più vicina che conosco a uscire dalla mia testa ed entrare nel mio corpo.
A – Tanto per assicurarci di parlare della stessa cosa, qual è la tua definizione di primal?
B – Primal si riferisce a un modo più primitivo e animale di vivere le esperienze. Ci svestiamo degli strati di civilizzazione che ci hanno messo addosso le nostre famiglie, gli amici e la società fin dall’infanzia. È un modo di accettare quelle brame che non si addicono alla società “normale” e soddisfarle con partner o gruppi consenzienti. Alcuni si vedono nei panni di animali quali lupi od orsi, mentre altri mantengono una mentalità umana anche se molto più orientata a se stessi.
A – Il primal come orientamento sessuale è un concetto abbastanza recente, veicolato molto da Internet. Cosa mi puoi dire della sua storia? E come pensi che si rapporti all’attuale momento storico?
B – Non sono sicuro di poterlo descrivere un orientamento sessuale. Penso si tratti più di un approccio all’espressione dei nostri desideri più primordiali. Molti ci arrivano attraverso riti tribali, pratiche religiose adottate da culture pretecnologiche e relazioni personali. Alcuni lo rendono parte della propria sessualità. Conosco persone che sentono di avere dentro di sé un animale e altre che regrediscono a un pensiero meno civilizzato. Da tutto ciò che ho letto e sentito, i bar gay del passato dal punto di vista sessuale erano molto più primal dei loro equivalenti eterosessuali quali i club per scambisti. La mia esperienza personale degli eventi per soli uomini conferma che esprimere gli istinti primordiali in quei contesti è ancora molto più accettato o addirittura richiesto.
A – Quanto è diffuso il fenomeno del primal play?
B – Non ho dati precisi, ma penso che quasi tutti abbiano dentro di loro qualcosa di primal. La difficoltà deriva da come ci viene insegnato fin da piccoli di sopprimere questa parte di noi perché spesso è egoista. L’incapacità di controllare questi impulsi conduce a comportamenti molesti, addirittura ciminali. Prenderemmo ciò che vogliamo senza riguardo per il danno causato ad altri. Il primal play è un modo per esplorare questi nostri aspetti in modo consensuale: lo si può esprimere tramite sesso violento, graffi, morsi e altri gesti fino al vero e proprio combattimento per determinare il dominante o comportarsi da predatore e preda nei boschi.
A – Tempo fa avevamo concordato su come il gioco primal sia un modo valido quanto tanti altri per consentire a persone troppo civilizzate di liberarsi della loro educazione repressiva e godersi una sessualità più spontanea e soddisfacente. Tuttavia avevo anche espresso la mia preoccupazione riguardo il crescente numero di persone – specie giovanissime – che basano tutta la loro sessualità sull’etichetta ‘primal’, ostentandola in modo molto antagonista contro ciò che definiscono sesso e devianze “regolari”. Mi piacerebbe approfondire la questione con te. Prima di tutto: ma il primal è poi così diverso dal comune sesso senza inibizioni? Morsi, graffi e sbatacchiarsi un po’ non mi suona molto differente da una bella scopata anche un po’ banale… Oltretutto non è che viviamo in un mondo troppo puritano. Con tanta facilità di accesso a ogni sorta di pornografia, gli esempi di pratiche e comportamenti estremi non mancano. Per quale ragione pensi che i cosiddetti “millennial” siano finiti a considerare il sesso duro tanto strano da dovergli dare un nome speciale?
B – Comincio col dire che non penso sia un’esclusiva delle generazioni più giovani. Ai miei seminari trovi anche tanti quarantenni e cinquantenni. Credo si tratti di un modo per ribellarsi al molle romanticismo che ci viene propinato come normale e corretto dalla fiction e dai media, nascondendo la piena natura della sessualità che può anche non essere gentile. Sul perché alcuni lo adottino come unica espressione sessuale, ritengo che dipenda dal sollievo e dall’euforia che si prova la prima volta che si accetta questa parte di sé che hanno sempre tenuta nascosta, come un’ubriacatura. Nei primi tempi l’esaltazione che accompagna questo approccio alla sessualità può dare dipendenza.
A – Torniamo alla seconda parte della domanda. Vorrei sapere la tua opinione sulla mia preoccupazione riguardo l’apparente dissociazione che gli esponenti del primal – qui in Italia, per lo meno – sembrano alimentare fra “vita vera” e “vita sessuale”. Molti di loro dicono di godere di “essere lupi travestiti da persone” nelle attività quotidiane. Come esperto di sesso quando qualcuno mostra una simile mancanza di integrazione della sessualità nella propria identità lo vedo come un segnale d’allarme, perché a lungo andare quella parte tenuta nascosta tende a esplodere quando si trovano sotto stress, causando guai seri sia al soggetto che al suo partner.
B – Devo premettere che non sono uno psicologo. La mia esplorazione personale ha trovato un contesto nella psicologia junghiana, che continua a dominare il mio pensiero. Tutti indossano maschere diverse a seconda delle persone che hanno attorno. Sul lavoro siamo la nostra versione professionale. Con la famiglia siamo gli affidabili genitori o figli (o magari il ribelle). Con i nostri amici possiamo essere più liberi che in ufficio o a casa, quindi vedono un altro nostro lato. Ho incontrato persone che indossano la loro maschera primal solo in situazioni sessuali e altri che sostengono di indossarla costantemente. Penso che per questi ultimi sia di gran lunga più probabile ricadere in comportamenti antisociali e che affrontino un rischio molto superiore di perdersi in quella metafora. Nel mio caso, l’esplorazione della mia identità primal ha condotto a integrare nella mia quotidianità un maggior senso di autodeterminazione e confidenza. La cosa importante è bilanciare questa maschera con tutte le altre. Idealmente possiamo trovare il modo di integrarle tutte al punto che riflettano accuratamente ciò che si trova dietro la facciata che abbiamo dovuto creare per trovare il nostro posto nella società.
A – Quali risorse suggeriresti a chi volesse maggiori informazioni sul primal play?
B – La mia formazione più grande deriva dall’avere parlato con altri che abbracciano questa parte di sé. Non c’è un solo modo giusto di praticare o incorporare il proprio aspetto primordiale. Fra le letture ho trovato eccellenti spunti di ragionamento nei libri sulla psicologia junghiana. Leggo anche testi di neurochimica perché è importante ricordare che i sentimenti che sorgono in risposta della sessualità, sia primal che altra, sono comunque solo sentimenti e nulla più di una risposta chimica agli stimoli che creiamo. Sono “veri” solo tanto quanto scegliamo di credervi.
A – In chiusura, che futuro vedi per il primal?
B – Penso che più le persone sono represse, più sentiranno il bisogno di una via di fuga, di ribellarsi. Quando c’è un’autorità esterna come la religione, il governo, la famiglia o i nostri pari a imporci come dobbiamo vivere, come dobbiamo sentirci o pensare, possiamo scegliere se credere alla loro autorità morale e diventare parte di “loro”, se fingere di conformarci e nascondere chi siamo realmente, oppure ribellarci pubblicamente e diventare paria o criminali. Più “loro” cercano di invadere le nostre vite, come accade oggi con la spinta fondamentalista nella politica americana, più tanti si sentiranno spinti ad agire ed esprimere la propria individualità. Sospetto che ciò abbia costituito gran parte del successo di 50 sfumature di grigio, e che ispirerà molti a rivolgersi alla propria anima primal.