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Deleuze e altri pezzi grossi di cui non mi frega un cazzo (più uno che dovrebbe interessarvi)

Dopo aver passato tutti questi anni a studiare sessualità insolite e il BDSM in particolare, mi ritengo qualificato per dire che ormai abbia sentito davvero di tutto. Dalla ragazza con domande di base sull’orgasmo vaginale vs. quello clitorideo, fino alla pseudonecrofila che mi ha chiesto dove comprare un letto refrigerato per simulare meglio di essere un cadavere, penso di avere incontrato ogni sfumatura di inclinazione erotica e di avere sviluppato una notevole accettazione per ogni sorta di diversità e deviazione. O quasi. I criminali non li tollero proprio, per cominciare, e così le stronzate intellettuali.
In una ci sono inciampato proprio ieri riguardando un fantastico documentario intitolato Graphic sexual horror, che racconta il successo e il crollo di Insex, il sito di bondage estremo che ha rivoluzionato il Web zozzo rendendolo quello che è oggi. Dopo una serie di scene tratte da sessioni piuttosto intense il fondatore dell’azienda, un ex professore della Carnegie Mellon, ha difeso il proprio lavoro al confine con la circonvenzione d’incapace lanciandosi in una supercazzola sul decostruzionismo, Baudrillard, McLuhan e altri capisaldi per semiologi dell’aria fritta. Un altro esempio tipico avviene spesso alla fine delle mie conferenze, quando vengo avvicinato da individui solitari e sovreccitati dal potermi finalmente “correggere” con le loro genialissime intuizioni sui testi di de Sade, o peggio di Deleuze. Sproloqui che di solito puntano allo squisito meta-commentario sulla condizione umana, o scemenze simili.

Oh, scusate. Vi sono sembrato un po’ crudo? Il fatto è che quegli autori li ho studiati eccome: dopotutto fa parte del mio lavoro. E sapete che c’è? Non hanno nulla a che fare con la sessualità alternativa, e possono affascinare solo circoli letterari molto specifici. Per dire:

de Sadescriveva pantomime satiriche per criticare la politica e le dinamiche sociali della Francia tardo-settecentesca. Fermarsi all’apparenza delle sue opere o leggerle senza possedere una conoscenza dettagliata del loro contesto storico espone solo a enormi equivoci e figuracce.

Deleuze – paradigma del vuoto intellettualismo postbellico francese, ha scritto un saggio sul sadomasochismo per giustificare le proprie visite presso dominatrici professioniste davanti al suo giro di amicizie radical chic, e per ottenere la protezione professionale di Foucault, un celebre maialone che infatti gli aprì le porte della gloria accademica (mentre nel tempo libero contagiava consapevolmente numerosi partner sessuali descrivendo l’infezione da HIV come «esperienza limite».  

La storia è simile per tutti i nomi importanti che certi furbetti dell’erotismo amano buttar lì per fare bella figura. Spiacente, ma per quanto alcuni di quegli autori possano essere interessanti, nessuno di loro ha alcunché a che fare con il BDSM se non per avere ipocritamente nascosto le proprie umanissime passioni dietro un’indegna quantità di fuffa scritta.
Naturalmente un significato intellettuale nel BDSM c’è davvero, ma è molto più semplice e comprensibile di tutte le loro teorie. Ve lo metto giù chiaro chiaro, ok? Ogni forma di sesso insolito spinge a dubitare dei propri pregiudizi, e quando ci si prende la mano risulta naturale porre in discussione anche lo status quo, comprese le autorità e i media. Inoltre i principi del BDSM conducono a una comunicazione sincera col partner e ad accettare meglio sia il prossimo che se stessi, rendendo la vita quotidiana più facile e meno nevrotica.

Tutto qui, giuro. Scrutarsi l’ombelico mentre ci si riempie la bocca di nomi difficili è una perdita di tempo, che fareste meglio a dedicare al piacere perché (ed eccovi un’altra epifania) l’erotismo è per definizione eccitante. Se non vi fa venire il cazzo duro o bagnare la figa, vuol dire che è qualcos’altro. Il che ci porta dritti alla mia personale dimostrazione di erudizione e cultura.
Probabilmente avrete sentito parlare di Hunter Thompson, non fosse altro che per il film con Johnny Depp. Il padre del giornalismo gonzo è stato anche fautore del cosiddetto edgework (lett. ‘lavoro sul filo del rasoio’), concetto riassumibile con ‘rinunciare alle proprie abitudini per esplorare situazioni insolite e pericolose, da cui tornare con intuizioni ed esperienze trasformative che alimentano un’evoluzione altrimenti impossibile’ – il tutto cercando di non ammazzarsi strada facendo. In altre parole, l’edgework è l’esatto contrario del fissarsi l’ombelico di cui parlavamo poco fa. Sfortunatamente l’edgework è anche quel che vedo scomparire di anno in anno dal mondo dell’eros. Perfino agli eventi BDSM, è raro che veda quel genere di trascendenza che ci si dovrebbe aspettare. Come dico spesso, se alla fine di una sessione non senti l’assoluto bisogno di sederti in un posto tranquillo e respirare a fondo intanto che il mondo attorno a te torna a esistere… hai sbagliato qualcosa. E non fatemi parlare della qualità di quasi tutta la discussione online sull’eros estremo, ormai tanto lontana dall’argomento da essersi tramutata in una autoparodia fatta e finita. O vogliamo occuparci del mondo degli annunci? Cercare «dominazione online» o di «ricevere ordini non arroganti, né pratiche dolorose» semplicemente non è BDSM, gente. Anzi, non è nemmeno sesso vanilla!

Tutto ciò mi rende molto perplesso. Non sono a favore dell’edge play (che è un termine usato nel BDSM per descrivere il genere di giochi in cui c’è il rischio concreto di farsi male sul serio), ma non sarebbe meglio quantomeno emozionarsi per ciò che si fa? Ciascuno di noi ha il proprio “filo del rasoio”, che cambia di giorno in giorno. La prima volta che sono stato a una festa BDSM, per esempio, avevo 18 anni e l’intensità dell’ambiente mi travolse al punto da costringermi a sedermi da parte, quasi in stato di shock, per elaborare tutti quegli stimoli: decisamente edgework, benché in quell’occasione non abbia nemmeno partecipato all’azione. Per altri l’edgework può essere una trasformazione completa del proprio stile di vita.
L’unico punto in comune è la traccia che lascia sulla propria anima. Mi chiedo che senso abbia vestirsi strani, sottoporsi a dolore e imbarazzo, infrangere le norme sociali e investire così tanto tempo e denaro nel BDSM se alla fine si resta poi sostanzialmente identici a prima, impassibili. Sul serio: fare un bel corso di cucina, o imparare il cinese, sarebbe molto più utile, no?

Questa è un’altra ragione per cui non sopporto l’intellettualismo fine a se stesso: risucchia ogni divertimento da qualcosa che esisterebbe esclusivamente per farci sentire più vivi e in contatto col proprio io più profondo. Ho sempre sostenuto che il BDSM sia un esercizio di onestà, soprattutto nei confronti di se stessi. Quindi mi spiace, ma non saprei dare un suggerimento migliore di abbracciare quell’onestà e piantarla di travestire le proprie fantasie con un’aria di rispettabilità altoborghese che le danneggia solamente.
Se nel BDSM ci siete finiti mentre
stavate cercando qualcos’altro, fate il piacere di andarvene. Davvero: tanto non ve la godreste comunque, e inoltre state rovinando il divertimento degli altri. Se invece vi siete semplicemente lasciati trascinare dagli strani deragliamenti presi dalla Scena, provate a ripartire da zero. Assicuratevi di sapere come giocare senza pericolo, e dateci dentro alla ricerca di ciò che davvero vi tocca nel profondo. I giochi di dominazione sono una trasgressione dalle regole comuni, pertanto non omologatevi nemmeno alle abitudini di ciò che sembra “normale” in questo ambiente, ma scoprite i bottoni che vi accendono e premeteli finché volete. Magari ricordate di restare «Sani, Sicuri e Consensuali». E di non nominarmi mai, mai più Deleuze.

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