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L’Europa, le donne, il porno e lo scandalo che non c’è

Il Web è in allarme. Da qualche giorno sui siti più insospettabili sta rimbalzando la notizia terrorizzata che «l’Europa sta per vietare ogni forma di pornografia e violare i diritti fondamentali dei suoi cittadini», spesso seguita da una chiamata alle armi e da improbabili petizioni da firmare online. Naturalmente però le cose stanno in maniera un po’ diversa, quindi vale la pena capire cosa stia davvero accadendo e perché sia importante.

Innanzitutto torniamo con i piedi per terra. L’unica proposta di vietare la pornografia, in particolar modo online, sul territorio europeo è stata fatta il mese scorso dal ministro degli Interni islandese, limitatamente ai confini del suo paese – e ai siti Web senza alcun controllo d’accesso. L’intenzione era del tutto condivisibile, ossia evitare che i minorenni potessero incappare in materiale inappropriato, esattamente come già accade per riviste e film sia in Islanda che nel resto del mondo.
Purtroppo metterla in pratica comporterebbe però un filtraggio degli accessi alla Rete incompatibile con i principi di una nazione civile in cui la popolazione ha tutto il diritto di scambiarsi informazioni senza essere sorvegliata dallo Stato. Al di là delle considerazioni pratiche – la Cina dimostra che in ogni caso un simile controllo sia tecnicamente inapplicabile – la proposta ha quindi scatenato le ire sia dei cittadini che del resto del parlamento, ed è caduta nel nulla.

L’eco di tutto ciò si è poi mescolato a un’altra proposta che verrà discussa il 12 marzo al parlamento europeo, intitolata ‘Eliminare gli stereotipi sessuali nell’Unione Europea’ e avanzata dalla socialista olandese Kartika Liotard, membro del Comitato per i Diritti delle Donne e l’Eguaglianza di Genere. Anche questa è una iniziativa lodevole, che chiede semplicemente di applicare una risoluzione del 1997 contro la discriminazione della donna nelle pubblicità, la promozione di turismo sessuale e il divieto di inserire contenuti pornografici nei media. Ma qui cominciano i problemi.
Il comma 14 della proposta indica infatti chiaramente che “i media” comprendono anche Internet, e invita gli stati membri a coordinarsi per sviluppare una cultura di uguaglianza online da promuovere con la collaborazione dei fornitori d’accesso. E chi mai potrebbe non essere d’accordo con un’intenzione simile?

Beh, per esempio chi continuasse a leggere fino al comma 19, che esorta gli stati a «fondare enti di controllo dei media e delle agenzie pubblicitarie, autorizzati a emettere sanzioni operative su aziende e individui che promuovano la sessualizzazione delle ragazze.»
Arrivati a questo punto infatti si sono accumulati parecchi termini ambigui (che cosa sono il ‘controllo’ e la ‘sessualizzazione delle ragazze’ da un punto di vista legale, per esempio?) che agli attivisti di Internet ricordano sinistramente i pasticci delle leggiSOPA e FISA in vigore negli Stati Uniti. Tali misure si sono già prestate a interpretazioni orwelliane che hanno distrutto la vita di cittadini innocenti, accusati in modo nebuloso da personaggi troppo zelanti. Con un contesto simile è legittimo quindi pensare al peggio, cioè uno scenario in cui qualsiasi accenno al sesso in una mail, un tweet o un social network scateni l’irruzione della polizia, multe stratosferiche e così via. Tuttavia mi sento di dormire sonni tranquilli.

Il motivo è innanzitutto di tipo burocratico. Prima di diventare operativa la proposta in questione dovrebbe essere approvata all’unanimità, convertita in legge, discussa, nuovamente approvata e infine – e soprattutto – applicata. Poi ci sono considerazioni economiche: persino l’Unione Sovietica faceva ricorso a immagini allusive di belle ragazze nelle sue pubblicità. Ve la immaginate tutta l’economia europea che decide improvvisamente di abbattere uno dei suoi pilastri fondanti per far piacere alla signora Liotard?
Poi abbiamo le implicazioni culturali. Se la civilissima Islanda si è inalberata di fronte a una proposta analoga, figuriamoci cosa succederebbe in paesi obiettivamente sessisti come Italia, Spagna, Francia e così via. Delle questioni tecniche – dalla definizione di uno standard di accettabilità all’implementazione di filtri online – non vale nemmeno la pena di parlare, tanto sono inapplicabili. A conti fatti, quindi, no: l’Europa non sta vietando il porno e la Gestapo non vi porterà via nel cuore della notte per le foto zozze che tenete sul cellulare. Però ciò non significa che l’argomento possa essere ignorato. Se da una parte c’è da rallegrarsi per l’encomiabile lavoro di sorveglianza compiuto dal popolo del Web, dall’altro non c’è dubbio che bisognerebbe davvero fare qualcosa per combattere le discriminazioni ed evitare ai bambini di crescere concependo il sesso secondo la spettacolarizzazione e l’eccesso con cui viene rappresentato dal porno.

Io, nel mio piccolo, provo a buttare lì un’idea così pazzescamente rivoluzionaria e fantascientifica che vi farà rotolare dal ridere. E se invece di imporre una censura totalitarista si usassero le stesse energie per stabilire un programma di educazione sessuale come si deve, integrato nel curriculum scolastico europeo? Non limitarsi alle lezioni astratte sulle api e i fiori (quando ci sono!) ma parlare normalmente di sessualità con il linguaggio e i concetti più appropriati per le diverse età, senza far finta che il sesso non esista fino al compimento di 18 anni e 1 secondo di vita. Pensate che mondo incredibile sarebbe quello in cui non solo chiunque sappia le differenze che intercorrono fra porno e relazioni vere, ma anche come proteggersi dalle malattie a trasmissione sessuale, come combattere la violenza e la discriminazione sessuale, accettare l’omosessualità e le altre diversità, riconoscere e affrontare i disturbi sessuali… Nah, ma che vado a immaginarmi…

Buon otto marzo a tutti e a tutte, comunque.

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