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La vita imprudente di una di quelle su cui ti masturbi – La recensione di ‘I was for sale’

I Was for Sale

Lisa B. Falour
Green Candy Press, 2001
$ 12.95
309 pagine
Lingua: inglese
ASIN: 1931160015
Isbn: 1-931160-01-05
@: compralo online

Di questi tempi, Lisa Falour è semi-conosciuta per essere un’artista. Video, quadri, e qualche scritto di tanto in tanto. Negli anni ’70 del secolo scorso la sua professione era invece ancora più insolita: come modella specializzata in scene di bondage era infatti uno dei volti più ricorrenti sulle riviste pubblicate negli Stati Uniti. E di conseguenza nelle foto ripubblicate più o meno ufficialmente in tutto il resto del mondo. I was for sale è la sua autobiografia dagli inizi di questa attività, appena a 19 anni, fino al 2000 – cioè a un passo dalla sua morte certa per alcolismo cronico.

Da allora sono passati altri dieci anni e Lisa è ancora viva e vegeta nel suo appartamentino di Parigi, quindi evidentemente non è molto brava a fare previsioni. Oppure l’allenamento l’ha resa particolarmente abile a interpretare il ruolo della fragile donzella in pericolo, il che non influisce comunque sulla qualità del suo libro.

Dopo tante memorie di dominatrici, leggere un altro punto di vista sul mondo del BDSM “professionale” è senz’altro interessante, anche perché lo stile dell’autrice è molto sincero e diretto, e le sue avventure scorrono con un bel ritmo incalzante. La storia comincia come spesso avviene in questi casi con un episodio di abusi sessuali ma si distacca subito dai cliché del genere. Lisa è infatti una studentessa modello, vince borse di studio, è un’intellettuale ultracreativa nel giro delle fanzine punk, e soprattutto non racconta le balle di molte sue colleghe.

La protagonista di I was for sale ripete in continuazione di essere l’unica (beh, quasi) causa delle proprie sventure. Perché ha iniziato quella carriera? “Perché sono una porcona e mi eccitava”. Perché è caduta ripetutamente in disgrazia? “Perché sono una cretina che fumava troppo e ha sempre bevuto troppo”. Perché ha lasciato quella vita? “Perché non reggevo più il ritmo ed ero pure ingrassata troppo”.

Non si tratta delle paranoie di una donna con poca autostima: l’autrice non manca di sottolineare spesso anche i propri meriti, ma ogni affermazione è ben documentata. A sua discolpa va anche detto che l’ambiente dell’alt-porn newyorkese di quel periodo non aiutasse certo a restare sani, però Lisa ne esce effettivamente come un piccolo disastro ambulante, vittima fra l’altro di un’ingenuità pericolosa e di un cuore d’oro più dannoso che altro.

Qualche episodio emblematico: le numerose volte in cui attraversa gli Stati Uniti a spese proprie per gettarsi nelle grinfie di sconosciuti dichiaratamente psicopatici, oppure il momento in cui comincia a prostituirsi. Finito l’orario da segretaria modello, più che altro per mantenere un conoscente rimasto vittima di un incidente che ne ha danneggiato le facoltà cerebrali. Ovvio, no?

Quel che si ricava dalla pur triste parabola discendente di Lisa Falour è a conti fatti un bellissimo ritratto del mondo che si trova appena fuori dall’inquadratura delle foto che tutti guardiamo su Internet. Un mondo oggi probabilmente un pochino meno feroce, eppure ancora troppo simile nella sua fauna di reietti, furboni, derelitti, gentiluomini, vittime, maniaci e altro.

“Altro”, da sempre, vuol dire in questo caso uomini e donne puri e teneri in modo abbagliante; Forse perversi e in genere molto imprudenti, che vale però la pena conoscere. Come Lisa B. Falour.

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