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The compendium of rubber garment making – Come diventare stilisti (o filosofi) del latex

The compendium of rubber garment making

Catasta Charisma
Autopubblicato
£ 60
668 pagine
Lingua: Inglese
@: compralo online

The compendium of rubber garment making è senza alcun dubbio il miglior libro mai scritto su come creare abiti di latex, ma anche molto altro. In effetti, copre anche argomenti quali la cura dei capi di lattice, la riparazione, il mercato della moda fetish, la storia del latex, la creatività nell’abbigliamento, le tecnologie impiegate nel settore e tanti altri temi correlati. Si tratta chiaramente di un lavoro pieno di passione nei confronti del materiale e dell’arte richiesta per realizzare quegli outfit meravigliosi su cui sbaviamo quando si aprono siti kinky o si partecipa a un fetish party vero e proprio (ai quali ovviamente è dedicato un altro capitolo).

Dal punto di vista tecnico, il libro vanta uno stile insolitamente curato e non sembra affatto una produzione indipendente. A dirla tutta, la qualità di produzione è di gran lunga più elevata di molti volumi commerciali – anche nella quantità pazzesca del supporto iconografico, con centinaia e centinaia di immagini che vanno dai cartamodelli alle foto delle sfilate dei capi finiti. Palesemente questo Compendium non è per tutti, dato che la maggior parte delle sue 668 pagine contiene istruzioni pratiche per aspiranti stilisti del lattice… ma la parola che da sola lo descrive meglio è: meraviglioso.

Peccato, quindi, che abbia anche un grandissimo difetto di fondo.

Mi spiego meglio. Ciò che intendo è che è chiaro che non ci siano molti artigiani del latex in circolazione, e che se si è semplici aspiranti hobbisti basta sfogliare il libro per rendersi conto con ogni probabilità che realizzarsi un capo da soli sia di gran lunga troppo complicato, costoso e impegnativo per poter tentare l’impresa. Pertanto, su questa semplice considerazione, pur con tutto il suo glorioso splendore questa pubblicazione è sostanzialmente inutile. Eppure.

Ben nascosto attorno a pagina 550, là dove il lettore medio ha probabilmente già rinunciato da un pezzo a capirci qualcosa delle centinaia di arcane nozioni di sartoria fornite, si trova una sezione di una quarantina di pagine che vale da sola ben più del prezzo dell’intero libro. Un capitolo che, in tutta onestà, ritengo andrebbe ripubblicato e inserito in ogni risorsa cosiddetta kinky in circolazione per via dell’immenso valore che ha per chiunque nutra una sessualità non-normativa.

La sezione comincia con il resoconto estremamente sincero di come l’autore Catasta Charisma abbia sviluppato il suo feticismo per il latex, e di come ciò abbia influenzato la sua vita. Come in un gran romanzo passa dall’essere affascinante a spezzarti il cuore, da eccitante a trionfale… ma ciò che più colpisce è quanto onesto sia sempre lo scrittore nel descrivere i propri tumulti emotivi. La vostra esperienza potrà forse essere un po’ diversa, ma sicuramente ritroverete la stessa sorpresa, confusione, paura, difficoltà e accettazione che avete provato anche voi quando avete scoperto di essere un po’ perversi. Già il senso di riconoscimento che si prova sarebbe notevole, ma c’è molto di più.

L’autore non si ferma infatti a raccontare se stesso, ma sfrutta intelligentemente la propria storia per analizzare il ruolo dei feticismi nel contesto della società in generale. Da questo trae conclusioni molto interessanti – del tipo che legioni di psicologi e antropologi hanno disperatamente cercato di raggiungere senza successo. E poi, va detto, il capitolo si chiude derapando in territori speculativi non altrettanto stabili quanto il resto… ma arrivati a quel punto non ve ne fregherà nulla.
Ecco perché la recensione in sé si può ridurre a ‘comprate immediatamente questo libro se vi piacciono gli abiti in latex’, ma la parte più interessante è scoprire le idee di Catasta sulla vita kinky in generale. Che è il motivo esatto per cui l’ho intervistato.

Catasta Charisma

Ayzad –  Nel libro scrivi che ‘Per qualche ragione insondabile farsi legare e sculacciare è un desiderio personale più facile da comprendere che la voglia di indossare materiali strani’ – cosa su cui concordo pienamente. Ci puoi raccontare brevemente la storia di com’è nato questo tuo desiderio e come si è sviluppato?

Catasta – Per me la voglia di indossare gomma è cominciata da molto piccolo, ma con un materiale differente. Verso i 5 o 6 anni stavo esplorando casa come fanno tanti bambini e ho incontrato il cassetto in cui mia mamma teneva le sue calze e i collant di nylon. Era un materiale strano che mi ha affascinato per come trasformava il mio aspetto quando per esempio vi infilavo la mano e creava membrane fra le mie dita, o per come cambiava il mondo se lo osservavo attraverso il tessuto, o ne modificava i suoni e gli odori – come comprimeva il corpo, e così via. Ero incappato per caso in un materiale che sembrava giocare con i sensi ma che era altrettanto affascinante per la capacità di allungarsi. Nel corso degli anni ciò mi ha spinto a esplorare un sacco di tipi diversi di tessuti elastici, ma quello che mi ha attratto sempre è la gomma.
Con la gomma mi sento intrigato da quanto sia solida, dal fatto che sia una pellicola anziché un tessuto intrecciato o annodato. Tuttavia la gomma sotto forma di capi da indossare mi era inaccessibile: si trattava solo di una sostanza pratica con cui fare elastici, suole di scarpe e cose del genere. Penso che verso l’adolescenza la considerassi in qualche modo irraggiungibile. Sapevo che se ne facessero vestiti, ma non mi era facile poterci mettere le mani sopra. Non guadagnavo niente, vivevo troppo lontano dai posti dove li vendevano e in ogni caso ero troppo piccolo per poter andare in quel tipo di negozi! Ciò me la faceva desiderare ancora di più.

In pratica fino ai 21 anni quando sono partito per l’università l’unico contatto che avevo avuto con capi di gomma era stato con la maschera antigas usata da mio nonno nella Seconda Guerra Mondiale. Era un oggetto stupefacente con cui esplorare il mondo, ma a parte quella e le cuffie da piscina finiva che usassi altri materiali elastici per imbozzolarmi da solo. Era una forma di bondage soft col nylon che mi faceva partire per mondi immaginari. Da bambino avevo gravi problemi di pronuncia, e questa cosa mi donava una gran calma dalla frustrazione generale del non essere in grado di comunicare con gli altri troppo bene.

Penso che quando incontriamo la prima volta qualsiasi nuovo materiale lo esploriamo, scoprendo le sue caratteristiche da come fa reagire i nostri sensi. Dopo quella fase ho idea che passiamo a esplorare come il materiale si relazioni a spazi sempre più grandi, dal nostro spazio personale alla casa, al giardino, al circondario e l’ambiente che ci ha plasmati. Se abbiamo la piena libertà di fare tutto ciò il materiale assume un’intera nuova gamma di potenziali, diviene un mezzo tramite cui sperimentare il mondo che ci circonda ed esprimerci nei suoi confronti. Tale libertà in genere viene concessa solo a mezzi d’espressione convenzionali. Ce l’avevo quando dipingevo da professionista, ma non con i fogli di gomma con cui si fanno gli abiti di latex (che in sostanza sono poi solo una pellicola di pittura). Ho imparato presto che il mio gusto per i tessuti elastici non fosse convenzionale, o addrittura un tabù. Così appena ho avuto la possibilità di cominciare ad acquistare i miei primi capi di lattice non sono potuto andare molto oltre la stanza da letto. Mi ci sono voluti molti anni prima di concedergli di diventare visibile più pubblicamente.

Mi sa che nel corso di tutti quegli anni mi sono sforzato di scoprire quanto apertamente potessi indossare il lattice: metterlo ai concerti o al cinema, andarmi a fare passeggiate in campagna, viaggiarci in treno, fare la spesa al supermercato, roba del genere. Sentivo il bisogno bruciante di rendere il mio feticcio più aperto e visibile. C’era tuttavia qualcosa che non tornava, che non mi faceva stare tranquillo al 100% e penso che si trattasse in gran parte del fatto che il tipo di gomma che indossavo all’epoca fosse molto evidentemente di un tipo molto privato, la classica tuta nera completa con harness e cappuccio. Era come se fossi appena spuntato da una camera di tortura. Suppongo sembrasse fuori contesto non perché fosse gomma, ma perché lo stile non era appropriato e faceva quindi allontanare il pubblico anziché concedergli di esserne incuriosito. Ci sono stati molti periodi di rifiuto in cui ho cercato di eliminare la gomma dalla mia vita, dando la colpa della mia attrazione a molte cose, ma ‘sta cosa dell’appropriatezza dello stile di lattice è tornata circa dieci anni fa, quando un amico mi ha convinto a condividere con altri le mie esperienze coi tentativi di integrare la gomma nella vita quotidiana.

Catasta Charisma è nato in quel momento. Prima si trattava solo di una creatura gommosa e nera che rimbalzava davanti all’obbiettivo di una videocamera su YouTube, ma si è rapidamente evoluto prendendo forma e carattere che non avevo previsto. Catasta è divenuto molto più esuberante nel tipo di abbigliamento: è tutto incentrato sulla varietà e sull’apparire sempre al suo meglio. Nel giro di un paio d’anni sono passato dall’essere questo individuo solo e isolato che si chiedeva se il lattice avrebbe mai avuto un vero posto nella sua vita all’apparire su un palco con Jean Bardot al Montreal Fetish Weekend, intrappolato dentro un apparecchio per il sottovuoto. Intanto indossavo gomma tutti i giorni, e di notte rispondevo alle domande di chi aveva problemi simili sull’accettare il proprio feticismo.

 

Mi è molto piaciuta l’onestà con cui hai raccontato tutto ciò ancora più in dettaglio nel libro, specie quando hai descritto i conflitti interiori che passano un po’ tutti i feticisti quando imparano a gestire le proprie inclinazioni. Più di tutto però ho apprezzato le tue conclusioni sul potere della stigmatizzazione… che si rivela essere più che altro immaginario, alla fine. Ti va di condividere i tuoi pensieri su tutto ciò?

Un abito fetish di Catasta CharismaFin da piccolissimo venivo scoperto dai miei genitori infilato dentro gli armadietti della cucina o appeso al bordo del letto dentro strati di calze di nylon. Era il tipo di comportamento che comprensibilmente li lasciava confusi e forse un po’ spaventati. Mi chiedevano spiegazioni, ma naturalmente da bambino non sai dare risposte. Tutto ciò che sapevo è che il mio comportamento stimolava caos in famiglia. Anche se mi avevano scoperto in quelle condizioni solo poche volte, sono state abbastanza per farmi capire di non amarne le conseguenze, che i miei gusti verso questi strani tessuti fossero proprio inaccettabili. Eppure ne continuavo a essere attratto, mi interessavano, mi davano grande piacere benché dovessi prendere precauzioni e tenere tutto nascosto se avessi voluto continuare a godermeli. Per trent’anni ho vissuto praticamente in segreto, pensando di non poter condividere con nessuno ciò che mi piaceva perché era sbagliato. Però non poter portare il mio amore per la gomma al di fuori dell’ambiente controllato della camera da letto significava non poterlo far sviluppare come dovuto nel mondo stesso, voleva dire non mettere in pratica il mio feticismo ma farsi plasmare dallo stigma di averne uno. Il feticcio, o meglio lo stigma, non mi faceva crescere come una persona sana. Amare la gomma non mi faceva sperimentare nulla se non odio per me stesso e il sentirmi inutile perché il mio amore veniva stigmatizzato.

Il punto degli stigmi è che di solito ci risultano invisibili. Possiamo arrivare a credere che sia il nostro feticismo a determinare come si esprime e comporta, che le pratiche derivino da ciò che voglio fare col mio feticcio, ma la realtà è che il fetish viene governato dallo stigma – e limita le possibilità di cosa la persona possa fare con la propria passione. Nel mio caso mi aveva talmente travolto che ero arrivato a credere che tutti i miei problemi sociali derivassero dal latex e non dalla sua stigmatizzazione. Per me un feticcio è solamente un mezzo poco convenzionale di esplorare se stessi, che può far solo bene alla vita della persona e aiutarlo a trovarvi significati e potenzialmente scopi, ma che può essere facilmente corrotto dalla diffidenza, prendere direzioni malsane che conducono a sprecare il proprio potenziale.

Ciò che desidera la maggior parte dei feticisti non è necessariamente che i loro gusti vengano abbracciati apertamente dalla società, ma banalmente di essere liberati dallo stigma che temono di incontrare se mai dovessero rivelare i propri gusti. Una stigmatizzazione diretta si incontra di rado, ma solo perché ben pochi si mettono nelle condizioni di scatenarla – in sostanza quindi non è nemmeno uno stigma reale ma la paura di incontrarlo. Tale terrore di se stessi congela la capacità di evolversi, di sviluppare il proprio feticcio  perché si temono le ripercussioni del giudizio degli altri. E, reale o immaginario che sia questo timore, per la persona esiste concretamente. Non voglio dire che sia paranoia perché è pur vero che chiunque può venire perseguitato per la propria differenza indipendentemente dalla forma che prende, ma certo la paura può impedirci di vedere la possibilità di proclamare serenamente il nostro amore, al punto di non dichiararlo mai a volte nemmeno a noi stessi.

 

Il mondo in generale può imparare qualcosa dal percorso di crescita personale tramite l’autoaccettazione che è tipico dei feticisti?

Domanda difficile. Tutti abbiamo un qualcosina di cui ci vergogniamo, qualcosa che altri ci hanno detto di trovare inaccettabile. Potrebbe trattarsi di qualunque cosa: il colore della pelle, il genere, la sessualità, l’età, il lavoro, la religione, il nostro stato sociale, la dieta, la forma del naso o la preferenza verso indossare il liquido coagulato che viene da un determinato albero. Abbiamo tutti tante cose per cui gli altri sentono il bisogno di umiliarci, ostracizzarci, metterci in mostra come sbagliati, farci credere che ciò che ci definisce sia una maledizione. Lo abbiamo sperimentato tutti. Poi alcune persone capita che lo sperimentino tutti i giorni perché non possono per esempio nascondere il colore della propria pelle, mentre altri dopo una o due volte che ci sono passati capiscono di dover temere l’esperienza e imparano a tener nascoste le proprie caratteristiche. Penso che chiunque abbia passato la vita a sentirsi dire di essere o avere un problema diventi molto sensibile alle ragioni dei pregiudizi altrui. Certa gente tende proprio a giudicare al volo gli altri, ma ho imparato che quasi tutti riescono a comprendere almeno un po’ queste stranezze, perché anche loro sono stati a un certo punto criticati per scemenze quali essersi tinti i capelli o i vestiti che indossavano, per l’avere un tatuaggio o un piercing, o non avere l’ultimo modello di cellulare. A volte si può far notare questa ipocrisia, perché pare che nella maggior parte dei casi non ci rendiamo nemmeno conto di insultare gli altri anche se ci offendiamo per un nonnulla.

Insomma, non credo che i feticismi conducano a una crescita personale maggiore di qualsiasi altro tipo di stigma sociale. Tolleranza e comprensione possono risultare difficili. Tuttavia ritengo che i feticisti possano imparare molto su come accettarsi e superare gli stigmi guardando come si sono comportate altre persone perseguitate.

Un originale abito di lattice

D’accordo. Ma che mi dici dei non troppo rari feticisti con problemi mentali in circolazione? Hai scritto spesso che i feticci sono strumenti per esplorare il mondo – ma non tutti hanno la capacità di gestire quegli strumenti, o di trarre lezioni positive dalle loro esplorazioni.

Credo che il problema più grande sia che le persone non si sentano libere di avere l’opportunità di esplorare apertamente e compiutamente i propri feticci. Immagina di avere un feticismo per gli oggetti sferici che rimbalzano ma la società ti abbia dato l’impressione che dichiarando tale desiderio verrai deriso e bullizzato. La tua esplorazione di ciò che puoi fare con quella palla potrà arrivare solo fino a un certo punto. I sogni di calciarla in compagnia di altri non sono altro che fantasie. Ritrovandosi a passare tutta la vita tenendo nascosta questa attività vergognosa per timore di ripercussioni è facile che tu finisca per dare alla palla la colpa di essere la fonte di tutte le tue frustrazioni, trasformandola nel centro di ciò che ami che di ciò che odi per come ti ha marchiato. Sappiamo che tali associazioni negative non sono vere e che la palla, cioè il feticcio in sé, non ha colpe, ma puoi comunque provare risentimento verso di esso anche perché non ci sono alternative possibili. Anche se si presentassero, quando ti ritrovi a non poterne più del tuo desiderio e di avere bisogno di terapia, tutto ruota ancora attorno all’effetto del feticcio sulla tua vita anziché sullo stigma. Magari vai da un dottore per farti curare dall’attrazione che provi per la gomma… ma il problema è l’attrazione o la paura delle reazioni delle altre persone a quell’attrazione? Cosa è che ha trasformato il feticismo in una fonte di tormento? È raro che i feticismi vengano percepiti allo stesso modo di altri fattori per cui si può subire discriminazioni. Sono tanti quelli che dichiarano di non essere orgogliosi dei propri desideri fetish, e di solito si isolano in disparte, lasciando che la stigmatizzazione implicita e velata detti come debbano vivere le loro passioni. Passare tutta la vita da soli, a calciare un pallone contro il muro! Non è che manchino della capacità di fare altro, ma si sentono limitati nell’espandere le proprie abiltià Penso che un sacco di problemi derivi dal non saper come fare quel primo passo verso un mondo più ampio. Quando ci si dichiara più pubblicamente, non potete aspettarvi di ottenere una reazione positiva se vi presentate come il peggior stereotipo da incubo, con tubi che spuntano da orifizi improbabili! Se però il vostro genere è quello, ricordate che è il vostro e non il loro. Non portate confusione, paura, preoccupazioni e ansia nella vita di gente che ne ha già in abbondanza, ma mostrate semmai loro la magia, quando spettacolare e fantastico possa essere il vostro feticcio. Non tirate loro il pallone in faccia aspettandovi che ne siano felici, ma stupiteli con la capacità da giocolieri che avete sviluppato in tanti anni di palleggi in isolamento! Quando vi trovate alla luce, davanti allo sguardo del pubblico, sbocciate come fiori: per scatenarvi nel terriccio potete farlo in privato.

 

Se guardo gli standard sociali di oggi riconosco a malapena l’attitudine nei confronti del sesso insolito rispetto a quella che vigeva quando ho cominciato la mia esplorazione trent’anni fa. Sotto quell’aspetto le cose sono cambiate nettamente per il meglio, eppure c’è qualcosa che non torna. Quando hai analizzato la questione hai concluso che i feticci vengono disattivati nel momento in cui vengono assimilati dal consumismo: una volta che un feticcio può essere inscatolato, prezzato e messo in vendita è come se perdesse il suo potere. Me ne parli meglio? Ci stiamo spostando in un’era non “feticciabile”?

Non è tanto che il feticcio perda potere, quanto che avvenga uno scambio di potere rispetto a chi sia la persona cui viene rivolto, che non è più il bersaglio più ovvio – tipo oggetti di gomma per i feticisti della gomma. Tutti i beni di consumo sono feticci. Ogni oggetto, dall’assicurazione sulla casa all’auto che guidiamo, non ha altro valore se non quello che gli attribuiamo o che ci viene detto che abbia. Quando ci si sente elettrizzati dall’acquistare una tuta di latex, la sensazione è la stessa che si prova comprando qualsiasi altra cosa. Quel che cambia è la sua intensità, che varia a seconda di quanto ci sentiamo obbligati all’acquisto: minore per ciò che serve a sopravvivere, e maggiore per quelle cose di cui sentiamo di non avere necessità ma desideriamo comunque. Sentirsi borghesi è sempre più eccitante che sentirsi dei poveracci. Penso che molte persone che comprano cose che consideriamo tipicamente feticistiche non lo facciano per un vero feticismo tipo il desiderio di indossare roba di gomma, ma per via di altre connotazioni del prodotto, per tutto il lato oscuro e tabù che è poi quello che viene rinforzato dalle esperienze stigmatizzate dei veri feticisti. Si compra il prodotto non per il desiderio di fruirne, ma per voler essere associati alle sue caratteristiche. I prodotti fetish quindi si possono vendere a persone non feticiste ma che sentono di poter trarre qualche vantaggio dall’essere percepite in quella chiave. Che poi magari è un fetish a sua volta!

 

Parlando del tuo libro in generale, basta sfogliarlo velocemente per rendersi conto che i tuoi capi siano immensamente più colorati e unici di quelli normalmente associati al concetto di ‘latex fetish’. Perché pensi che ci sia così poca creatività in questo campo?

È rara semplicemente perché la maggior parte delle cose che faccio non può essere prodotta industrialmente, e ha un mercato molto piccolo. Quando creo qualcosa di lattice non considero mai il valore commerciale del pezzo. Oh, so esattamente quanto mi sia costato produrlo, ma è un costo che non viene mai pianificato a monte perché se dipendesse da me non venderei mai nulla di ciò che faccio. Prendiamo per esempio questo cappotto che ho finito da poco: chi lo guarda pensa che costi tipo duemila sterline e magari ha anche ragione, ma la verità è che a me è costato solo quanto la colla che ho usato per mettere insieme i ritagli scartati da altri progetti. Tuttavia è un pezzo unico, quindi non può essere riprodotto e le imprese commerciali hanno bisogno di oggetti ripetibili. Fortuna che sono un “gommista”, non un ragioniere, e il mio rapporto con gli oggetti è guidato dal desiderio di esplorare il mio mondo attraverso il lattice e non da bisogni finanziari. Quando creo vengo mosso dalla voglia di vedere se qualcuna delle visioni folli che ho per gli outfit possa essere davvero realizzata, non dalle bollette da pagare.

I capi di lattice classici sono relativamente semplici. Al di là di farli cadere bene, che è una cosa che può fare qualsiasi modista con dimestichezza coi cartamodelli, è semplice nel senso che la gran parte di essi cerca solo di ottenere una silhouette più lineare possibile. Una volta che sai come realizzare quel tipo di capi, come amante del lattice non puoi che cominciare a pensare a cos’altro sia possibile. Maneggiare e manipolare la gomma dà lo stesso batticuore di indossarla e giocarci, e come avrai intuito sono sempre alla ricerca di nuove scoperte ed espansioni di dove possa portare il mio fetish. Voglio celebrare il mio amore per questo materiale.

Insecticon

Un altro aspetto molto evidente è che, pur con l’immensa mole di informazioni dettagliate che offri nel libro, solo una persona completamente ossessionata potrebbe mai tentare di realizzare da sola una creazione di latex come hobby. Al confronto di altri passatempi la complessità è semplicemente troppa, per non parlare della manualità richiesta. Ti do l’occasione di confessarti: hai scritto il Compendio solo per spaventare la gente e far loro rispettare chi lavora col latex, vero?

Nello scrivere il libro la mia più grande preoccupazione era che potesse spaventare. La pura quantità di informazioni, e la natura in parte complessa di alcuni capi d’abbigliamento che creo possono apparire insormontabili. Tuttavia il mio intento è stato di trasmettere ad altri le nozioni che avrei tanto voluto avere io quando ho cominciato. In fondo ho cominciato questo lavoro solo nell’ottobre del 2013: prima di allora la gomma la indossavo solamente. Mi piace crearmi outfit personali combinando pezzi acquistati da vari marchi, ma in questo modo si può arrivare solo fino a un certo punto. Ho provato anche a disegnare abiti da far realizzare ad altri studi, ma la cosa si è rivelata troppo costosa. Così per mettere in pace la mia grande immaginazione e il mio piccolo portafogli ho deciso di provare a far tutto da solo. Sono partito da una base di numerosi progetti artistici e manuali: avevo già realizzato un sacco di cose e alcune procedure imparate in un dato ambito si possono trasferire su altre pratiche. Quando costruisci una casa ti serve un progetto, e quando fai un abito servono i cartamodelli. Più che far rispettare gli stilisti del lattice vorrei che la gente avesse gli strumenti per apprezzare tutto il lavoro che c’è dietro ogni capo. Inoltre spero che qualcuno possa farsi ispirare dai miei disegni e capire che è tutto possibile, che non bisogna limitarsi e che quando viene voglia di sperimentare il Compendio può mettere a disposizione quel qualcosa in grado di ricordare che ogni sogno può diventare realtà.

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