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Borghesia e sessualità

Girando per le bancarelle del Festival della Letteratura di Mantova ho avuto il piacere di trovare finalmente una copia in buone condizioni di un classico della sessuologia da tempo fuori catalogo, che ora mi sto rileggendo con vero piacere. Si tratta del Dizionario dell’erotismo di Ernest Borneman, evolutosi in varie edizioni fra il 1953 e il 1968. La mia è una ristampa del 1988, in cui il testo è comunque ancora permeato dello spirito marxista (e parecchio tedesco) dell’autore, che colora molti lemmi di una visione che oggi può apparire antiquata, ma anche stranamente appropriata alla nostra epoca neoliberalista.
Tanto per darvi un’idea di cosa significhi studiare la sessualità secondo un’ottica sociologica, ho pensato di deliziarvi presentando la voce forse più emblematica del dizionario…

Borghesia e sessualità

La persona umana è influenzata nella sua sessualità più di ogni altro mammifero dalla vita sociale. E dal momento che la vita sociale è condizionata a sua volta dal lavoro e dagli utensili atti a svolgerlo non è possibile né valutare né capire la sessualità umana se la si considera avulsa dallo sviluppo delle forze produttive, come fa per l’appunto la sessuologia di stampo borghese. Tuttavia, anche i sessuologi che si definiscono “critici” o “empirici” si dedicano soprattutto alla sovrastruttura sessuologica (e dunque alla psicologia, sociologia e pedagogia sessuale) e non alla struttura, ovvero alle forze produttive. La ricerca della sessuologia borghese è spesso caratterizzata dall’errore di scindere l’individuo maschio o femmina dalla funzione che esso ha o non ha nel processo primitivo, e di studiarlo come se la sua vita sessuale fosse completamente staccata dal processo produttivo di cui vive il sistema sociale in cui egli è inserito.

Nonostante la forza dei desideri sessuali umani, la psiche è plasmata a livello sessuale soprattutto da vincoli non sessuali, vincoli che nell’attuale società occidentale sono di natura classista. Voler studiare la vita sessuale dell’uomo senza considerare i fattori di classe che la influenzano porta a risultati perlomeno imprecisi.

La struttura della psiche rispecchia quella del sistema sociale. In una società gerarchizzata anche la psiche dell’individuo ha un aspetto gerarchico. Anche il modello freudiano dell’Io situato tra un Super-io – che ha assunto «il potere, la funzione e persino i metodi dell’istanza parentale» e che «osserva, guida e minaccia l’Io, esattamente come facevano prima i genitori col bambino…» (XI, 175) – e un Es – che è definito «un crogiuolo di eccitamenti ribollenti… aperto all’estremità verso il somatico, da cui accoglie i bisogni pulsionali» (XI, 185) – sembra rispecchiare la struttura borghese: classe dominante – classe lavoratrice – infimo proletariato. Non è questa la sede per verificare se tale operazione descriva in modo corretto la psiche del borghese. È però certamente possibile verificare che ogni sistema sociale non solo crea un modello di psiche a propria immagine e somiglianza, ma anche che tale immagine dice qualcosa di vero sullo stato effettivo della psiche dei membri della società che l’ha plasmata. Anche l’idea di Freud della maturità sessuale come «primato» della genitalità sulla fase orale e anale tradisce lo stesso modo di pensare gerarchico.

Tali modelli della psiche prendono comunque forma soltanto in seno a sistemi sociali gerarchici e riflettono l’influenza della gerarchia sociale su quella psichica. Elaborando due modelli completamente diversi di funzionamento della sessualità maschile e femminile, Freud tradisce indubbiamente una sua propria incapacità di comprendere realmente la donna e di convivere armonicamente con essa, ma anche le infinite tensioni che caratterizzano il rapporto tra l’uomo e la donna in generale. In una società in cui le persone combattono l’una contro l’altra in modo così aspro a tutti i livelli, non è pensabile che i due sessi possano convivere pacificamente.

Lo studio della storia umana, in particolare quello delle civiltà prepatriarcali, evidenzia in modo inequivocabile che la lotta tra i sessi non è affatto un conflitto «naturale», «innato», ma soltanto il riflesso – a livello sessuale – della lotta di classe. Pertanto la prima non è affatto più antica della seconda, e potrà essere superata soltanto quando questo sistema di classe sarà superato.

Uno dei più importanti sessuologi del nostro secolo, Wilhelm Reich, commise un errore ipotizzando che la conditio sine qua non per il cambiamento della società fosse la riforma della vita sessuale, o più precisamente, che le masse avrebbero potuto accettare il socialismo soltanto se si fossero affrancate dall’oppressione sessuale borghese.

Anche Alfred Adler, allievo di Freud (questi però prese espressamente le distanze dal fondatore della “psicologia indviduale”), che si considerava socialista ed esercitò una forte influenza su personalità progressiste di grande rilievo come Otto Rühle e Manès Sperber, era convinto che si dovessero riformare i cervelli dei capi socialisti prima che questi potessero riformare a loro volta la società. Tale logica, che appare così convincente in base a parametri borghesi, è errata, perché la psiche non consiste solo di quanto abbiamo ereditato dai nostri genitori e vissuto nella nostra infanzia: essa viene ogni giorno ininterrottamente creata e ricreata dal nostro comportamento sociale. E non va dimenticato che nessun’altra attività esercita un’influenza maggiore sulla psiche di quella politica. Non è dunque la nostra attività politica – come pensava Adler – ad essere condizionata da quella psichica – per cui l’uomo non può avere un pensiero politico puro fino a quando non si sottopone ad una terapia psicoanalitica – ma sono le nostre decisioni psichiche ad essere determinate in larga misura dalle nostre esperienze politiche (o dalla mancanza di esse). E tale fatto ha una ricaduta anche sulla nostra vita sessuale: l’essere sociale determina anche l’essere sessuale.

Questo enunciato è uno dei punti fermi della sessuologia critica. Nonostante le molte divergenze d’opinione, Freud e Reich ritenevano invece che l’essere sessuale determinasse quello sociale. Una convinzione senz’altro errata: infatti ogni individuo – indipendentemente dalla predisposizione sessuale con cui è nato – cresce all’interno e insieme ad una società già esistente da cui è irrevocabilmente segnato. È fuor di dubbio che anch’egli a sua volta impronta di sé la società stessa e che l’attività sessuale svolge un ruolo non indifferente in quest’ambito. Tuttavia, il suo sviluppo sessuale può aver luogo soltanto all’interno dei limiti posti alla sua comprensione di questa società e delle sue possibilità di modificarsi. Come ogni altra libertà, anche quella sessuale si basa sulla consapevolezza dei suoi limiti, che è necessario individuare anche all’interno della società borghese.

Prima di decidere se e in quale misura la società borghese e con essa la nostra vita sessuale possono cambiare, è necessario chiarire quali sono gli obiettivi che tale società si propone di raggiungere con la nostra vita sessuale, in altre parole perché da una parte essa sia rigorosamente repressiva e dall’altra permissiva al massimo, perché da una parte ecciti l’individuo con film e riviste pornografiche e dall’altra vieti o addirittura punisca molte forme di rapporto sessuale.

Attualmente i segnali sono che si sta volgendo al termine l’era della repressione sessuale sistematica: essa aveva infatti lo scopo di indurre operai e impiegati della neonata società borghese ad assumere volontariamente un atteggiamento di obbedienza alla disciplina, alla puntualità, alla diligenza e a tutti quei comandamenti borghesi affatto sconosciuti non solo ai principi del Medioevo, ma anche in definitiva ai contadini.
Il lavoro in fabbrica, il sistema di produzione dell’era borghese non avrebbero sortito alcun risultato se non fossero stati sorretti da puntualità, diligenza, disciplina. Tuttavia, il ricorso alla forza delle armi per costringere il lavoratore all’obbedienza, com’era stata abitudine dei feudatari nei confronti di contadini e vassalli, appariva inefficiente alla borghesia: molto meglio indurre negli operai e impiegati il sentimento che diligenza, puntualità, disciplina fossero non degli obblighi imposti dall’alto, ma delle virtù. A questo scopo fu necessario far apparire la libertà di ogni tipo, ma soprattutto quella sessuale, un vizio, un peccato. Il puritanesimo, che levò di mano alla Chiesa e ai suoi ministri la responsabilità del comportamento morale investendone direttamente il singolo credente, è stato una delle due istanze sociali che realizzarono il processo di interiorizzazione dei comandamenti sociali.

L’altra istanza fu la famiglia. Il padre, inculcando nel bambino l’idea che l’obbedienza fosse una virtù, lo educava al rispetto di tutte le istituzioni sociali che svolgevano una funzione, per così dire, paterna (ad esempio al rispetto della struttura imprenditoriale borghese). Tuttavia, una simile obbedienza poteva protrarsi anche nella vita adulta soltanto inducendo una coscienza sempre “sporca”. In altre parole, soltanto se il bambino, ormai adulto, continuava a ripetersi che la mancanza di rispetto nei confronti dei superiori era colpevole, poteva tributare obbedienza spontaneamente. E questa coscienza sporca poteva essere indotta soltanto dalla frustrazione sessuale. Solo dopo che l’individuo aveva abdicato una volta per tutte ad una propria libera sessualità, poteva rinunciare anche ad ogni altra libertà e soddisfacimento in generale. Infatti, se l’individuo avesse improvvisamente scoperto l’inganno, gli si ssarebbe palesata in tutta la sua assurdità la rinuncia alla felicità, libertà e soddisfacimento per tutta l’esistenza. Soltanto poche persone avevano il coraggio di cambiar strada dnonostante tutti i sacrifici già fatti.

La tecnica d’indurre nelle classi inferiori, tramite l’imposizione della rinunzia sessuale, l’accettazione volontaria della sottomissione si è dimostrata estremamente efficace fino a pochissimo tempo fa, ovvero fino al momento in cui la crescente produttività delle macchine si è venuta a trovare in aperta contraddizione con i comandamenti del risparmio e della rinuncia. Le virtù borghesi cominciarono ad essere messe in discussione in un’era di una produzione eccedentaria e la cui economia è caratterizzata dall’aumento costante dei prezzi e dal calo del potere d’acquisto del denaro.

Finché l’orario di lavoro comprendeva dodici ore o addirittura di più, la classe dominante poteva controllare i propri salariati non solo sul posto di lavoro, ma anche a casa: era infatti una realtà che, quando l’operaio tornava a casa tanto stanco da voler solo dormire, non v’era alcun pericolo che potesse ribellarsi. Ma nel momento in cui cominciò ad avere tempo libero a disposizione crebbe il pericolo che egli l’avrebbe sfruttato per riorganizzare se stesso e la propria vita.

Si rese allora necessaria una forma radicalmente nuova di controllo. Invece di indurre l’individuo alla rinuncia del soddisfacimento sessuale, la cosa migliore sembrò quella di convertirlo all’esatto contrario e di offrirgli una gamma di distrazioni sessuali il più ampia possibile. Infatti, si era constatato che, per distrarre sfruttati e schiavi dalla loro triste condizione, non esiste mezzo più efficace e più a buon mercato di risvegliare i desideri sessuali e concedere e rifiutare alternativamente il soddisfacimento dei desideri medesimi. Chi analizza sotto questo profilo l’industria pornografica attuale, chi legge in qualsiasi rivista gli innumerevoli annunci miranti a trovare partner per il sesso di gruppo, per lo scambio di coppie, per il rapporto sadomasochistico, non può fare a meno di pensare che, parafrasando una frase celeberrima, il nuovo motto della tecnica di dominio psichico sia «il sesso è l’oppio dei popoli». Tanta più droga di questo tipo assume l’individuo, tanto più irrilevanti diventeranno ai suoi occhi i conflitti di natura politica ed economica.

Non deve stupire il fatto che anche in questa nuova tecnica “liberale” di dominio psichico delle masse si ritrovino tracce dell’antica repressione, come è tipico di ogni fase di transizione da una strategia di dominio all’altra. E soprattutto non ci si deve illudere sul fatto che la nostra vita sessuale sia libera in un mondo “libero”, ma bisogna tenere sempre presente che anch’essa – esattamente come la nostra vita economica, sociale e politica – è soggetta a diversi fattori che continuano ad influenzarla più o meno apertamente e pesantemente.

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