NOTA: La mia amica attivista Debbie suol dire che «la sessualità è cosa privata, e il privato è politico». Devo ammettere di non averla mai presa troppo sul serio, fino a quando (nel marzo 2006) mi hanno chiesto di scrivere questo articolo, e senza premeditazione mi sono trovato a fare un comizio.
Ci sono occasioni che vanno colte al volo, come l’invito da parte dello staff di Legami a scrivere un articolo su Bettie Page, visto che dopo il mio lavoro teatrale su di lei mi sono ritrovato a esserne una specie di esperto. Non che sia stato uno studio difficile, lo confesso. Di informazioni su questa leggendaria modella sono pieni sia le librerie che il Web, e con l’imminente uscita del film The Notorious Bettie Page c’è da scommettere che presto ne vedremo la biografia e i più nascosti segreti ripetuti su qualsiasi rivista e quotidiano. Stando così le cose vi risparmierò il classico riassunto della carriera di miss Page, per concentrarmi piuttosto su qualche considerazione più insolita che – ho la sensazione – sfuggirà a molti giornalisti scandalistici.
L’ignota B.P.
Se cercate con Google il nome di Bettie Page troverete milioni di siti dedicati a quest’ineguagliabile icona dell’erotismo anni ’50, che ripetono incessantemente le stesse fotografie, illustrazioni e scarsissime notizie. “Ma quant’è bella Bettie, ma quant’è sexy Bettie, ma che maiala Bettie, ma che allegra Bettie”. Qualcuno aggiunge pure “Guardate come assomiglio a Bettie”… ma poi basta. C’è un motivo per questo: Bettie Page ebbe una carriera brevissima, di soli quattro anni fra il 1953 e il 1957. Nonostante le siano state scattate migliaia di foto nessuno immaginava di trovarsi davanti a una futura leggenda, pertanto nessuno si preoccupò di raccogliere informazioni su quella che veniva percepita solo come “una delle tante ragazzotte poco vestite di New York”. In effetti, la fama cominciò ad arrivare solo dopo un celebre servizio come coniglietta del mese su Playboy… ma proprio in quel momento Bettie e lo Studio Klaw, per cui svolgeva la maggior parte del suo lavoro, finirono coinvolti in una brutta storia di scandali e processi. Passata la bufera la ragazza decise di partire per una lunga vacanza… e non tornò più, lasciando milioni di fan a ripetersi quanto fosse carina, in un circolo vizioso interrottosi da poco.
Se vi state chiedendo quale storia ci fosse dietro la scomparsa, la risposta si trova in un bel libro di Richard Foster intitolato The Real Bettie Page. Un’indagine durata più di dieci anni ha rivelato nel 1997 che al culmine della sua carriera Bettie ebbe un paio di esaurimenti nervosi; si trasferì in riva al mare; sposò un giovane surfista; cercò di metter su un’attività di pesca a strascico; finì sulla sedia a rotelle; guarì misteriosamente; impazzì; diventò una fanatica cristiana pentecostale; si risposò in regime di bigamia; cercò di ammazzare a coltellate una vecchietta; poi un’altra; poi l’ex marito e i figli; fece avanti e indietro da un tot di manicomi; si ritrovò un po’ più sana ma povera in canna; scoprì di essere diventata il personaggio di un fumetto; venne salvata dal “signor Playboy” e (tirate pure il fiato) adesso vive a Los Angeles da miliardaria semireclusa, facendo l’uncinetto e ascoltando l’equivalente californiano di Radio Maria. Alè, un mistero è risolto. Adesso resta l’altro, quello vero. Come diavolo ha fatto una modellina qualunque a trasformarsi in una superstar dell’immaginario collettivo?
Semiotica in tacchi a spillo
Quella di non avere fatto in tempo a debuttare a Hollywood è stata probabilmente la più grande fortuna di Bettie Page. Un po’ perché così è rimasta ammantata di intrigante mistero, ma soprattutto perché altrimenti avrebbe fatto una figuraccia pessima. Non ci credete? Provate a guardare una delle sue rare esibizioni in video e vi renderete conto dell’orrore tragicomico che ci siamo scampati. È quindi chiaro che i motivi del suo successo debbano essere altri. Qui potrei sbagliare, ma direi che il fattore chiave è stato l’incontro unico di temi “proibiti”, un insolito entusiasmo e un momento storico particolare.
Sui primi è meglio sfatare una leggenda urbana. Bettie non è stata né la prima, né l’unica modella a realizzare servizi fetish o di bondage. Tantomeno erano la sua specialità: nelle poche interviste rilasciate racconta infatti di aver sempre preferito le ambientazioni tipo “Regina della Giungla” o i servizi in costume da bagno, che costituiscono peraltro il grosso della sua produzione. Certo, in parte a parlare è anche il suo nuovo furore da fondamentalista cattolica, ma a trent’anni (è nata nel 1923) Bettie era solo una delle tante ragazze dello studio Klaw, specializzato in fotografie dei grandi divi cinematografici… e in soggetti “piccanti”. Irving e Paula Klaw erano infatti conoscenti di John Willie, illustratore noto per i fumetti di Gwendoline e autore factotum della rivista Bizarre, che da appassionato di erotismo estremo qual era aveva suggerito loro di realizzare anche alcuni servizi con questi temi.
Per comprendere pienamente la situazione è importante ricordare che stiamo parlando di un’epoca in cui le riviste per adulti avevano ancora i bollini della censura, un seno nudo era inconcepibile e al cinema le coppie sposate andavano a dormire in letti separati. Le Polaroid a sviluppo automatico erano ancora di là da venire, quindi ben poche persone potevano permettersi il lusso di stamparsi in casa le proprie foto zozze, e l’unico modo per possedere l’immagine di una signora in lingerie (o peggio) era acquistarla sottobanco da gente come i Klaw – che d’altra parte si sono sempre rifiutati di realizzare scatti pornografici o di nudo integrale. In altre parole, per molto tempo le migliaia di foto di Bettie e delle sue colleghe sono state l’unico materiale non disegnato a rappresentare certe piccole perversioni, e associare temi proibiti al viso della modella del Tennessee era una sorta di riflesso automatico.
Ma perché il suo, di viso, e non quello delle altre? Qui entra in gioco il look molto caratteristico di Bettie Page, sottolineato oltretutto dalla celebre (e insolita per l’epoca) frangetta, nonché il suo sorriso. Già, perché a differenza di tante sue colleghe che si rassegnavano a essere fotografate in certe situazioni solo per amore della paga (10 dollari l’ora, contro i 35 alla settimana di una segretaria di direzione) Bettie dimostrava sempre un enorme entusiasmo. Probabilmente si trattava solo del desiderio disperato di mettere in luce le sue (in)capacità d’attrice, come suggeriscono le espressioni esagerate che sfodera in molte foto, ma poco importa. In mezzo a un mare di signorine scocciate, il sorriso smagliante di miss Page era qualcosa che colpiva l’occhio e l’immaginazione. Ma non è finita qui.
La storia dietro il corsetto
Quello che abbiamo visto fin qui è il volto più noto di Bettie Page, la sua attività professionale. Quella che però viene ignorata di solito è la sua vita lontano dall’obiettivo, che fa di questa donna un personaggio francamente molto più interessante. Nel bel mezzo del continente e del periodo storico più ottusamente conformista dopo l’Inquisizione, Bettie era un elemento di disturbo senza pari. Non era solo una campagnola di Nashville decisa a sfondare nel cuore d’America, ma un esempio eclatante di indipendenza. Nonostante le origini umilissime e gli abusi subiti dal padre aveva infatti portato avanti studi di ottimo livello pagati di tasca sua e interrotti a un passo dall’università solo per un banale incidente in famiglia. Era stata una delle prime donne a chiedere il divorzio dal marito (rivelatosi un delinquente) e, soprattutto, l’archetipo della “pornostar intelligente” stile Moana Pozzi. Infischiandosene allegramente del bigottismo imperante non aveva paura a mostrare il proprio corpo e a sfruttarlo per avvicinarsi al suo sogno holliwoodiano, e quando veniva arrestata per oscenità riusciva a tenere testa a giudici famosi sostenendo le proprie tesi anticonformiste. Risultato: venne sempre giudicata perfettamente innocente.
Tutto ciò la rese un personaggio assai pericoloso, una protofemminista d’assalto che la società non sapeva gestire né arginare. Benché Bettie non si sia mai comportata da vera attivista, questo suo aspetto venne particolarmente alla luce in occasione della Commissione Kefauver Contro l’Immoralità in America. Estes Kefauver era un senatore il cui massimo successo era stata l’istituzione della Commissione Contro la Criminalità Organizzata – il primo maxiprocesso della storia e il primo a venire seguito dalla televisione, il cui risultato fu sgominare gangster come Lucky Luciano e Joe Valachi. Questa seconda commissione fu soprattutto una mossa elettorale, per tornare in auge proprio in occasione delle candidature alla presidenza degli Stati Uniti sollevando un bel polverone mediatico. L’intento moralizzatore venne rivolto contro il cinema, il rock ‘n’ roll, i fumetti… e contro la “pornografia”, naturalmente – coinvolgendo migliaia di imputati fra cui anche i Klaw.
Quando il giudice incaricato di seguire questo aspetto della faccenda si rese conto di non avere alcun elemento concreto per condannare le tutto sommato caste immagini prodotte dallo studio, lo staff dell’accusa produsse un asso pigliatutto. Anni prima un boy scout si era strangolato nel tentativo apparente di riprodurre una legatura mostrata in una foto venduta dai Klaw. Che il ragazzo stesse evidentemente masturbandosi nel farlo, che fosse ritardato e il piccolo particolare che avesse vent’anni compiuti venne “casualmente” sorvolato, mentre non passò affatto inosservata la protagonista della foto incriminata: miss Bettie Page! Bettie venne strumentalizzata dalla corte con continue convocazioni a vuoto, per metterla alla berlina dell’opinione pubblica senza darle tuttavia la possibilità di parlare in difesa dei fotografi. Alla fine la sentenza fu di innocenza per tutti, ma la fama dei Klaw ne uscì tanto devastata da costringerli a chiudere bottega, e Bettie tanto scossa da partire per la sua famosa “lunga vacanza”, disgustata dal bigottismo generale.
Mezzo secolo per non cambiare niente
Quando ho studiato gli aspetti meno glamour della vita della modella per scrivere il mio spettacolo Bettie Page – In Bondage! è bastato poco per rendersi conto di come in cinquant’anni esatti (il processo è del 1955) siano cambiate ben poche cose. Oggi come allora scandali sessuali e moralismo sono gli strumenti tipici usati dal Potere per distrarre la gente dai veri inghippi che affliggono il paese e coprire ogni nefandezza politica. La realtà concreta dell’erotismo estremo non è tenuta affatto in considerazione: temi come il BDSM sono solo un babau da sfoderare per fare impressione sull’ignoranza generale, abituata ad associare una frusta o uno stivale a crimini efferati che nulla hanno a che fare con il nostro ambiente. Persino film come The Notorious Bettie Page o il più accurato Bettie Page: Dark Angel si concentrano più sull’esteriorità fetish che sui contenuti politici di una visione serena della sessualità.
Sui forum dei siti a tema si vedono spesso improbabili chiamate “a difendere i nostri diritti di depravati”, ma credo che la vera questione sia un’altra. Nell’ultimo mezzo secolo, eccettuati alcuni casi anomali, non ci sono state vere aggressioni a chi si diletta col BDSM. Anzi, il sentimento più diffuso è una tolleranza un po’ ironica che può essere ancora più pericolosa, perché non motiva nessuno a fare una vera opera di (contro)informazione. Pensate un po’ cosa succederebbe se tutti fossero coscienti di ciò che chi frequenta siti come questo sa già bene: chi fa BDSM non ha niente di criminale, e in genere prova molto più rispetto per il partner di quanto non accada nelle coppie “normali”. Tanti scandali, tante campagne di discredito non desterebbero più alcun interesse, e forse (solo forse) più gente comincerebbe a concepire quanto meno l’esistenza di alternative allo status quo – che si tratti del classico tran tran quotidiano o di seguire le istruzioni impartite da “Autorità” che di autorevole hanno solo la voce grossa. Mi sembrerebbe eccessivo fare una chiamata alle armi o inventare una rivoluzione, ma pensateci.
Magari (solo magari) non succederebbero più casi come quello giustappunto di Bettie Page – In Bondage!, che prima è stato commissionato da un teatro, e poi rifiutato “per i temi eccessivamente espliciti”. Andatevi a leggere il testo completo, se volete, e valutate voi se quei temi sono tanto più scandalosi di quanto passa ogni giorno in televisione, oppure dalle proposte del teatro contemporaneo. Non se sia uno spettacolo bello o brutto, attenzione, ma solo se sia “eccessivo”. Eppure, tanto è bastato perché la “mia” Bettie non trovasse più opportunità di essere rappresentata. Da un anno in qua, se c’è una compagnia disponibile manca il teatro; se c’è il teatro non ci sono gli attori; eccetera eccetera… ma più spesso “ci spiace, ma noi non siamo interessati a simili oscenità”.
Buffo.
È proprio la stessa cosa che continuavano a ripetere alla vera Bettie Page. Pensateci, sul serio.