Riconosco la mia superficialità: da italiano e bianco non posso dire che le questioni etniche siano una mia preoccupazione particolarmente intensa. Tuttavia ci sono paesi e contesti in cui le difficoltà di integrazione per il colore della pelle sono molto più sentite, e dove si svolgono importanti iniziative culturali per l’armonia multiculturale. Negli Stati Uniti e in Canada, per esempio, febbraio è ilMese della storia nera, e vede susseguirsi innumerevoli manifestazioni in questo senso. È in questo più ampio contesto che l’intelligente sito BDSMThe kink realm sta conducendo per il secondo anno l’iniziativa Kinky black history month – una celebrazione dell’eros estremo in chiave afroamericana. Visitando la pagina ufficiale dell’evento troverete una serie tuttora in crescita di link ad articoli, interviste, approfondimenti sull’attivismo nero sulle sessualità alternative e altri contenuti assortiti.
Poiché non posso vantare una conoscenza particolarmente approfondita della questione eviterò di fare dichiarazioni banali. Tuttavia posso citare gli studi di Staci Newmahr, che nel suo libro Playing on the edge notava come nell’ambiente BDSM le persone di colore siano decisamente poco presenti. È chiaro che ci possano essere molti motivi per questo, alcuni dei quali più intuitivi di altri – ma la ragione “auto-narrativa” sembra essere la più importante, e forse le mie osservazioni dell’ambiente trasgressivo italiano lo possono confermare.
Riassumendo molto: qui in Italia c’è un’altra minoranza che si guarda bene dal mescolarsi con la scena BDSM: quella gay. La ragione è che, in generale, la cultura gay è intensamente focalizzata sull’unico fattore dell’omosessualità, dimenticando tutti gli altri lati della persona per concentrarsi su una fantomatica “diversità”. Chi ne fa parte finisce per lasciarsi definire così completamente da una banale preferenza sessuale da chiudersi completamente a tutto ciò che non sia gay, anche al di fuori della sessualità – persino quando si tratti di mescolarsi ad altre pseudominoranze quali quella di chi pratica BDSM. Il risultato? Un eccezionale successo nell’autoghettizzarsi, diventare “invisibili” alle altre sottoculture, e banalmente nel divertirsi meno degli altri. Tutto ciò, va sottolineato, è una fissazione del tutto locale: infatti non solo la scena BDSM non rifiuta affatto i gay, ma in molte altre nazioni questa suddivisione proprio non esiste.
Tornando all’argomento principale, ho quindi una domanda per i miei lettori. Secondo voi, quanta parte della scarsa visibilità delle persone di colore in ambito BDSM dipende da un vero razzismo, e quanta da un separatismo autoimposto? I commenti sono aperti.