Nota – Questo articolo è stato scritto nel 2000 per la rivista cartacea ClubStories.
L’articolo sui vacuum bed pubblicato nel numero scorso ha suscitato interesse e curiosità, con richieste di chiarimenti da parte di molti lettori. Torniamo allora sull’argomento con nuove informazioni e una bella notizia.
Fulvio mi chiede di scrivere del vacuum bed (o ‘vacuum rack’, o ‘letto ad aspirazione’ per gli autarchici) e la prima cosa che mi viene in mente è come siano cambiati i tempi, per esempio rispetto agli anni ’80 del secolo scorso. Non solo perché allora ero io a telefonargli in cerca di informazioni sul mondo del sadomaso, ma per l’incredibile evoluzione del nostro ambiente.
Solo qualche decennio fa in Italia regnava ancora una gran confusione riguardo tutto ciò che fosse Bdsm e fetish: i “grandi esperti” erano coloro che giravano l’Europa per lavoro e tornavano a casa raccontando di cose incredibili, come fossero stati dei Marco Polo della perversione. «Pensate, in Germania hanno negozi che vendono vestiti stranissimi fatti di una gomma sottile sottile che chiamano latex…» dicevano, e la maggior parte dei nostri connazionali non poteva che rispondere con un «ooooh!» stupito; «Guardate, in Australia ho comprato questi strumenti – questa si chiama stockwhip e questa signal…» e ci stupivamo che potessero esistere diversi tipi di fruste.
Oggi invece abbiamo almeno una festa a tema alla settimana, il karada e le altre figure-base del bondage giapponese sono considerate una banalità e basta andare in spiaggia per vedere più piercing ai capezzoli di quanti ce ne fossero un tempo in “templi” come il Doma Club. Diamine, proprio questo articolo mi è stato chiesto durante una coma suspension – il sollevamento sdraiato di un body artist tramite 20 uncini conficcati nella carne – e tutti i presenti riuscivano a essere abbastanza nonchalant sulla situazione!
Eppure il vacuum bed è ancora una di quelle cose per cui serve “l’esperto di stranezze”; è uno dei pochi misteri Bdsm rimasti, perché anche fra chi lo conosce sono pochi ad averlo provato davvero. Come mai? Una parte dei motivi li ha indicati l’Ingegnere nel suo articolo: è un oggetto ingombrante, costoso (circa 600 euro) e piuttosto difficile da costruirsi da sé. Un’amica che ha tentato l’impresa ha rinunciato dopo due mesi di lavoro: i problemi tecnici superavano il piacere di usare un aggeggio che non perdeva occasione per scollarsi, smontarsi, eccetera.
Ciò che viene ignorato spesso è inoltre che questi strumenti siano a dir poco fragili. Il lattice teso è sempre a rischio di tagli e strappi, le intelaiature in plastica tendono a smontarsi nel momento meno opportuno, e soprattutto le chiusure hanno la pessima abitudine di non tenere bene quanto si vorrebbe. Se a tutto questo aggiungiamo il fastidio di doversi tenere un rumoroso aspirapolvere in funzione a lato della struttura… beh, è più facile vedere l’altro lato della medaglia.
Naturalmente non c’è problema che non abbia soluzione, che in questo caso consiste nel procurarsi un “letto” di alta qualità, eventualmente modificando con le proprie mani un modello più economico. Le caratteristiche ideali sono: struttura rigida (l’ideale sono tubi d’alluminio, ma vanno bene anche quelli di plastica, purché spessa), chiusura doppia (una grossa zip in plastica, su cui si richiude un lembo di latex bloccato a sua volta con un’altra zip o altri sistemi) e valvola monodirezionale.
Quest’ultimo elemento, montato sulla bocchetta cui viene collegato l’aspirapolvere, è un semplice dispositivo che impedisce all’aria di entrare fra i fogli quando viene spento l’apparecchio. In questo modo una volta creato il vuoto si può tranquillamente staccare l’aspiratore e gustarsi il risultato in reverenziale silenzio. La possibilità di avere come colonna sonora un quartetto d’archi anziché un Hoover Pulimatic 4.000 Special cambia completamente la prospettiva – per esempio si può sollevare il vacuum bed e appoggiarlo alla parete come un’opera d’arte con cui decorare una stuzzicante cena a lume di candela.
Già, perché una volta fatta la fatica di plastificare la schiava o lo schiavo di turno in questo modo vale anche la pena di usarli. Per capire quale sia il modo migliore conviene mettersi nei gommosi panni della vittima. La sensazione di trovarsi in un letto ad aspirazione è un po’ diversa da quel che ci si aspetterebbe: inizialmente ci si sente proprio come se si indossasse un completo di latex – con la differenza che non si ha alcuna possibilità di muoversi. Le sensazioni tattili vengono amplificate dalla gomma, mentre l’udito risulta molto attutito e la vista ovviamente annullata. Il gusto, ovviamente, è quello del tubo di respirazione che si tiene in bocca… o di ciò che vi viene versato dentro – purché si abbia l’accortezza di accordarsi su un segnale di avvertimento, altrimenti si rischia che “qualcosa” vada di traverso e di dover tagliare il latex per estrarre urgentemente il sub e permettergli di riprendersi.
Col passare del tempo la pressione uniforme della gomma provoca invece altri effetti. Innanzitutto caldo, visto che non c’è possibilità di respirazione della pelle né di una normale traspirazione. Senza voler essere inutilmente allarmisti, a questo proposito è bene tener d’occhio la sicurezza: con una temperatura esterna di 20 gradi si può tenere una persona nel vacuum bed fra i 15 e 20 minuti, dopodiché sussiste un rischio concreto di colpo di calore, con relativi malori. Più la temperatura aumenta, più breve deve essere il bondage.
Il secondo effetto, sempre legato al modo in cui il corpo rimane premuto da ogni direzione, è la difficoltà di respirazione. In effetti il torace fa davvero più fatica a espandersi, ma il problema è soprattutto psicologico. Unito agli altri stimoli di questo tipo di immobilizzazione può intensificare una claustrofobia magari ignorata da sempre e risultare terrorizzante. Come in tutte le cose, procedendo per piccoli passi e sapendo quel che si fa è facile superare eventuali ostacoli di questo tipo.
Cosa resta allora al povero partner dominante, ridotto come spesso capita al ruolo di mero strumento per gli indecenti piaceri contronatura del cosiddetto sottomesso? A parte gli inevitabili compiti di guardiano, più di quanto non sembri.
Il grande fascino del vacuum bed è il modo in cui trasforma un essere umano in opera d’arte, con tanto di cornice attorno. Anche l’animo meno nobile del mondo rimane estasiato ad ammirare un capolavoro simile, dove latex e sottovuoto contribuiscono a eliminare ogni difetto e a far risaltare la sensualità delle forme. Se però il richiamo dell’estetica non basta restano le possibilità offerte da un’immobilizzazione così assoluta.
In alcune foto si vedono fustigazioni di schiave bloccate nel letto. Sarà, ma a me sembra un ottimo sistema per dover poi rattoppare il lattice con un kit da bicicletta. Il modo migliore per sfruttare la situazione sono probabilmente legate invece alle torture termiche: il freddo di un cubetto di ghiaccio passato sul corpo viene percepito decine di volte più intensamente del normale, mentre un semplice panno caldo, o lo stesso palmo della mano, possono sembrare roventi per chi è rinchiuso nella prigione di gomma.
Dell’opportunità di costringere il soggetto a bere liquidi vari abbiamo già accennato, ma il tubo di respirazione scatenerà sicuramente un sacco di idee agli appassionati di breath control (limitazione del respiro). Il resto del corpo invita altresì molti esperimenti di pizzichi, strette, pressioni da cui la vittima non ha alcuna possibilità di sfuggire.
Ancora: il lattice dei fogli è abbastanza sottile da permettere diaboliche stimolazioni appoggiando un vibratore sopra i punti giusti. Dove sta la parte diabolica? Ma nell’interrompere il gioco un attimo prima dell’orgasmo, naturalmente… Se tuttavia non siete così sadici con il vibratore (o due, meglio se radiocomandati) potete penetrare la schiava prima di rinchiuderla fra i fogli. Chi invece fosse più sadico prima del vacuum bed può imporre un clistere, che sarà ben difficile trattenere fino alla liberazione – e davvero umiliante soprattutto se la cornice viene appoggiata a testa in giù…