Recensione pubblicata originariamente su Legami
Si percepisce, in questo nuovo lavoro di Ayzad, la volontà, da un lato di snellire il corpus di informazioni sul bdsm pur mantenendone la sostanza – e infatti molte informazioni e la maggior parte dei concetti ritornano dai lavori precedenti –, dall’altro di fornire una chiave psicologica al bdsm. Il bdsm è entrato, anche in Italia, a far parte dei temi della psicoterapia. In I love BDSM non si discute della prassi terapeutica ma è evidente in tutti i principali passaggi del libro che uno scambio fecondo tra i vocabolari del bdsm e della pratica psicologica è iniziato e comincia a dare i suoi frutti. L’introduzione di Fabrizio Quattrini, dimostra ancora una volta, se necessario, questa volontà dell’autore.
Abbiamo parlato di scambio fecondo di vocabolari non a caso, perché la linea guida formale del libro è quella di esplorare il bdsm a partire dalle lettere che ne compongono l’acronimo, alle quali si aggiungono, seguendo un’intuizione felice, le altre parole che compongono il titolo del libro. Dal momento che la forma è sostanza, non possiamo non rilevare che questa formula formale fornisce sì una chiave di lettura del bdsm ampiamente comprensibile dal grande pubblico – del resto quello di farsi comprendere dal maggior numero di lettori è lo scopo principale soprattutto della letteratura divulgativa – ma purtroppo sacrifica alcune sfumature, specie in relazione ai comportamenti meno normalizzanti che pure lo sterminato mondo del bdsm contiene al suo interno. Le statistiche che lo stesso Ayzad riporta in I love BDSM, raccontano di percentuali di praticanti altissime; la volontà di normalizzare che attraversa tutto il libro e che in assoluto rappresenta la base ideologica di un certo tipo di letteratura divulgativa – forse la sola possibile? – mette in un angolo la parte di cultura rivoluzionaria che pure il bdsm ha sempre veicolato.
Al di là di quest’ultimo lavoro di Ayzad, forse vale la pena rilevare come si viva in un periodo storico in cui i processi rivoluzionari che riguardano la sessualità e in generale la gestione del corpo si stiano appiattendo su desideri che una volta avremmo chiamato borghesi. In questo senso il tanto – troppo? – citato 50 sfumature rappresenta una summa concettuale ideale: l’evidente psicopatia del protagonista maschile viene sconfitta, ancora meglio, viene repressa, cancellata, sovrastata, dal potere della borghesia, secondo i canoni tipici della borghesia, che rumina contenuti e li ripropone masticabili. Non sappiamo, e non interessa in questa sede, se questa chiave di lettura sia presente tra quelle desiderata o quantomeno contemplate dall’autrice del romanzo, ma resta una possibile chiave di lettura tra le altre, che personalmente non sottovaluterei.
Nonostante sia esplicita, in Ayzad, la volontà di discostarsi il più possibile da 50 sfumature, resta ed è evidente il terreno comune del pubblico borghese. Cos’è quindi I love BDSM? Un tentativo, riuscito peraltro, di parlare al grande pubblico restituendo alle categorie borghesi la loro dimensione domestica? Il libro più conosciuto di Ayzad, ancora oggi, è Guida per esploratori dell’erotismo estremo. Questo I love BDSM sembra suggerire, e non intendiamo con questo inevitabilmente una critica, ma ci limitiamo a constatare la volontà autoriale, che esplorare è ancora divertente, che il bdsm vale la pena di esplorarlo e che il modo migliore di farlo sia nell’ambito delle categorie che riconosciamo come “domestiche”, intendendo non certo le quattro mura di casa ma i valori che in quelle mura si tramandano da classe borghese precedente a classe borghese successiva.
La parentesi politica può sembrare pretestuosa, ma non dobbiamo dimenticare che il corpo, la sessualità, le sessualità cosiddette alternative, sono categorie che con la politica viaggiano almeno da cinquant’anni. Presupporre un universo parallelo in cui il sesso e il bdsm esistano senza collegamenti con le istanze “personali/politiche” – ricordate il celebre slogan femminista? – rende un servizio pessimo alla comprensione della realtà.
Tornando però nello specifico a I love BDSM, ché in fondo lo scopo di queste righe è quello di presentare un libro: abbiamo letto un ottimo memorandum per principianti – ma attenzione! Quel che vale per un principiante, spesso vale ancora anche per i più esperti e nel bdsm questa banale osservazione è, se possibile, più vera che in altri casi -, tranquillizzante come dev’essere un prontuario per principianti. Dei limiti di questa impostazione abbiamo già detto.
Aggiungiamo solo che forse, nel pur meritevole lavoro di Ayzad, un errore concettuale ha reso la lettura meno piacevole e in buona sostanza il libro meno utile: la letteratura divulgativa pone in essere, per sua stessa natura, uno squilibrio tra chi scrive e chi legge – che si stratifica a quello di per sé esistente in letteratura tra scrittore e lettore, già difficilissimo da neutralizzare –, perché chi scrive sta “insegnando”, sta divulgando, è portatore di sapere. Chi legge invece, sfogliando I love BDSM, si aspetta di imparare, cosa che peraltro puntualmente avviene. Il tradimento non si compie qui. Il tradimento nel rapporto tra lettore e scrittore si compie nell’uso dell’ironia. Da chi sta divulgando non si accetta volentieri un tono ironico, non per desiderio di seriosità, dio ce ne scampi, ma per rispetto del ruolo stesso del divulgatore. Nella letteratura divulgativa l’ironia fa presto a prendere le sembianze dell’arroganza, della superiorità, l’autore corre il rischio di sembrare saccente. Non crediamo che questo fosse il desiderio dell’autore, e va detto che in molti passaggi questo rischio viene evitato con abilità. In alcuni altri, purtroppo, no.
Infine, ci fa piacere sottolineare come tutto il libro sia attraversato da una serie di norme comportamentali e di concetti che sembrano solo teorici ma che sono soprattutto concreti, addirittura reali. L’idea di suggerire al lettore comportamenti che attengono più alla vita di relazione che strettamente al bdsm e collegarli però dunque alle pratiche bdsm è l’intuizione che pur rimanendo nell’alveo delle categorie borghesi, riesce a evadere e a proporre un modello di gestione della sessualità adulto, consapevole, moderno, fuori dai limiti borghesi di cui tutto il libro è impregnato. In questo modo viene recuperata, quantomeno in parte, quella portata rivoluzionaria del bdsm, capace di proporre comportamenti nuovi, laterali o trasversali ai modelli di conduzione della vita sessuale e soprattutto della gestione delle relazioni con sé stessi e con gli altri.
In quest’ottica I love BDSM rivela tutto il suo potenziale e anzi, il lettore, chiederebbe altre pagine. In questa stessa ottica emergono anche gli scambi con la pratica psicologica di cui si accennava all’inizio di questa breve presentazione. Si tratta senza dubbio dell’idea migliore e della parte più interessante del libro, portatrice peraltro di nuovi interessanti sviluppi.
I limiti del libro sono evidenti, e ne abbiamo parlato. Pure però, siamo di fronte a un libro agile in cui si trova lo spazio per parlare degli aspetti terapeutici del bdsm, della capacità del bdsm di stimolare la meditazione, delle potenzialità del bdsm inteso come strumento utile alla conoscenza di sé e dell’altro, dell’importanza dell’equilibrio psicofisico personale e dell’importanza dell’equilibrio nelle relazioni. Ayzad dedica a questi temi moltissimo spazio, facendoli saltare da una pagina all’altra e dimostrando di avere chiara una visione, vorremmo definire olistica, del bdsm. Se a questo approccio si fosse accompagnata una visione teorica e metodologica conseguente, avremmo parlato di un altro lavoro, almeno riferendoci alla realtà italiana.
Proprio in riferimento alla realtà italiana, un’ultima annotazione: ci dispiace constatare una certa immotivata avversione verso il lavoro che la comunità italiana porta avanti, pur tra mille distinguo e con i limiti che qui non si vogliono oscurare, ma che non trattiamo solo per amore di brevità. Nessuno è perfetto, parafrasando Billy Wilder, ma il colpo di spugna che viene fatto su tutto il lavoro lo troviamo ingeneroso. Non sappiamo quanto questa sia stata l’intenzione dell’autore, ma rileviamo che il risultato sarebbe potuto essere migliore, soprattutto alla luce di un’espansione delle pratiche bdsm in Italia. Ci limitiamo ad osservare che si farà il triplo della fatica chiudendo gli occhi su quanto succede qui.
In conclusione: I love BDSM promette dunque più di quel che mantiene, ma quello che promette è molto interessante. Sembra che fidarsi delle promesse non sia più di moda, ma dove, ci chiediamo, se non nel bdsm, è necessario fidarsi?
Maggio