Il sito XOJane ha pubblicato un bellissimo articolo di Charlotte Laws, l’ex investigatrice privata statunitense della foto qui sopra, che racconta i retroscena della crociata tuttora in corso contro il fenomeno del revenge porn (in inglese: ‘pornografia vendicativa’). Questo termine indica i purtroppo numerosi siti che pubblicano immagini nude o imbarazzanti di donne inconsapevoli, le cui fotografie erano rimaste in possesso di ex furenti con loro e desiderosi di umiliarle di fronte a tutti. Almeno in teoria, perché la realtà è piuttosto diversa.
Come spiega la Laws, che è divenuta la più importante promotrice del movimento contro il revenge porn quando sua figlia è finita sul più grande sito del genere, molte foto vengono in realtà rubate da hacker specializzati nell’entrare nei computer di vittime scelte a caso; altre sono elaborazioni in cui volti presi dai social network vengono appiccicati su foto porno professionali; altre ancora sono immagini inviate spontaneamente da ragazze esibizioniste. Quelle spedite davvero da fidanzati arrabbiati sono pochissime, ma in ogni caso la sostanza non cambia. I siti specializzati non si limitano a pubblicare le fotografie senza autorizzazione, ma violano ulteriormente la privacy delle donne raccogliendo i dati personali delle persone ritratte e rendendoli pubblici a fianco delle foto. E non è ancora finita.
Come se queste azioni criminali non bastassero, i webmaster rincarano la dose con insulti gratuiti e invitano il pubblico a perseguitare personalmente le persone raffigurate. Forniscono per esempio i recapiti di famiglie e datori di lavoro («chiamate e dite che è una troia, che devono licenziarla e toglierle l’affidamento dei figli!»), così come gli indirizzi di casa per stalkarle meglio. E gli imbecilli che frequentano quei siti lo fanno davvero, distruggendo le vite di persone innocenti. Alcune di loro sono arrivate a suicidarsi, comprese delle minorenni.
Leggere l’articolo della Laws è scioccante non solo per questo ma anche per il tipo di reazione che ha raccolto dalle forze dell’ordine. La polizia ha sostanzialmente ignorato il caso suggerendo che le ragazze “se la siano cercata”; l’FBI ha lavorato sul grande dossier realizzato dalla donna stessa, poiché i suoi agenti non erano stati in grado di raccogliere dati su vittime e colpevoli; l’avvocato di Hunter Moore – il webmaster del sito in questione – le ha riso in faccia, mentre Moore stesso ha risposto a ogni richiesta di dialogo con insulti, minacce e dichiarando che «tanto nessuna di quelle mignotte spenderà mai i 65.000 dollari minimi richiesti per una causa che non farebbe altro che sputtanarle ancora di più». Fortunatamente dopo anni di sforzi i Laws (il marito è un avvocato) sono riusciti grazie anche all’aiuto degli hacker di Anonymous non solo a far rimuovere le foto della figlia ma anche a far chiudere il sito di Moore, e soprattutto a far passare una legge che vieti almeno in parte il revenge porn. Ma la storia non finisce qui.
Mettiamo un attimo da parte gli aspetti legali di una situazione che permette a un delinquente qualunque di devastare impunemente le vite di sconosciuti. Una delle cose che mi ha scioccato nella vicenda della Laws è stata la descrizione di alcune foto incriminate: «si vedeva un intero capezzolo», «i seni avvolti da bende insanguinate in una foto forense scattata dal medico di un pronto soccorso alla vittima di un incidente», «gli autoscatti in costume da bagno di due signore che stavano documentando i progressi della loro dieta». Fermi un attimo… Siamo quasi nel 2014, il Web è pieno di vera pornografia, e questo è il genere di roba che fa sbroccare la gente?
Non mi riferisco solo ai soggetti delle foto in questione: certo che sono traumatizzate nel ritrovarsi involontariamente esposte online. Lo sareste anche voi se foste al loro posto. Ma che aveva in testa il proprietario del sito? Pensava davvero che quelle immagini fossero così “sexy” da giustificare il rischio di compiere un crimine federale? E i suoi utenti, poi, perché hanno partecipato a un’aggressione così idiota? Ci sono davvero persone così tanto frustrate e imbecilli, là fuori?
La risposta naturalmente è sì. La nostra cultura sociale – o meglio la sua mancanza – alimenta davvero una tale ignoranza e paura della sessualità che maschi di tutte le età si sentono giustificati a vomitare odio su una sconosciuta semplicemente perché ha un corpo. Nominate un capezzolo, e diventeranno delle belve senza alcuna ragione plausibile, arrivando perfino a invitare le suddette sconosciute a suicidarsi.
D’accordo, questo genere di reazione sarebbe letteralmente inconcepibile al di fuori degli Stati Uniti e, al massimo, di qualche nazione islamica estremista con lo stesso livello di bigottismo e misoginia patologica. Tuttavia anche se stiamo parlando di una triste minoranza su scala globale, tutto questo pasticcio è l’ennesimo esempio dei pericoli che derivano dalla separazione culturale fra “vita normale” e sessualità. Alla luce di certe tragedie, siamo proprio sicuri che valga davvero la pena continuare ad alimentare questa follia?