Il nefando giorno di San Valentino è tornato a incombere con il suo meschino sfruttamento commerciale del più nobile dei sentimenti e con l’umiliazione istituzionalizzata delle persone sole. Nel caso non appassionasse nemmeno voi, potrebbe interessarvi scoprire le origini decisamente zozze di questa celebrazione.
La festa di San Valentino così come la conosciamo oggi è un’invenzione cristiana del 496, quando papa Gelasio I pensò bene che l’anniversario della lapidazione e decapitazione del vescovo di Terni avvenuta nel 273 fosse un perfetto simbolo di amore romantico. A sua discolpa va ammesso che il decreto con cui venne istituita la festività non nominava affatto il santo: le varie leggende sui presunti “miracoli d’amore” attribuiti a Valentino si sono diffuse solo secoli dopo. Il 14 febbraio in origine era solo la celebrazione della fertilità e della purezza di Maria – con molta enfasi sul secondo aspetto.
Il motivo dell’editto papale fu in effetti dare un taglio all’ultimo rito pagano rimasto a Roma: i lupercalia. Questi erano un evento annuale nato nel IV secolo a.C. per venerare e placare Fauno Luperco, il dio primordiale dei lupi. Di media, nel Lazio il 15 febbraio è infatti il giorno più freddo dell’anno e quello in cui era più probabile che le belve affamate scendessero verso i villaggi a nutrirsi delle pecore, capre (e dei figli) dei contadini: avere Luperco dalla propria parte dava una speranza che potessero sopravvivere un altro anno.
Trattandosi però di una delle molte manifestazioni di Fauno, tuttavia, questa era anche la divinità del sesso della fertilità – che è anche appropriato, considerato che nella seconda metà di febbraio comincia la stagione degli accoppiamenti per gli uccelli e si vedono i primi timidi segni di fioritura. E come si onora un dio della fertilità? Esatto.
Qui comincia la parte sconcia che di solito viene omessa dai libri di storia. Secondo Ovidio i lupercali nacquero durante un periodo di prolungata frigidità delle prime donne di Roma. Quando i cittadini si riunirono a pregare la dea Giunone in cerca di una soluzione, questa rispose che per tornare fertili le donne sarebbero dovute essere penetrate da un caprone sacro. Un augure assai diplomatico si affrettò però a spiegare che il vero significato fosse di sacrificare una capra, tagliarne la pelle a strisce, usarle per farne una frusta e fustigare le donne sulla schiena. Come no.
Dee dislessiche a parte, alla fine il rito prese la forma di un certo numero di uomini “posseduti” col volto coperto di sangue e terra, che correvano attorno al colle Palatino impugnando scudisci ancora sanguinanti. Le donne «offrivano loro il ventre» (spoiler: non stiamo parlando di ombelichi) con grande gioia perché venisse frustato e benedetto con una gravidanza divina – benché successivamente si limitassero a farsi colpire sul dorso delle mani. In ogni caso, come potete constatare dalla foto di una ricostruzione moderna che vedete qui sopra, la cosa non aveva un’aria particolarmente cristiana; da qui la decisione del papa di sostituirla con una manifestazione un po’ più soft.
La lezione è finita: ora andate pure a comprare i vostri cioccolatini a forma di cuore.