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Arte, genitali in 3D e censura in Giappone

Se vi chiedessi quale sia il popolo più maiale al mondo è molto probabile che vi possano venire subito in mente i giapponesi (i tedeschi sono altrettanto zozzi, ma tendono a essere più discreti nelle loro cose). Dopotutto il Giappone è quel posto in cui più o meno tutte le ragazze girano video porno e dove qualsiasi cosa viene trasformata in un feticcio; il luogo dove sono stati inventati i distributori automatici di mutandine usate e le vittime virtuali per stupri.
Il Giappone tuttavia è anche uno dei paesi più schizofrenici in tema di pornografia, censura ed educazione sessuale. Benché i manga per pedofili siano considerati perfettamente accettabili, i video per adulti devono essere invece censurati elettronicamente nascondendo i genitali dietro un assurdo effetto mosaico. Ciò ha diverse implicazioni sociali interessanti, fra cui l’esistenza di un’industria sotterranea di improbabili “macchinari decensurizzanti”, una guerra feroce a chi produce porno normalissimi, e una agghiacciante ignoranza dell’ABC del sesso – specie fra la popolazione femminile.

Megumi Higarashi, un’artista visuale quarantaduenne, attorno a questo paradosso ha costruito un’intera carriera.  «Non avevo mai visto un’altra vagina» spiega. «Mentre il pene viene rappresentato spesso, anche in modi simpatico, per i genitali femminili è diverso. Figuratevi che non sapevo nemmeno che aspetto dovrebbe avere una vagina normale, così ho sviluppato gran complessi riguardo la mia, che pensavo fosse strana. Nonostante la vagina sia solo una parte del corpo come le altre, culturalmente è stata tenuta così nascosta da rendere anche il solo pensarla osceno, un vero tabù. I mass media giapponesi si rifiutano persino di menzionare il mio nome d’arte di Deco-Man, perché quel ‘man’ deriva dalla radice giapponese di ‘manko’, che significa ‘fica’!».
La sua reazione è stata quindi creare un gran numero di opere d’arte finanziate via crowdfunding e basate sulla riproduzione dei suoi stessi genitali: cover per cellular, automobiline radiocomandate, una lampada, un diorama e molto altro – tutti con la forma della sua vagina. Il suo capolavoro è una “pussy boat” giallo banana che consiste di un kayak con il pozzetto modellato come una riproduzione lunga due metri delle sue labbra vaginali.

La settimana scorsa la Higarashi ha avuto un’altra idea per rendere il tema dell’anatomia femminile un argomento di discorso pubblico. Ha preso i file delle scansioni 3D dei propri genitali e li ha messi online a disposizione di chiunque voglia utilizzarli per realizzarne mashup artistici – o almeno spera. Questo semplice gesto si è tramutato però in una catastrofe, perché la donna è stata immediatamente arrestata con l’accusa di avere distribuito elettronicamente materiale osceno.
Non si prospetta un futuro molto brillante per l’artista, che ha ricusato l’imputazione dichiarando che quel materiale non è affatto osceno, ma che dovrà affrontare una lunga permanenza nel durissimo mondo carcerario giapponese. Il lato positivo della questione è però che la notizia dell’arresto si è diffusa in tutto il mondo così come in patria, e alla fine la gente sta davvero parlando dell’argomento tabù. Missione compiuta?

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