Questo articolo è stato scritto originariamente per la rivista Psicologia Contemporanea
Il sesso non ha bisogno di strane parafilie per essere “insolito”: a volte basta averne una visione fuori dal comune
Con i suoi simboli, disagi, metafore e potenti archetipi, la sessualità gioca un ruolo centrale ben noto nella psicologia dell’individuo. È ragionevole quindi che anche la pratica si concentri su questo aspetto, spesso a discapito dell’approcio sociale che studia come l’ambiente nel quale si è immersi contribuisca notevolmente a plasmare le nostre convinzioni e idee sul sesso. Vi è tuttavia un ulteriore lato della questione, forse ancor più negletto benché di importanza critica: il modo in cui la visione personale della sessualità impatta sulla società stessa, plasmandola con conseguenze profonde per il benessere tanto collettivo quanto individuale.
Si tratta di una dinamica circolare in cui i media (e chi li controlla) rappresentano il fulcro, che permette di formare le nostre opinioni e le rilancia su larga scala. Esaminiamone per esempio gli effetti su una bambina di oggi basandoci su dati obiettivi spogliati di interpretazioni partigiane.
- Poiché solo il 15% delle scuole nel mondo ha un programma di educazione alla sessualità e in Italia pressoché nessun genitore parla realisticamente di sesso e affettività con i figli, la sua unica formazione deriverà dalla pornografia, cui sarà esposta fra i 9 e gli 11 anni online, probabilmente su smartphone.
- Riceverà il primo messaggio esplicito a 12 anni. Col tempo le sembrerà normale, perché nel 7,1% dei casi la cosa si evolverà in vero e proprio stalking prima che compia 17 anni. Queste persecuzioni crescendo colpiscono ben il 16,1% delle donne.
- Il primo rapporto sessuale completo avverrà attorno ai 15 anni con un ragazzo di tre o quattro anni più grande. Poiché entrambi non avranno ricevuto alcuna formazione realistica a riguardo, più che dimostrarsi affetto lo vivranno come una performance atletica e di “superamento dei limiti”, proprio come nei video porno di cui saranno ormai esperti.
- Nel 56% dei casi non avrà un’idea chiara di come siano fatti e funzionino i suoi stessi genitali nemmeno in età adulta. Anche per questo, come 6,6 sue connazionali su 10, penserà che durante i rapporti sessuali sia normale provare dolore.
- La sua possibilità di ricevere informazioni sufficienti sulla contraccezione saranno solo del 9%. Una sua esperienza sessuale su cinque avverrà senza anticoncezionali e nell’85% dei casi senza alcuna protezione da potenziali malattie a trasmissione sessuale.
- Come femmina rischierà costantemente di subire molestie o violenza sessuale. Le probabilità sono del 10,6% prima dei 16 anni, dopodiché aumentano al 27%. Nel corso della vita avrà un 21% di probabilità di essere costretta a compiere atti sessuali contro la sua volontà, nel 62,7% dei casi dal partner o da un ex, che il 40% delle volte le causerà ferite. Dovesse ricadere in queste percentuali, sarà così spaventata e sfiduciata da denunciare la cosa solo nel 7% dei casi, rendendo molto difficile misurare e contrastare le violenze
- E fuori dalla sfera sessuale? Durante la scuola metà delle studentesse è vittima di bullismo, che nel 9,1% dei casi si ripete con cadenza settimanale. Sul lavoro invece guadagnerà il 18% in meno di un coetaneo maschio con identiche mansioni, e avrà solo il 27% di possibilità di raggiungere un ruolo di potere economico o politico.
Tutti questi orrori hanno controparti altrettanto tremende per i maschi, costo sociale incalcolabile e sono tutt’altro che inevitabili. Sarebbe sufficiente un’educazione alla sessualità consapevole, che trascenda il semplice aspetto funzional-riproduttivo per trattare anche concetti quali l’accettazione di sé, l’uguaglianza di genere o il rispetto fra partner. Esempi virtuosi quali il programma scolastico integrato dei Paesi Bassi dimostrano concretamente l’efficacia di tale approccio, eppure molte nazioni soffrono della convinzione ottocentesca che qualsiasi disastro sia preferibile all’imbarazzo (del tutto immaginario) di trattare il sesso come un argomento di cui si possa parlare normalmente. Ci sono, ovviamente, ostacoli politici e ingerenze religiose; c’è l’ottusità burocratica di usare come parametri di valutazione dei programmi solo l’età media del primo rapporto e la diffusione di malattie a trasmissione sessuale; c’è la necessità di adattare i programmi alle microculture locali.
C’è però soprattutto la necessità di formare i formatori stessi e i professionisti come i terapeuti, eredi dello stesso bias istituzionale che vede la sessuologia principalmente nel suo aspetto medicalizzato di “soluzione di problemi”, impedendo di considerarne le implicazioni sociali. In mancanza di un curriculum cui fare riferimento l’impresa è ardua – ma solo se ci si limita ai canali tradizionali.
L’immensa distanza fra il sesso “ufficiale” e la realtà contemporanea si nota infatti anche nell’impermeabilità di ricercatori e legislatori alle soluzioni sviluppate in contesti meno ufficiali. Da decenni esistono ormai infatti numerose proposte di educazione alla sessualità consapevole nate in ambito privato – per esempio: Make love not porn, per combattere la tendenza a considerare la fiction pornografica un modello relazionale – e controculturale. In quest’ultimo ambito, basti pensare all’impegno della comunità LGBTQ contro la discriminazione delle diversità, o a quello del mondo BDSM per diffondere strumenti efficaci quali le safeword e il principio dell’SSC – Sano, sicuro e consensuale. Benché i risultati positivi di tali sforzi siano accessibili molto facilmente e offrano casi di studio pluriennali, con migliaia di soggetti assolutamente aperti alla collaborazione, tali risorse giacciono pressoché ignorate a livello istituzionale. Iniziative di successo quali la AltSex NYC Conference curata dal Dott. Michael Aaron o il progetto internazionale It gets better per il supporto psicologico dei giovani con sessualità non normative restano rare eccezioni in un panorama desolante, ma che ci riguarda tutti.
Ciò non significa tuttavia che i frutti del lavoro del movimento sex-positive globale non siano a portata di mano per chi voglia avvicinarsi a un diverso approccio alla sessualità: non fardello da gestire, ma gioiosa occasione di crescita personale e sociale. I principi generali sono raccolti online nel Manifesto degli esploratori sessuali, mentre la formazione è prevalentemente tramite risorse in lingua inglese, come i corsi della NCSF, la certificazione Pink Therapy, o il programma Kink Knowledgeable. L’Italia sta recuperando terreno con docenti specializzati quali il Dott. Fabrizio Quattrini, le attività dell’Istituto di Evoluzione Sessuale di Milano o i corsi del Centro Il Ponte di Firenze.