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Uno dei fenomeni più curiosi che si incontrano studiando la storia delle sessualità insolite è quello delle utopie erotiche. Ogni tanto le circostanze permettono a qualche persona particolarmente intraprendente di portare le proprie fantasie oltre i confini della camera da letto e, soprattutto, dei ritagli di tempo concessi dagli impegni quotidiani; con grandissimo impegno raccoglie simpatizzanti, individui con desideri analoghi, e con loro costruisce gruppi sempre più ampi che a volte si trasformano in vere e proprie comunità. Non nel senso corrente e un po’ riduttivo di condividere interessi principalmente su Internet, ma proprio di luoghi fisici interamente dedicati a quelle fantasie erotiche.
Pensando solo all’ultimo secolo mi vengono in mente gli esempi della tragica “anarchia pansessuale” della Repubblica di Weimar, il resort per travestiti Casa Susanna negli Stati Uniti di inizio anni ’60, la comune edonista e poliamorosa della Lafayette Morehouse attiva da oltre cinquant’anni, l’imperscrutabile fallimento dell’Other World Kingdom, micronazione ginarchica in Repubblica Ceca – o molto più in piccolo l’iniziativa volontaria di campeggio leather SISC in Danimarca. Nella maggior parte dei casi si tratta di esperimenti che nascono e muoiono in un battibaleno, o di mezzi tentativi di truffa ai danni di appassionati innamorati di un’idea. A volte spuntano però storie talmente bizzarre da far intuire qualcosa di molto più complesso all’opera – meccanismi affascinanti che possono forse insegnarci qualcosa di importante. È il caso davvero incredibile della misteriosa e proteiforme accademia di St. Bride’s.
La storia di questa organizzazione è particolarmente complicata, anche perché i suoi stessi membri si sono impegnati per almeno trent’anni a confonderne le tracce cambiando di continuo identità e versioni dei fatti. Quel che segue è la migliore ricostruzione che sono riuscito a farne nonostante l’enorme quantità di falsi indizi disseminati nel corso dei decenni.
La sorellanza delle sculacciate
Tutto comincia nel 1971 con un gruppo di cultura e lotta sociale lesbico fondato nell’ambito dell’università di Oxford. Qui le cose prendono subito una strana deriva con l’invenzione di un “antico culto” matriarcale inneggiante a Lux Madriana, dea dai diecimila nomi. Nel vortice di scismi, sottogruppi, filoni e frange che caratterizza ogni sottocultura emerge poi l’universo letterario di Aristasia, una sorta di mondo fantasy che ricorda un equivalente femminile dei deliri goreani. Le sue seguaci si dichiarano disgustate dalla degenerazione morale dell’epoca di ‘sesso, droga e rock ‘n’ roll’ e sognano di portare nel mondo reale il loro curioso miscuglio di istanze femministe e ideali patriarcali. Questa sottocultura continua a produrre un’enorme quantità di materiale fino al cambio di millennio costruendo perfino una “ambasciata virtuale” in Second Life, oggi abbandonata come i siti ufficiali di Aristasia.
Nel 1982 alcuni membri del gruppo originale ricompaiono a Burtonport, nell’Irlanda nordoccidentale, sotto il nome di Sorellanza Argentea. Sono solo sette persone (fra cui un uomo) che vivono in un edificio decrepito in cui aveva già avuto sede una comune hippy. Si presentano come una sorta di comunità amish all’europea: rifiutano ogni forma di modernità e di ostentazione, parlano un improbabile inglese arcaico e per sopravvivere gestiscono una sala da tè che pare uscita dal medioevo. Fra di esse ci sono anche due signore alquanto particolari: la prima userà negli anni almeno cinque differenti pseudonimi, il più frequente dei quali è miss Marianne Martindale; l’altra si fa chiamare Priscilla Langridge, ed è un uomo transgender che si presenterà per tre decenni sempre con il volto celato da velette, ventagli e altri accorgimenti per non rivelare la propria identità originale. Martindale è molto intraprendente, tanto da divenire la leader di fatto del gruppo e causare l’ennesima scissione: le seguaci più interessate agli aspetti spirituali infatti fuggono per fondare le Figlie dell’Armonia Splendente, scandalizzate dall’ossessione della donna per la disciplina corporale e l’autorità. Miss Martindale dichiara infatti che «la semplice verità è che in ogni gruppo ci sono capi e sudditi: c’è chi ama dire agli altri cosa fare e chi ama ricevere ordini» – ordini che se non vengono ubbiditi scatenano dure punizioni a suon di bacchettate sul sedere.

Miss Marianne Martindale
Nel 1984 sul cancello della magione di Burtonport compare un cartello. ‘St. Bride’s’, traducibile in ‘Accademia di Santa Brigida’ si descrive come un resort in cui ragazze adulte di ogni sesso vengono tramutate in studentesse modello. La direttrice è naturalmente miss Martindale, che adesso veste solo costumi vittoriani con cui va anche a fare la spesa in paese a bordo di un’auto rigorosamente antica. Per 120 sterline alla settimana si può vivere come in un severissimo collegio del passato, fra lezioni di calligrafia e portamento… nonché frequentissime sculacciate e fustigazioni per correggere ogni minima mancanza. Ancora una volta i metodi del “consiglio scolastico” non sono graditi proprio a tutti: a un certo punto la Martindale viene addirittura processata e condannata per aggressione a scopo di libidine con il solito cane, vera icona della celeberrima disciplina britannica. Pare che la sentenza venga sospesa per l’intercessione di un importante politico di Londra, che supporta anche la sua campagna contro l’adozione del “barbarico” sistema metrico decimale.
L’aspetto erotico dell’accademia del resto è un segreto di Pulcinella. Le scolarette disposte a pagare per farsi bacchettare in un contesto così poco gioioso sono poche, e oltre alla vendita di costumi vittoriani la principale fonte di reddito deriva dalla casa editrice interna The Wildfire Club, che stampa libri e fanzine lesbiche scritti dall’instancabile direttrice sotto un ventaglio infinito di nomi d’arte. Benché la situazione sia così morbosa da attrarre l’attenzione dei giornalisti di tutto il mondo, l’impresa sarebbe destinata a fallire rapidamente se non per un particolare ancora più assurdo della filosofia per cui «in natura ci sono due generi. Sono entrambi femminili, ma le brune sono dominanti e le bionde sottomesse».
Nonostante la scuola viva in un’ucronia in cui le stanze sono illuminate solo da candele «perché l’elettricità è solo una fanfaronata da baraccone», Priscilla Langridge usa il marchio di St. Bride’s anche per firmare i videogame che scrive completamente da sola. Si tratta di giochi d’avventura testuali piuttosto originali e ben scritti, tutti caratterizzati da protagoniste femminili particolarmente forti e indipendenti. La sua creazione più famosa è probabilmente Jack the Ripper, che l’ufficio marketing dell’editore riesce a far passare alla storia come primo videogame inglese vietato ai minori di 18 anni: dovrebbe essere un’indagine per scoprire l’identità di Jack lo Squartatore, ma poco dopo l’inizio la storia devia verso trame massoniche e occultiste, in cui il giocatore usa come arma ‘la sua più pura anima femminile’. Il titolo veramente interessante è però un altro.
Secret of St. Bride’s (che oggi si può giocare gratis online) è ambientato proprio nelle stanze dell’accademia irlandese. C’è una protagonista magicamente trasportata indietro nel tempo, ci sono brani di pseudofilosofia matriarcale, ci sono le bacchettate, e c’è soprattutto una pubblicità quantomeno discutibile. Raffigura un’adolescente in posa piuttosto allusiva, con reggicalze a vista sotto la gonna da studentessa e l’intimo coperto solo da una caviglia in posizione tattica. L’intestazione fa riferimento alle vignette dark di St. Trinian’s, una sorta di risposta inglese alla Famiglia Addams ambientata in un collegio femminile in cui sia le insegnanti che le studentesse coltivano ogni genere di immoralità e crudeltà. Tutto il punto è che il gioco viene venduto solo per corrispondenza, e il meccanismo consente di raccogliere nomi e indirizzi di potenziali clienti per la vera scuola.
L’idea regge solo per qualche tempo. L’eccesso di attenzioni morbose nel 1988 porta Martindale e compagne a reinventarsi temporaneamente come ‘Vittoriane romantiche’, che si autodescrivono più come appassionate di cosplay estremo che come lesbiche BDSM. Anzi, nelle sue frequenti comparse mediatiche la donna si impegna a sottolineare proprio il totale rifiuto per «quegli sciocchini dei sadomasochisti» – e forse anche per questo l’avventura irlandese va definitivamente a gambe all’aria. La donna va a vivere a Oxford e poi a Londra, aggiorna il suo universo personale al 1940 circa e permette per la prima volta a una troupe televisiva di riprendere nei dettagli come si svolga la sua vita privata (il documentario si trova anche online, diviso in tre parti: 1, 2, 3), mentre la casa di Burtonport resta abbandonata.
Quando il locatore va finalmente a controllare la proprietà, oltre agli archivi delle pubblicazioni “oscene” del Wildfire Club trova una gran quantità di posta non ritirata, fra cui numerose comunicazioni da parte di organizzazioni neofasciste. I giornali fiutano una storia interessante e, per la prima volta in tre decadi, si accorgono che i testi di Martindale e Langridge in effetti avevano sempre contenuto riferimenti piuttosto espliciti a ideologie estremiste e alle peggiori interpretazioni di René Guénon. Queste inclinazioni di miss Martindale sono malviste anche dall’ambiente BDSM, che la respinge anche nella sua nuova identità di dominatrice tout court. Così la signora cerca fortuna oltreoceano: nel 2013 ricompare in California come Mary Guillermin, vedova del regista di King Kong (1976) e ‘terapeuta del femminile divino’. Le mie richieste di un’intervista per chiarire alcuni lati della ricostruzione non hanno ricevuto risposta.
Sì, ma…
Fin qui una vicenda tanto complicata costituisce solo una simpatica curiosità da condividere con gli amici (fatelo, a proposito!). Ciò che è più interessante tuttavia è farsi l’unica domanda possibile: «perché?». Cos’è che spinge a dedicare l’intera vita a un progetto tanto assurdo? Come è possibile dannarsi l’esistenza e la reputazione in nome di qualcosa che porta evidentemente più disagi che vantaggi? E perché tanto mistero attorno a quello che apparentemente non è mai stato altro che un gioco erotico che migliaia di altre persone sanno vivere con molta più sincerità?
Trovare una risposta valida per tutti è naturalmente impossibile, anche se studiando i casi più noti si ritrovano alcuni elementi più ricorrenti di altri. Una passione per l’erotismo sicuramente più intensa del normale, certo. Ma anche insofferenza verso l’autorità e le regole sociali, creatività, individualismo, orrore per il conformismo e l’omologazione, spirito imprenditoriale, infanzia per lo più infelice. Che poi sono i tratti che ho incontrato personalmente nel corso della realizzazione di La Padrona, la biografia della prima dominatrice professionista in Italia, in cui emergono tutta la tragedia e lo splendore di una fantasia sessuale totalizzante. In quel caso si trattava del bisogno di incarnare il proprio personaggio ideale; in altri entrano in gioco anche altri elementi che non possono venire sottovalutati.
St. Bride’s in particolare è stato il frutto di un momento storico molto diverso da quello che stiamo vivendo oggi. Nonostante la rivoluzione sessuale del ’68, dichiararsi lesbiche comportava ancora conseguenze sociali inaccettabili per la maggior parte delle persone, pertanto nascondersi dietro a fumose teorie filosofico-letterarie costituiva un’ottima strategia con cui giustificare certi interessi davanti ai benpensanti. Anche una figura apparentemente codarda come Priscilla Langridge assume tutto un altro senso quando si ricorda che al tempo delle sue prime comparse pubbliche l’omosessualità e il travestismo fossero ancora crimini per cui si poteva facilmente finire in prigione o internati in istituto psichiatrico. Se foste stati al suo posto o in quello della Martindale non avreste anche voi fatto l’impossibile pur di creare un luogo in cui poter essere finalmente voi stessi senza dover nascondere ciò che più vi entusiasma al mondo?
Sull’accademia per studentesse discole grava poi l’ombra pesantissima del vecchio sistema scolastico britannico, in cui fino al 1986 (e fino al 2003 in certe zone) le bacchettate di fronte a tutta la classe erano state la norma per ogni adolescente. Quel misto di archetipi, dolore, umiliazione, sottomissione all’autorità e imbarazzo si è inevitabilmente intromesso nelle fantasie erotiche di infiniti studenti in pieno subbuglio ormonale, spesso tenuti fra l’altro in classi separate che complicavano ulteriormente eventuali dubbi di orientamento sessuale. Non a caso le dominatrici professioniste specializzate in quello che veniva appunto definito ‘vizio inglese’ erano sempre esistite e facevano pagare care le loro bacchettate – ma i loro servizi erano in genere riservati a clienti maschi, come minimo per disponibilità economica. L’ipotesi di un luogo a misura di donna diveniva allora molto attraente per chi sentisse il desiderio profondo di rivivere le sensazioni dell’adolescenza – a volte per esorcizzarne il trauma, ma più spesso per soddisfare un feticismo inculcato col più crudele addestramento pavloviano.
Che si tratti di un semplice gay village o di complicati esperimenti plurigenerazionali, le utopie sessuali forse sono davvero solo questo: tentativi di costruirsi luoghi sicuri nei quali poter dare rifugio ad altre persone ferite troppo a fondo per fingere di poter ancora sopportare la violenza della normalità, e in cui riparare insieme i danni inflitti da una società terribilmente ipocrita. Con incoscienza, certo, ma anche coraggio e – soprattutto – con l’indistruttibile ottimismo di chi è convinto che impegnandosi si possa realizzare qualsiasi sogno.