Questo articolo è stato scritto originariamente per la rivista Psicologia Contemporanea
La scelta è semplicissima: continuare a soffrire (e far soffrire), oppure prendere esempio da una sottocultura erotica in forte crescita
Uno degli infiniti aforismi che hanno conquistato a François de La Rochefoucauld il titolo di persona più citata sulla Settimana enigmistica recita: «Nella gelosia c’è più amore per sé stessi che amore» – e non ha torto. A ben guardare, quest’emozione si fonda infatti sulla convinzione romantica di poter dare al partner ogni piacere che possa mai desiderare, ignorando un paio di fatti indiscutibili. Il primo è l’impossibilità di coltivare e impersonare tutte le caratteristiche – a volte perfino antitetiche – di cui possa avere bisogno una persona nell’arco della vita di coppia. L’altro è che il romanticismo è, etimologicamente e strutturalmente, l’esaltazione di scenari impossibilmente più grandi e intensi della vita vera; «come in un romanzo», appunto. Solo che nel mondo reale quel tipo di Grande Amore tanto idealizzato si chiama ‘codipendenza’ o ‘delirio a due’, e di norma conviene scapparne a gambe levate.
Torniamo quindi con i piedi per terra e consideriamo come la vera origine della gelosia sia il convincimento irrazionale di detenere un diritto esclusivo sulle attenzioni e l’affetto di un’altra persona – diritto che peraltro si scontra con il diffusissimo desiderio di concedersi invece flirt e avventure con altri partner. La causa può nascere dalla consapevolezza di avere investito molto nel rapporto e quindi di meritare fedeltà, ma ancora: di che tipo di investimento stiamo parlando? Scavando un po’, spesso si scopre che il riferimento è a rinunce a libertà personali piccole e grandi (di tempo, interessi e – significativamente – affettive e sessuali) sacrificate sull’altare dell’Amore come deve essere. Quindi, come ci hanno insegnato innumerevoli romanzi rosa e liti adolescenziali, anche geloso. Una bella trappola culturale!
Razionalmente sappiamo come gran parte delle pene relative alla sfera dell’affettività e della sessualità derivi proprio dallo sforzo disperato di conformarsi a standard culturali, morali e narrativi idolatrati pressoché universalmente… ma anche radicalmente incompatibili con la natura umana. Dall’Esodo (20:14) all’invenzione dell’amor cortese e agli attuali femminicidi quotidiani, è evidente che nessuna idealizzazione fermerà mai la sacrosanta necessità di cogliere conforti e piaceri differenti in persone differenti, e che la repressione non porti vantaggi concreti. Ma come si può spezzare questo circolo vizioso?
Una possibile risposta arriva dalla sottocultura erotica del poliamore o, come viene sempre più spesso chiamata, delle relazioni etiche non monogame. Il termine non indica lo scambismo né le ‘coppie aperte’ un po’ demodé, ma la scelta consapevole e dichiarata di condurre più rapporti paralleli. Alcuni possono essere più stabili e frequenti di altri; certe persone coinvolte possono avere a loro volta storie fra loro o all’esterno; le configurazioni possibili sono sostanzialmente infinite. Quel che rimane costante è l’approccio totalmente onesto fra i partner, che lungi dal “tradire” o avere scappatelle di nascosto si comunicano chiaramente ciò che fanno con gli altri per il quieto vivere di tutti. Ci sono triadi o “famiglie” che vivono tranquillamente sotto lo stesso tetto, allevano figli insieme o altrettanto serenamente non fanno sesso – l’unico elemento comune è l’assenza di possessività.
Ciò non significa che il poliamore sia privo di problemi. Chi vive rapporti di questo tipo riconosce anzi le difficoltà insite nel rifiutare convenzioni sociali che spesso implicano la riprovazione di chi ha una visione più tradizionale della vita, così come nel liberarsi di processi mentali pervasivi. Quale, per l’appunto, la gelosia. Per quanto razionali possano essere, anche molti poliamoristi sono infatti occasionalmente preda dei suoi sintomi – solo che li affrontano attivamente, scegliendo di coltivare invece la compersione.
Il fatto che il termine sia poco noto nonostante abbia più di mezzo secolo già segnala un impressionante squilibrio culturale. Tutti sanno cosa sia la gelosia e come essere gelosi; solo una minoranza riconosce invece la possibilità di provare gioia nella soddisfazione affettiva e sessuale del partner – anche quando dipenda (in parte) da terze persone. La compersione è tutta qui: nel rifiuto degli stereotipi di possesso, esclusività e codipendenza tipici dell’idealizzazione romantica – che a conti fatti è un fenomeno storicamente recente, vecchio appena tre secoli – per un ritorno a un’idea di relazione etologicamente meno complicata.
Un individuo compersivo è felice della felicità della persona amata, che riconosce come indipendente da sé. Allo stesso modo, rivendica la propria indipendenza non per egoismo, ma con la consapevolezza che per contribuire positivamente a un rapporto sia necessario essere innanzitutto risolti e soddisfatti a livello personale. In quest’ottica la paura di venire abbandonati o sostituiti non ha motivo di esistere ma, come accennato, teoria e pratica non sempre coincidono.
La soluzione adottata dalle comunità poliamorose consiste, come spesso capita in questi ambiti, nell’incoraggiare il dialogo tramite un’ampissima attività di divulgazione e supporto tramite libri, conferenze, forum online, incontri sociali e intere convention. In Italia la più importante è stata la OpenCon organizzata dall’associazione Reti, che nella giornata di apertura imponeva a tutti i partecipanti di seguire una serie di sessioni di orientamento in cui venivano ribaditi principi e tecniche per una convivenza armoniosa – e comunque metteva a loro disposizione un servizio di assistenza psicologica a tempo pieno durante l’evento. A detta dei veterani, osservare l’esempio concreto di chi ha già interiorizzato la compersione e si muove serenamente fra centinaia di potenziali “usurpatori” è la medicina migliore per chi ancora soffre i morsi della gelosia. Eventi come quello sono anche dove si può constatare come siano proprio le coppie meno possessive a essere le più longeve. O, come dicevano le nostre nonne: «lasciare il fidanzato libero è il modo migliore per star sicure che torni sempre a casa». Pare valga anche per le fidanzate. Buffo riscoprirlo in un contesto così, no?