La corte si ritira. La sentenza con rito abbreviato probabilmente non sarà appellata: il romano Soter Mulè è stato condannato a quattro anni e otto mesi di reclusione per avere involontariamente ucciso una ragazza e avere provocato il coma di un’altra durante una sessione di bondage andata male nel settembre 2011. L’aggravante è la cosiddetta ‘colpa cosciente’, cioè la consapevolezza che un incidente fosse possibile.
Si fosse trattato di una qualsiasi altra disgrazia la storia sarebbe finita qua, archiviata fra le tante notizie di cronaca nera. In questo caso non riesco però a evitarmi qualche riflessione sull’accaduto – almeno per il poco che mi è consentito.
A tutt’oggi nessuno sa infatti quale sia stata la dinamica esatta dell’accaduto, per si potrà conoscere solo leggendo gli atti processuali. Benché le community BDSM italiane e straniere si siano scatenate fin dal primo giorno nel discutere e criticare quell’episodio, le informazioni certe sono ben poche.

Ciò che si sa è che le tre persone coinvolte fossero provate dall’orario e dalle sostanze (alcool e droghe leggere) assunte nelle ore precedenti. Che la vittima pesasse ben più del rigger, il che ha reso il corpo privo di conoscenza difficile da controllare. Che non fossero state prese quelle precauzioni di base – come tenere a portata di mano uno strumento adatto a tranciare le corde, e non lasciare mai sola una persona legata – che vengono ripetute fino alla nausea ai principianti del bondage. Ma soprattutto che Mulè non fosse affatto un principiante: certo non un ‘grande maestro’ come avevano inizialmente riportato i giornali, ma comunque un discreto intenditore che aveva frequentato anche qualche corso specifico sulle legature.

A fronte di questo è facile arrivare alla sgradevole lezione di un simile episodio. Il BDSM si chiama ‘eros estremo’ per un motivo preciso: perché non è affatto ordinario, né alla portata di tutti. Come ogni attività estrema richiede studio, preparazione e presenza di spirito per essere affrontato in sicurezza. Anche se i siti specializzati, i video o la pura fortuna possono far pensare che questi giochi si possano improvvisare senza problemi, un rischio è sempre presente.
Le leggi della fisica, della medicina e del buon senso non entrano in pausa semplicemente perché si è eccitati o si tratta di sessualità – specialmente quando si tratta di bondage.

I giochi di immobilizzazione sono secondi solo al breath control per pericolosità. Le conoscenze tecniche necessarie e i fattori da tenere sotto controllo sono così tanti che anche in condizioni ideali persino esperti riconosciuti a livello internazionale possono incorrere in incidenti. Darsi al bondage nelle condizioni descritte dalla stampa era un invito alla catastrofe.
Inutile quindi condannare la pratica in sé, ma penso sia salutare farsi un esame di coscienza e chiedersi se ciascuno di noi abbia davvero fatto proprie tutte quelle abitudini, quelle nozioni, quelle regole personali che permettono di divertirsi riducendo al minimo i rischi.

C’è chi trova noioso dedicare energie e tempo a queste cose: seguire l’ormone è più divertente e «tanto non succede niente». Tranne quando succede. È un ragionamento da vecchia nonnina menagrama, ma non per questo meno vero.
Passando da Roma mi era capitato di incontrare di sfuggita entrambi i protagonisti. Non posso quindi dire di averli conosciuti bene ma il ricordo che ne ho è di persone più serene della media, felici di poter realizzare le proprie fantasie erotiche.

In mezzo al dispiacere, confesso che ciò che mi intristisce di più è la constatazione che sarebbe bastato un approccio leggermente più maturo perché oggi fossero ancora felici.

 

Aggiornamento – Cliccando qui potrete guardare la lunga intervista a Mulè realizzata dal programma Storie maledette.