Come avrete intuito dal post di ieri sul gerbiling, con un mestiere come il mio capita di studiare anche devianze particolarmente estreme e tutt’altro che eccitanti, su cui non sempre si riesce a scherzare. Un esempio lampante risale a poche ore fa, quando una notizia proveniente dalla Svezia mi ha reso l’esperto più ricercato dai morbosissimi giornalisti italiani.
Dopo un arresto in sordina avvenuto in settembre, infatti, la corte penale di Gothenburg ha incriminato formalmente una donna di 37 anni per ‘brott mot griftesfriden’, un eufemismo la cui traduzione letterale significa ‘violare la pace dei defunti’.
La necrofilia è una devianza rara, su cui non esistono statistiche attendibili per un motivo semplice e inquietante: la maggior parte delle persone attratte carnalmente dai cadaveri si sceglie un lavoro nell’ambito delle onoranze funebri, che le permette di agire indisturbata, senza testimoni e senza suscitare sospetti. E questa è anche la ragione per cui il caso svedese è tanto sconvolgente.
Secondo la stampa locale la colpevole, di cui non sono state rivelate le generalità, «aveva un normale lavoro d’ufficio e conduceva una vita comune» – con la piccola eccezione di avere l’abitudine di fare sesso con ossa umane. La polizia ha scoperto la cosa per puro caso, durante una perquisizione a causa di un colpo di pistola proveniente dall’edificio in cui abitava la donna.
Nell’appartamento sono state trovate numerose ossa fra cui uno scheletro quasi completo, un’ampia collezione di immagini di cimiteri e obitori, nonché alcuni autoscatti nei quali l’arrestata si intratteneva «inequivocabilmente» con i resti rinvenuti.
Diversi esami psichiatrici hanno dichiarato mentalmente sana la donna, che sostiene di non avere fatto nulla di illegale e di collezionare ossa «per interesse storico e archeologico». Secondo la sua versione dei fatti tutte le foto sono state scaricate dal Web, e la persona ritratta le assomiglierebbe solamente.
Gli inquirenti non hanno trovato alcuna prova di omicidio, ma un’analisi del computer dell’imputata ha rilevato le tracce di un fitto commercio di ossa umane con altri “appassionati” in Svezia e all’estero. Il problema sta ora nel risalire all’origine dei reperti, che alcune aziende specializzate vendono effettivamente online – ma solo a laboratori e scuole di medicina certificate.
In caso di una sentenza definitiva di colpevolezza la donna potrebbe essere condannata a un massimo di due anni di reclusione. Resta però una domanda: quante altre persone con “un lavoro normale e una vita comune” nascondono segreti simili?