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Questo articolo è stato scritto originariamente per la rivista Psicologia Contemporanea

 

L’importanza di saper gestire la differenza fra la percezione dell’eros estremo e la sua realtà

 

Dicevamo qualche mese fa che, in Italia, una persona su sei ha fantasie erotiche centrate su scenari BDSM di dominazione e sottomissione, mentre una su dieci le mette in pratica con varie modalità e intensità. Quindi, calcolatrice alla mano, qualcuna delle vostre conoscenze ha una sessualità non normativa di questo tipo – e fra loro è più che possibile trovare anche amici, parenti e figli. Parliamo quindi di quel brivido che avete sentito considerando quest’ultima possibilità.

La premessa indispensabile è che vietare, reprimere o dileggiare le inclinazioni sessuali altrui non sia una possibilità realmente praticabile: l’unico risultato sarebbe rendere la “trasgressione” ancora più attraente. Peggio ancora pretendere di “curare” quella che, in mancanza di disagi significativi, è semplicemente una sana manifestazione di creatività erotica.
Pensando alle proprie persone care in certi contesti preoccuparsi è tuttavia inevitabile. Anzi, tenendo conto di ciò che riportano le notizie sarebbe strano il contrario: chi non ricorda almeno qualche articolo su terribili incidenti durante pratiche insolite e inquietanti? C’è chi ha avuto un infarto nel dungeon di una dominatrice professionista, chi è rimasto auto-strangolato durante una masturbazione anomala, chi è stato malmenato da un master conosciuto su Tinder… e quasi tutti rammentano ancora l’incidente di Roma del 2011 in cui una giovane donna ha perso la vita e un’altra è finita in ospedale per uno scriteriato gioco con le corde.

 

Per fare bondage ci vogliono competenze

Benché tutte le pratiche kinky siano spesso rappresentate come nefaste anche nella fiction, il bondage – cioè immobilizzare il partner con corde o altri strumenti – è infatti il frequente protagonista degli episodi più drammatici. Il banale motivo è la sua diffusione: nel vasto panorama del BDSM si tratta di una attività particolarmente comune per via della sua estetica al confine con l’arte, che viene percepita come meno compromettente di altre pratiche. «Mi piace realizzare foto eleganti» e «Se sono legato non sono davvero responsabile di fare quelle cose» costituiscono auto-assoluzioni efficaci per chi vive l’eros sotto la cappa dei sensi di colpa cattolici. L’iconografia delle legature appare anche più innocua di altre; dopotutto molti bambini giocano a “farsi prigionieri” senza che nessuno si scandalizzi, e abbiamo tutti visto infiniti personaggi legati in film, fumetti e videogame del tutto rispettabili.

A pensarci bene, il fatto stesso che a distanza di anni si sia ancora scioccati da un omicidio colposo a base di corde dovrebbe rassicurarci. Se i cimiteri non sono pieni di adepti del bondage, vuol dire che nonostante milioni di praticanti i casi gravi sono evidenti anomalie ben lontane dalla norma. Ciò nonostante si tratta davvero della tecnica erotica paradossalmente più pericolosa di tutte, ma per altri motivi.
Per evitare compressioni nervose, stiramenti, sincopi posizionali, lesioni da caduta e altre magagne, il bondage richiede infatti grande competenza tecnica: con le corde, ma anche nozioni anatomiche e di fisiologia. Non a caso i veri appassionati frequentano corsi che possono comprendere decine di lezioni e studiano libri e tutorial che a volte trattano anche gli aspetti relazionali e psicologici di questi giochi.

 

Come gestire l’apprensione?

Ma, tornando a noi, qual è quindi il modo più corretto di gestire l’apprensione per chi si dedichi non solo al bondage, ma alle sessualità insolite in generale?

Che si tratti di una persona cara o, nel caso di terapeuti, di un proprio cliente, il primo e più importante passo è sospendere ogni giudizio moralistico e, soprattutto, dimenticare i pregiudizi inculcati dai media sopra citati. La realtà dell’eros estremo è molto diversa da come viene rappresentata, e si fonda su principi di rispetto, etica e sicurezza di gran lunga meglio recepiti che nella maggior parte dei contesti “normali”.

Il secondo passaggio è informarsi su tale realtà. Impresa in verità non sempre semplicissima a causa delle centinaia di attività e varianti che costituiscono l’universo kinky. I testi accademici non sono di grande aiuto perché giustamente focalizzati sugli aspetti patologici, mentre la maggior parte dei praticanti vive i giochi egosintonicamente; il Web, anche nelle community cosiddette a tema, predilige invece le fantasie pornografiche rispetto alle limitazioni imposte dalla realtà. Esistono tuttavia parecchi libri specialistici (prevalentemente in lingua inglese) che presentano realisticamente ogni attività nei suoi aspetti positivi e negativi. Consultandoli sarà possibile farsi un’idea oggettiva di quali siano i veri rischi connessi a ciò che viene praticato dal soggetto o fa parte delle sue aspirazioni, nonché conoscere gli approcci consigliati a questioni quali la sicurezza degli incontri, la gestione dell’immagine, la scelta dei luoghi di ritrovo e delle comunità locali, l’acquisto oculato di articoli a tema, eccetera.

Solo a questo punto si potrà valutare obiettivamente gli eventuali pericoli, come l’uso di determinati strumenti o tecniche rispetto ad altri. Ancora più importante, la conoscenza dell’argomento consentirà – nel rispetto della libertà sessuale dell’interlocutore – di offrire suggerimenti utili. Anche il diretto interessato può infatti essere vittima di equivoci e preconcetti errati, che potrebberlo esporlo a rischi superflui.

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